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Confronto tempi di risposta con celle fuori terra

5. Gallerie di frigoconservazione

5.4 Carico cella frigoconservazione

5.4.2 Valutazione complessiva del sistema durante il carico

5.4.2.4 Confronto tempi di risposta con celle fuori terra

Si procede col cercare quali possano essere ulteriori caratteristiche vantaggiose, da poter sfruttare per migliorare la funzionalità del sistema.

Una possibile caratteristica da poter sfruttare, è l’ enorme capacità termica della roccia e al relativo effetto volano, il quale permette di avere delle dinamiche di scambio termico molto lente. Si cerca di ottimizzare la gestione della potenza dell’ impianto frigorifero dal momento che ci si trova ad avere condizioni stabili e prevedibili, studiando più nel dettaglio le tempistiche sulla trasmissione del calore nel sistema.

In parallelo si faranno dei confronti qualitativi rispetto ad una cella frigorifera convenzionale fuori terra delle stesse dimensioni. La quale sarà isolata da dei pannelli in poliuretano da 20 cm.

La propagazione di un campo termico in condizioni non stazionarie viene descritta dalla caratteristica intrinseca del materiale quale la diffusività termica [14]. Essa è definita dal rapporto tra conducibilità termica e il prodotto tra densità e calore specifico del corpo in oggetto, come in relazione (5.2):

(5.2) Dove: α [m2 /s] = diffusività termica k [W/m*K] = conducibilità termica ρ [kg/m3 ] = densità cp [J/kg*K] = calore specifico

La diffusività dei componenti principali è:

 Roccia secca: α = 1,21*10^-6 m2/s

 Mele eq.: α = 1,88*10^-7 m2/s

 Aria: α = 2,06*10^-5 m2/s

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Si vede come vi siano tre ordini di grandezza diversi. L’ aria, con diffusività maggiore, sarà quella che trasmetterà più velocemente il calore, al contrario delle mele che hanno il valore più piccolo. Quindi come visto prima il limite fisico è dato dai tempi di rilascio del calore dalle mele.

E’ stato fatto un confronto, tra cella ipogea e fuori terra, a parità di potere coibentante. Si ipotizza di considerare in ambedue una superficie piana. Quindi facendo equivalere le due resistenze termiche, rapporto tra spessore e conducibilità termica, è stato trovato che quei 20 cm di poliuretano corrispondono a circa 21 m di roccia. Ma in quest’ ultima il calore si trasmette più velocemente. Se si suppone di avere poliuretano ad 1 °C e di far aumentare la temperatura su una delle due facce a 20 °C istantaneamente (vedi Cap. 7 e appendice), si ha tempo due ore perché la temperatura sull’ altra superficie aumenti di 0,42 °C, come si vede sotto (Fig. 5.35).

Fig. 5.35- Riscaldamento poliuretano cella convenzionale

Se invece faccio aumentare la temperatura da 20 °C a 25 °C ho che questa perturbazione ci mette un po’ meno di due ore ad attraversare l’ isolante, quindi senza fare calcoli approfonditi consideriamo come tempo di reazione della cella fuori terra due ore.

Dal momento che il rapporto tra le due diffusività è di 2,28, facendo una simulazione dedicata per la roccia si ottiene che appunto a 20 cm di profondità la stessa temperatura aumenta in meno della metà del tempo. Ma avendo uno spessore circa cento volte superiore, nella roccia, ho dei tempi di reazione circa cinquanta volte superiori. Questo a livello teorico, perché nella roccia non ho differenze di temperatura cosi elevate. C’è anche da tenere in considerazione che per arrivare a raffreddare la roccia fino a tale profondità ci vuole un po’ di tempo, visto che nel primo pre-raffreddamento arrivo solo a 7-8 m. Inoltre vi è anche il calore geotermico che rallenta l’ avanzamento del flusso “freddo”. Quindi nel primo periodo di funzionamento dell’ impianto non avrò molto potere coibentante.

Facendo un confronto reale, è stato determinato quanto tempo ci vuole perché aumenti sempre della stessa temperatura, la superficie della cella ipogea quado si va

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 T em perat ura C] profondità [m] 1 h 2 h 3 h 4 h 6 h 12 h T iniz

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a spegnere l’ impianto frigo. E’ stato trovato che ci vogliono 48 ore. Poi man mano la temperatura aumenta sempre meno, difatti come si è visto in mantenimento, dopo lo scarico conviene spegnere l’ impianto. In Fig. 5.36 si vede quanto lentamente la temperatura nella montagna ci mette ad omogeneizzarsi.

Fig. 5.36- Aumento naturale di temperatura nella roccia

Quindi un rapporto delle tempistiche veritiero, senza considerare il calore di respirazione della frutta, è di circa 25 volte a favore della montagna.

Se invece consideriamo anche la potenza di respirazione delle mele, che con queste quantità ammonta a 16,5 kW a cella, si ha che esse, aumentano in modo spontaneo di temperatura in ambienti freddi di 0,5 °C ogni 24 h. Come si può vedere in Fig. 5.37, la temperatura delle mele aumenta più velocemente di quella sulla superficie della roccia seppur questa sia in parte riscaldata anche dalla frutta.

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Fig. 5.37- Aumenti di temperatura in cella

Quindi ho che la velocità con cui aumentano di temperatura le mele è di 0,5 °C/gg, mentre la roccia di 0,25 °C/gg, cioè la metà. Per mantenere una certa qualità di conservazione si considera che le mele non possano riscaldarsi più di 1 °C oltre la temperatura ottimale. Si ha quindi la possibilità di spegnere l’ impianto volontariamente o involontariamente (oppure magari a causa di un black out) per due giorni prima di incorrere in danneggiamenti del prodotto conservato. Quindi la dinamica di una cella ipogea è dominata dal calore stesso delle mele piuttosto che dall’ ambiente che le circonda.

Nel caso di cella fuori terra i tempi di reazione dipendono dall’ ambiente esterno, quindi sono di difficile previsione. Perché nel caso si verifichi un fuori servizio di qualunque tipo, se la temperatura esterna è alta (ad esempio in estate) avrò a disposizione le due ore precedentemente trovate, se è bassa (inverno) avrò una situazione simile alle celle ipogee se non migliore. Ma in ogni caso non è sicuro fare pianificazioni precise e a lungo termine sulla gestione dell’ impianto avendo come variabile le condizioni meteo.

Al seguito di queste considerazioni si è notato come, il dover conservare frutta/ortaggi, i quali rilasciano calore e inoltre li si deve mantenere all’ interno di un “range” di temperature relativamente sottile, non sia la scelta migliore per questo tipo di impianto. Se invece di conservare prodotti con metabolismo proprio, inserissimo alimenti che non generano calore, come ad esempio carne/pesce o prodotti surgelati, avremo che in tal caso le tempistiche verranno dettate dal sistema. Se ipoteticamente abbassassi la temperatura superficiale a -10 °C, avrei che potrebbero passare anche mesi prima che si decongelino (con impianto frigo spento).

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