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Confronto delle versioni: analisi dettagliata di alcuni passi del brano consi- consi-derato

Nel documento NUMERO 22 – maggio 2009 www.sfi.it (pagine 175-179)

EDIZIONE

LA-TINA TR. ITALIANA URBANI ULIVI TR. FRANCESE LUYNES TR. ITALIANA TILGHER OSSERVAZIONI

AT 30, 3-4: Con-sideremus res illas quae vulgo pu-tantur omnium di-stinctissime com-prehendi.

Consideriamo quelle cose che di solito tutti riten-gono di compren-dere nel modo più distinto.

Commençons par la considération

des choses les plus communes [manca in latino], et que nous croyons com-prendre le plus distinctement. Cominciamo dalla considerazione

delle cose più co-muni [manca in

latino], e che noi crediamo di com-prendere nel mo-do più distinto.

La traduzione lette-rale sarebbe: “con-sideriamo quelle cose che fra tutte sono ritenute dal volgo essere com-prese nel modo più distinto”. La parola “vulgo” mi pare renda meglio la sot-tolineatura di una distanza fra il filo-sofo, che si allonta-na dal senso comu-ne, e il non filosofo, che si lascia guida-re dai sensi. AT 30, 19-20:

Remanetne ad-huc eadem cera? Remanere faten-dum est; nemo negat, nemo aliter

putat.

Rimane ancora lo stesso pezzo di cera? Bisogna di-re di sì; nessuno lo nega, nessuno la pensa diversa-mente. La mesme cire demeure-t-elle après ce chan-gement [manca

nel testo latino]? Il faut auoüer qu’elle demeure; et personne ne le peut nier.

Ma la cera stessa resta dopo

que-sto cambiamento [manca in latino]? Bisogna confessa-re ch’essa confessa-resta; e nessuno può negarlo. Da segnalare che nella traduzione di Urbani, la più com-pleta perché non omette la frase

nemo aliter putat,

si perde, tuttavia, l’enfasi data dalla ripetizione del ver-bo “remanere”; nel-le altre versioni, che invece prestano il verbo in en-trambi i casi, è da rilevare l’aggiunta di “dopo questo cambiamento”, che intende recuperare quanto detto prima a proposito delle trasformazioni subi-te dalla cera.

AT 30, 31 – AT 31, 1-2:

Attendamus, et, remotis iis quae ad ceram non pertinent, videa-mus quid super-sit: nempe nihil aliud quam exten-sum quid, flexibi-le, mutabile.

Riflettiamoci su, e, eliminato tutto quello che non appartiene alla cera, vediamo che cosa ri-manga: certo null’altro che qualcosa di este-so, flessibile, mu-tevole.

Considerons-le attentiuement, et eloignant toutes les choses qui n’appartiennent point à la cire, voyons ce qui reste. Certes il ne demeure rien que quelque chose d’estendu, de flexible et de muable. Consideriamolo attentamente, e, allontanando tutte le cose che non appartengono alla cera, vediamo quanto resta. Certo non resta altro che qualcosa di esteso, di fles-sibile, di mutevo-le.

1. La

punteg-giatura non è ri-spettata nel caso della versione fran-cese, che ritiene necessario articola-re maggiormente la frase.

2. Ubaldi

tradu-ce l’interrogativa indiretta quid

su-persit con “che cosa

rimanga”, mentre la traduzione francese preferisce utilizzare l’indicativo: “ce qui reste”. Tilgher usa l’espressione ambi-valente “quanto re-sta”, anche se per-de l’occasione di en-fatizzare l’eventualità con il congiuntivo (“quan-to resti”). AT 31, 16-22: Superest igitur ut concedam, me nequidem imagi-nari quid sit haec cera, sed solâ mente percipere; dico hanc in parti-colari, de cerâ e-nim in communi clarius est. Quae nam vero est haec cera, quae non ni-si mente percipi-tur? Nempe ea-dem quam video, quam tango, quam imaginor, eadem denique quam ab initio esse arbitrabar. Non mi resta dunque altro che concedere, che non posso neppu-re immaginaneppu-re che cosa sia que-sta cera, ma solo coglierlo con la mente; intendo questa cera in particolare, infatti per la cera in ge-nerale è più chiaro. Che cosa è dunque questa cera, che non viene colta se non con la mente? Certo la stessa che vedo, che tocco, che imma-gino, la stessa in-somma che sin dall’inizio pensa-vo che fosse.

Il faut donc que ie tombe d’accord que ie ne sçau-rois pas mesme conceuoir par l’imagination ce que c’est que cette cire, et qu’il n’y a que mon entende-ment seul qui le conçoiue; ie dis ce morceau de cire en particu-lier, car pour la cire en général, il est encore plus euident. Or quelle est cette cire, qui ne peut estre conceuë que par

l’entendement ou

l’esprit [manca

nel testo latino]? Certes c’est la mesme que ie voy, que ie tou-che, que i’imagine, et la

Bisogna, dunque, che ammetta che con

l’immaginazione non saprei conce-pire che cosa sia questa cera, e che non v’è se non il mio intelletto che la concepisca: io dico questo pezzo di cera in particolare, poi-ché, per la cera in generale, la cosa è ancora più e-vidente. Ora, qual è questa ce-ra, che non può essere concepita se non

dall’intelletto o

dallo spirito

[manca nel testo latino] ? Certo è la stessa che io vedo, tocco, im-magino, e la stes-sa che conosce-vo fin da

princi-1. Il verbo “su-perest” indica qual-cosa che resta: qui mi sembra sottolinei ciò che rimane a conclusione del ra-gionamento, dopo che siano state messe da parte e-ventuali obiezioni e sembra quindi da preferire rispetto al “il faut” utilizzato dal francese.

2. La

traduzio-ne di Urbani prefe-risce trasformare l’aggettivo “sola” ri-ferito a “mente” in un avverbio, mentre ad esempio in altro luogo traduce “so-lius mentis inspec-tio” con “analisi del-la sodel-la mente” (AT 31, 25), mantenen-do il calco latino; Tilgher, che traduce dal francese, non ritiene importante

mesme que ie connoissois dés le commence-ment.

pio. rafforzare il

concet-to e omette la tra-duzione di “seul”

3. “Clarius”

viene tradotto in francese con “plus evident”, rafforzato da “ancore” che non c’è in latino

4. Il verbo “ar-bitrabar” contiene in sé un riferimento all’opinione più che alla conoscenza e sottolinea il fatto che Cartesio abbia già abbandonato quella convinzione di cui parla. Ciò non sembra così eviden-te nella scelta della versione francese. AT 31, 29-30 – AT

32, 1-2:

Miror vero interim quàm prona sit mea mens in er-rores; nam quamvis haec a-pud me tacitus et sine voce con-siderem, haereo tamen in verbis ipsis, et fere deci-pior ab ipso usu loquendi.

Mi stupisce invero frattanto quanto sia propensa agli errori la mia mente; in-fatti per quanto io consideri tacita-mente e senza dire verbo tali cose, non riesco comunque a li-berarmi dalle pa-role, e sono come ingannato dall’uso stesso del linguaggio. Cependant ie ne me sçaurois trop étonner, quand ie considère com-bien mon esprit a de foiblesse, et de pente qui le porte insen-siblement dans l’erreur. Car en-core que sans parler ie consi-dère tout cela en moy-mesme, les paroles toutefois m’arrestent, et ie suis presque trompé par les termes du lan-gage ordinaire;

Tuttavia non sa-prei troppo mera-vigliarmi, quando considero quanto il mio spirito sia debole ed incli-ne a scivolare insensibilmente nell’errore. Poi-ché, sebbene senza parlare io consideri tutto ciò in me stesso, le parole, tuttavia, m’arrestano, e sono quasi ingan-nato dai termini del linguaggio or-dinario;

1. In questo

caso è rispettato in tutte le traduzioni l’a capo del testo latino

2. La

punteg-giatura nella ver-sione francese non corrisponde a quella latina

3. La versione

francese propone una perifrasi per tradurre “Miror vero interim quàm prona sit mea mens in er-rores”, che rende la frase più articolata ma meno incisiva

4. La versione

francese rinuncia all’endiadi “tacitus et sine voce”, che intende sottolineare la condizione neces-saria per riflettere su questo argomen-to 5. Il verbo “ha-ereo” ha il significa-to di “essere stret-tamente attaccato”, perfino quello di “essere invischia-to”: Urbani

preferi-sce volgere la frase in negativo, sottoli-neando implicita-mente lo sforzo di Cartesio per non re-stare schiavo delle parole; la versione francese dice “m’arrestent”, a ri-marcare il fatto che le parole trattengo-no l’autore

6. Ciò che trat-tiene Cartesio è tut-tavia l’uso del lin-guaggio, non tanto i termini in sé (come appare dal france-se)

AT 32, 6-10 Quid autem video praeter pileos et vestes, sub qui-bus latere possent automata? Sed judico homines esse.

Ma che cosa ve-do, se non dei cappelli e degli abiti, sotto i quali potrebbero essere nascosti degli au-tomi ? Giudico però che sono degli uomini.

; (sic!) Et cepen-dant que voy-je

de cette fenestre

[manca nel testo latino], sinon des chapeaux et de manteaux, qui peuuent couurir des spectres ou des hommes feints qui ne se remuent que par ressors? Mais ie iuge que ce sont de vrais [manca nel testo latino] hommes;

. E, tuttavia, che vedo io da questa

finestra [manca

nel testo latino], se non dei cappelli e dei mantelli. Che potrebbero coprire degli spettri o degli uomini finti, mossi solo per mezzo di molle? Ma io giudico che sono veri [manca nel testo latino] uomini, 1. La versione francese preferisce tradurre “vestes” con “manteaux” 2. Sempre nel testo francese, si utilizza una perifrasi aggiungendo molti particolari

3. Essendo

sta-to usasta-to l’aggettivo “feints”, in seguito si utilizza per con-trapposizione l’aggettivo “vrais”, di cui il latino non sente il bisogno AT 33, 30

- AT 34, 1-6: Atque ecce tan-dem sponte sum reversus eò quò volebam; nam cum mihi nunc notum sit ipsamet corpora, non pro-prie a sensibus, vel ab imaginandi facultate, sed a solo intellectu percipi, nec ex eo percipi quod tan-gantur aut vide-antur, sed tantum ex eo quod intelli-gantur aperte

Ecco infine sono spontaneamen-te ritornato là dove volevo; poi-ché mi è ora noto che gli stessi cor-pi non sono colti propriamente dai sensi, o dalla fa-coltà di immagi-nare, ma dal so-lo intelletto, e che non sono col-ti per il fatto che vengono toccati o vengono visti, ma soltanto per il fat-to che sono con-cepiti, riconosco che nulla può

es-Mais enfin me voicy insensi-blement reuneu où ie voulois; car, puisque c’est une chose qui m’est à présent connuë, qu’à proprement parler nous ne conceuons les corps que par la faculté

d’entendre qui

est en nous

[manca nel testo latino], et non point par

l’imagination ny par les sens, et

Ma, infine, eccomi insensibilmente ritornato dove vo-levo; poiché, sic-come adesso co-nosco che, a par-lar propriamen-te, noi non con-cepiamo i corpi se non per mezzo della facoltà d’intendere che è

in noi [manca nel

testo latino], e non per

l’immaginazione, né per i sensi; e che non li cono-sciamo pel fatto che li vediamo o li

1. In questo

caso è stato rispet-tato l’a capo del te-sto latino

2. L’avverbio

“sponte” viene tra-dotto in francese con “insensible-ment”

3. Il latino co-struisce la frase uti-lizzando “non… sed”, mettendo in luce un contrasto che nella versione francese è meno e-vidente; inoltre nel testo del duca di Luynes vengono

in-cognosco nihil fa-cilius aut evi-dentius meâ mente posse a me percipi. sere colto da me più facilmente o più evidente-mente della mia mente.

que nous ne les connoissons pas de ce que nous les voyons, ou que nous les tou-chons, mais seu-lement de ce que nous le conceuons par la pensée, ie connois eui-demment qu’il n’y a rien qui me soit plus facile à connoistre que mon esprit.

tocchiamo, ma so-lamente pel fatto che li concepiamo per mezzo del pensiero, io cono-sco evidente-mente che non v’è nulla che mi sia più facile a conoscere del mio spirito.

vertiti alcuni termini (“a sensibus vel ab imaginandi faculta-te”; “quod tangan-tur aut videantangan-tur”)

4. L’espressione

“facilius et eviden-tius” compare solo in parte nella ver-sione francese

5. “Aperte

co-gnosco” viene reso in francese con l’espressione “con-nois évidemment”, che sembra riman-dare al criterio dell’evidenza, qui tuttavia non richia-mato.

Nel documento NUMERO 22 – maggio 2009 www.sfi.it (pagine 175-179)

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