4. L’INCONTRO TRA I VALORI E PRINCIPI E L’UTENZA
4.4 Analisi dei dati
4.4.6 Conoscenza e condivisione: l’aiuto tra di noi
Nonostante siano le parole di una sola intervistata, dall’analisi dei dati emerge un tema interessante riallacciabile ad un principio sostenuto dall’organizzazione:
“«(…) anche tu poi sempre più, potrai avere un’esperienza, delle conoscenze di anche altre storie e allora chiedevo alla R. (assistente sociale): ma tu conosci degli handicappati che si sono poi sposati lo stesso? E lei mi ha detto: Ma si! Così, è questa ricchezza… (…) poi anche di comunicare un po’ le storie. Forse si potrebbe fare un libro, ma non c’è un libro della Pro Infirmis con un po’ di storie?»” (signora M.) Ancora la signora M.:
“(…) a me piacerebbe anche fare dei corsi dove ci sono altre persone che hanno delle difficoltà e dove magari ci sono lì delle persone che aiutano e che siano formate. (…) E così come delle conferenze (…) anche condividendo con altri cosa può essere il vissuto quotidiano, credo che sarebbe bello potersi un po’ aiutare magari noi anche.”
Dalle sue parole, emerge un interesse a partecipare a momenti di scambio e condivisione, nonché un desiderio di venire a conoscenza di storie ed esperienze di vita, ricordando quanto può essere importante il confronto con persone che affrontano un’esperienza simile. In relazione a questa tematica, va detto che Pro Infirmis, ma più in generale il lavoro sociale, si propone di promuovere l’aiuto all’autoaiuto, ovvero sostenere le persone affinché si aiutino da loro stesse, tramite le proprie risorse. Questo principio può essere declinabile in un’ottica individuale quanto in una comunitaria.76
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Vecchiato Tiziano, Villa Francesco (a cura di), op. cit., p.101-102
76 In quest’ottica, sono nati i gruppi di auto-mutuo aiuto: “«self-help movement» inaugurato negli anni cinquanta dagli
alcolisti anonimi, trasposto negli anni seguenti al supporto di altre categorie problematiche, tra cui le persone disabili.” Medeghini Roberto, Valtellina Enrico, op. cit., p.74
“I gruppi di auto-aiuto sono piccole strutture gruppali volontarie, per il mutuo-aiuto e il raggiungimento di obiettivi particolari. Sono di solito formati da pari, che si sono uniti per assistersi reciprocamente e soddisfare un bisogno comune, superando comuni handicap o problemi inabilitanti, e puntando ad un cambiamento personale e/o sociale desiderato. Gli iniziatori e i membri di tali gruppi percepiscono che i loro bisogni non possono essere riconosciuti e risolti attraverso le istituzioni sociali esistenti.” Oliva Francesca, Il movimento di auto-aiuto, Storia, caratteristiche, contenuti e processi, in rivista Animazione Sociale, Edizioni Gruppo Abele, p.20
L’auto-aiuto è un principio che può essere messo in pratica anche nel processo di aiuto, coinvolgendo pienamente gli utenti in tutto ciò che li riguarda, affinché siano i protagonisti dei propri obiettivi e delle proprie scelte, fare in modo che loro stessi siano portavoce di ciò di cui hanno bisogno e del sostegno che desiderano. Al principio dell’auto-aiuto si riallaccia anche quello dell’empowerment citato nei capitoli precedenti, in quanto ”nella strategia di empowerment è fondamentale la relazione tra pari, tra persone nella stessa situazione che, facendo gruppo, potenziano a loro volta, la voce dei propri diritti, agiscono pratiche di mutuo-aiuto, aumentano la loro forza contrattuale rispetto alle istituzioni e ai servizi.”77
In relazione alla tematica dell’auto-aiuto, il signor T. racconta che:
“Anni passati hanno organizzato le giornate, le serate. Ma purtroppo non è andata avanti perché non è che non è andata avanti da parte di Pro Infirmis, non è andata avanti dalla parte degli utenti. (…) Hanno fatto diverse serate. Si, magari entravamo, parlavamo, però… Magari anch’io non sono entrato in diverse riunioni però comunque socialmente tra gli utenti, di fare come una comunicazione, non ha funzionato.”
Questo fatto evidenzia anzitutto che l’auto-aiuto è difficile da mettere in pratica e conduce a riflettere su come rafforzare tale principio. Da questa iniziativa si evince che l’impegno di un ente per organizzare eventi e momenti di condivisione può non bastare se il riscontro non è sufficientemente positivo e l’idea non riscuote successo e entusiasmo tra gli utenti. Le difficoltà a promuovere il principio dell’auto-aiuto possono essere molte e una di queste risulta proprio relativa al coinvolgimento e alla motivazione da parte dell’utenza. In secondo luogo, occorre domandarsi quali enti sono maggiormente preposti a organizzare tali incontri e se esistono le condizioni per promuovere tale principio nella pratica. Senza poter dare risposte esaustive, si può certamente auspicare la promozione di maggiori incontri che coinvolgano persone che si ritrovano in una stessa situazione. Talvolta sono proposti momenti d’incontro e conferenze rivolti soprattutto a esperti di un tema e in quantità minore momenti di scambio per persone che condividono una condizione di vita. L’auto-aiuto potrebbe quindi venir promosso tentando di proporre maggior momenti di scambio tra persone con disabilità, valutando poi l’esito tramite l’affluenza e il riscontro da parte dei partecipanti. Grazie all’esperienza riportata dal signor T., però, si ricorda che l’iniziativa dovrebbe partire primariamente dagli utenti stessi e non da un ente esterno. Occorre considerare che “il presupposto dei luoghi per le persone disabili, a differenza di altri luoghi, risiede nel fatto che non possono essere utilizzati, frequentati o fruiti da altre persone: questa condizione è ciò che rende lo spazio per disabili uno spazio emarginato. (…) i luoghi della disabilità risultano invece chiusi nella definizione della loro utenza.”78
Inoltre, si è necessario riconoscere che talvolta “tenute a una certa distanza dalle attività collettive, tagliate fuori dal continente degli altri, poste su una sorta di isola, diventano dei
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Canevaro Andrea, Grosso Leopoldo, Natoli Salvatore, Renzetti Claudio (a cura di), op. cit., p.28
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visitatori episodici dello spazio comune, sottoposte a specialisti e ad altri professionisti specializzati che ne occupano in strutture ad hoc. Alla fine, se non sono direttamente o indirettamente tenute fuori, possono conoscere un esilio all’interno della stessa società.”79
Per evitare di rafforzare il rischio di isolamento, risulta dunque altrettanto importante ambire e favorire momenti d’incontro fruibili da tutti, che coinvolgano sia persone in situazione d’handicap che non, un dialogo aperto che unisca indistintamente tutte le persone, soprattutto per permettere una conoscenza, che si ritiene sia fondamentale, poiché per sconfiggere pregiudizi e sguardi negativi “l’atto preliminare è costituito dall’apertura di una comunicazione.”80 Gardou evidenzia proprio l’importanza della
relazione: “faticando a cogliere l’essere vivente nella sua ricchezza infinita e nella sua natura sempre mutevole, restringiamo la sua diversità e la sua complessità categorizzandola. (…) Pertanto, la negazione del soggetto deriva dalla mancanza di una relazione «faccia a faccia» e da una cancellazione o una disumanizzazione della visione.”81
La convinzione è dunque che è solo con la conoscenza in prima persona e con lo scambio che ci si possa confrontare con i propri pregiudizi, imparare la verità dell’altro e soprattutto instaurare una relazione autentica. Quindi una sorta di “(…) educazione al confronto con la differenza. Aprire spazi di confronto per creare le condizioni per un ascolto reale, per poter constatare, tramite esperienza diretta, la divergenza tra ciò che generalmente si pensa e ciò che si vive e si constata in quella situazione. La differenza è da intendersi non solo come dignità della stessa, ma come valore in sé. Il confronto reale, non prefabbricato per la ritualità dello scontro, è lo strumento che consente di contrastare allontanamenti, indifferenza, rifiuto.”82 L’invito è dunque quello di avvicinarsi e conoscersi,
“di strofinarsi agli altri, acculturarsi, e «alterarsi».”83