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La consciousness come elemento costitutivo del moral good. Una critica alle tesi del giusnaturalismo

Nel documento POLITICA E COSCIENZA (pagine 171-200)

2. Dalla metaphysics of knowledge alla metaphysics of moral

2.1 La consciousness come elemento costitutivo del moral good. Una critica alle tesi del giusnaturalismo

In accordo con le affermazioni sostenute da Tyler, la metafisica di Green è strettamente collegata alla sua theory of the will:

Contrary to the view that Green's metaphysics of the will is separable from his 'metaphysics of expe-rience or knowledge', it will be argued here that, in line with their character as 'moments' of a larger sys-tem, the leading strands of each of the three facets do indeed constitute necessary and mutually reinforcing aspects of one largely harmonious theory of self-realisation and freedom1.

È seguendo questa impostazione dunque, che lo sviluppo delle tesi greeniane deve essere indagato e ana-lizzato poiché, come lo stesso P. Nicholson sostiene, le con-clusioni della sua metafisica della conoscenza sono indis-pensabili per l'intero impianto filosofico di Green: «We would, from Green's point of view, have cut out the heart of his philosophy, which supplies the life-blood of the individu-al's intellectual and moral activity; and thereby we would have decisively weakened every part of his philosophy, in-cluding his moral and political philosophy»2.

1 C. Tyler, The Metaphysics of Self-realisation and Freedom, Imprint Academic, UK, 2010, p. 88.

2 M. Dimova-Cookson – W. J. Mander, T. H. Green: Ethics, Metaphysics, and Political Philosophy, Clarendon Press, Oxford, 2006, pp. 139-158. Cfr. C. Tyler, The Metaphysics of Self-realisation and Freedom, Imprint Academic, UK, 2010, p.

83.

Se affermiamo la veridicità delle supposizioni di Tyler riguardanti l'eternal consciousness, non possiamo esimerci dall'analizzare i suoi risvolti nell'ambito dell'azione pratica e assumere come punto di partenza della nostra indagine la domanda che Sydgwick pone a Green: «Supposing, then, that the argument in Book I. is completely cogent, it still re-mains for Green to explain the bearing of it on the problems of Ethics. [...] How are we to obtain from it an ideal of holi-ness, or of an infinitely and perfectly good will?»3. Tuttavia, come per il capitolo precedente, è necessario ripercorrere lo sviluppo teorico seguito da Green, per poter identificare i tratti caratteristici della sua interpretazione ed eventualmen-te, metterne in evidenza le parti critiche. Dobbiamo dunque analizzare la sua metaphysics of moral tenendo conto delle conclusioni raggiunte dalla sua gnoseologia e osservare se i presupposti conducono a risultati compatibili o se l'incompa-tibilità dei secondi mette in crisi la giustificazione dei primi.

Green stesso suggerisce, come necessaria conseguenza della sua teoria gnoseologica, l'approfondimento di ciò che egli identifica come wants, risultante necessaria di uno studio fondato sull'analisi di un organic animal system, che si pone al di là delle mere impressions4. Di non minore importanza è

3 H. Sydgwick, Lectures on the Ethics of T. H. Green, Mr. Herbert Spencer, and J.

Martineau, MacMillan and Co., London, 1902, pp. IX – 11.

4 «So far we have been dealing with what we may venture to call the metaphysics of experience or knowledge, as distinct from the metaphysics of moral action. We have been considering the action of the self-conditioning and self-distinguishing mind, which the existence of a connected world implies, in determining a particular product of that world, viz. the animal system of man, with the receptive feelings to which that system is organic, – in so determining it as to reproduce itself, under limitations, in the capacity for knowledge which man possesses. The characteristic of this particular mode of its reproduction in the human self is the apprehension of a world which is, as distinct from one which should be. It constitutes a knowledge of the conditions of the feelings that occur to us, and of uniform relations between changes in those conditions. But the animal system is not organic merely to feeling of the kind just spoken of as receptive, to impressions, according to the natural meaning of that term, conveyed by the nerves of the several senses. It is organic also to wants, and to impulses fot the satisfaction of those wants, which may be in many cases occasioned by impressions of the kind mentioned, but which constitute quite a different function of the animal system». T. H. Green (edited by A.C. Brad-ley), Prolegomena to Ethics, Clarendon Press, Oxford, 1906, § 85.

l'attenzione che Green pone nel separare wants da the con-sciousness of wanted objects5, senza però ricadere in quello che Russell e Moore identificano come uno degli aspetti cri-tici della filosofia kantiana, cioè la separazione tra oggetto conosciuto e soggetto conoscente6.

Le premesse della sua analisi si articolano seguendo la critica sviluppata nei confronti delle teorie gnoseologiche dell'empirismo, che conducono a una visione dell'uomo inte-so come inte-soggetto a pulsioni dettate dall'istinto e a una con-seguente interpretazione edonistica della morale. Il soggetto principale da cui Green muove le sue critiche è rappresenta-to nuovamente dal pensiero di Locke e dalle contraddizioni che, sviluppate all'interno della sua analisi gnoseologica, conducono inevitabilmente a una visione contrapposta, con quanto sostenuto da Green stesso, dei termini quali will e freedom. Il perno fondamentale intorno al quale l'intera ana-lisi greeniana si sviluppa è identificabile in quello che raffi-gura il fulcro dell'idealismo, cioè il concetto di consciou-sness. L'uomo non è caratterizzato dalle sole sensous per-ceptions, ma anche e soprattutto, da determinati certain wants. Questi 'desideri' ricoprono, all'interno della man's willing, lo stesso ruolo che le sensations rivestono nell'ambi-to della conoscenza. Come per l'aspetnell'ambi-to gnoseologico dun-que, è il presupposto dell'esistenza di un conscious subject, che rende possibile una distinzione tra il desiderio e il sog-getto che desidera. Green quindi, pone in stretta analogia il campo della conoscenza con quello della condotta morale, passando da un'esamina della consciousness of fact all'inda-gine della consciousness of objects7, trasformando la do-manda what makes fact? in what makes object?8.

5 Ibidem.

6 F. C. Beiser (edited by), The Cambridge Companion to Hegel, Cambridge Uni-versity Press, Cambridge, 1993, p. 461.

7 M. Richter, The Politics of Conscience. T. H. Green and his age, The Garden City Press Limited, Letchworth, 1964, p. 195.

8 Ivi, p. 196.

Le speculazioni in ambito morale dell'empirismo sono una diretta conseguenza della loro teoria della conoscenza e la seconda parte del trattato sulla filosofia di Hume, The Moral Part of Hume's Treatise, in linea con lo scopo ultimo di Green, cioè la costruzione di un modello morale da con-trapporre all'edonismo imperante, rappresenta il tentativo di dimostrare la loro inconsistenza teorica, fondata su presup-posti iniziali errati: «In his speculation on morals, no less than on knowledge, Hume follows the lines laid down by Locke. With each there is a precise correspondence between the doctrine of nature and the doctrine of the good»9. Come già sottolineato in precedenza, i termini quali volontà e li-bertà rappresentano un punto fondamentale per l'intera filo-sofia morale di Green e si discostano notevolmente dall'in-terpretazione fornita da Locke.

Secondo quanto riportato da Locke stesso all'interno del volume Essay concerning Human Understanding, nel capitolo intitolato The Power, la will viene identificata nella seguente maniera: «This power which the mind has thus to order the consideration of any idea, or the forbearing to consider it; or to prefer the motion of any part of the body to its rest, and vice versa, in any particular instance; is that which we call the will»10. La volontà è dunque, secondo Locke, un potere e più esattamente, l'inclinazione (volition or willing) a compiere una particolare azione. È la superior faculty of the soul. Tuttavia, questa particolare facoltà non è collegata con la freedom. Tutte le azioni di cui abbiamo un'i-dea, fintanto che ci permettono di collegare il nostro intellet-to con il nostro power intellet-to think, [...] intellet-to move11, ci rendono liberi. Solo attraverso l'unione tra intelletto e idea cor-rispondente, è l'uomo in grado di agire liberamente: «So that the idea of liberty, is the idea of a power in any agent to do

9 R. L. Nettleship (edited by), Works of Thomas Hill Green, Vol. I, Philosophical Works, Longmans, Green and Co., London, 1883, p. 301.

10 J. Locke, An Essay Concerning Human Understanding, Thomas Davison, Whitefriars, London, 1825, p. 151.

11 Ivi, p. 152.

or forbear any particular action, according to the determi-nation or thought of the mind...»12. Dove non c'è volontà, non ci può essere libertà: «So that liberty cannot be where there is no thought, no volition, no will»13.

Il problema però, secondo Locke, non risiede nella determinazione della libertà in relazione all'agire in conco-mitanza con ciò che il nostro intelletto ci richiede, ma nella possibilità di definire la libertà rispetto alla nostra willing.

Per Locke, in respect of willing, a man is not free14. Che co-sa dunque, definisce la will, dal momento che l'uomo non è libero di determinare la propria volontà? Secondo Locke, ciò che ci spinge a compiere una certa azione è un senso di dis-agio (uneasiness): «the most urgent uneasiness we at any time feel, [...] the uneasiness of desire fixed on some absent good, either negative, as indolence to one in pain, or posi-tive, as enjoyment of pleasure»15. Queste affermazioni escludono, secondo Green, qualsiasi tipologia di motivo le-gato all'azione16. Il nostro agire si presenta sempre come la risultante di uno strongest motive ed è il desiderio verso la realizzazione di questo, che crea il nostro disagio interiore.

Tuttavia, è nella determinazione dello strongest moti-ve, che Green intravede una delle prime problematiche deri-vabili dalla teoria della conoscenza sostenuta dall'empiri-smo. Negando l'esistenza di una sostanza, in questo caso la greeniana consciousness, e riducendo l'uomo a semplice elemento passivo nel rapporto con il mondo esterno, Locke non è in grado di riconoscere la duplice valenza che il ter-mine strongest motive può assumere. Da una parte, sostiene Green, ci sono gli impulsi, intesi come semplici appetiti del corpo, dall'altra invece, c'è la determinazione dei desideri dettati dalla nostra consciousness. Ciò che è valido per la

12 Ibidem.

13 Ibidem.

14 Ivi, p. 157.

15 Ivi, p. 165. Cfr. R. L. Nettleship (edited by), Works of Thomas Hill Green, Vol.

I, Philosophical Works, Longmans, Green and Co., London, 1883, p. 302.

16 Ivi, p. 305.

metafisica della conoscenza, lo è anche per quella della mo-rale, vale a dire, è il self, in quanto soggetto permanente ai mutamenti, che ricerca il soddisfacimento dei suoi bisogni e crea con un libero atto volitivo l'oggetto del suo desiderio.

Se dovessimo seguire la riduzione lockeana della will a ri-sultante di un desiderio interiore non determinabile dal sog-getto, continua Green, non saremmo neanche in grado di distinguere ciò che è un vizio da una virtù17.

È in questa prospettiva, tuttavia, che si inserisce ciò che Locke identifica come happiness, cioè ciò che muove il nostro desiderio e ci spinge ad agire, ciò che può essere identificato con the utmost pleasure we are capable of18. Questo, secondo Locke, rappresenta l'oggetto del nostro de-siderio e sostituisce i termini quali good e evil con quelli di pleasure e pain. Con la rappresentazione dell'happiness in quanto oggetto del desiderio e l'identificazione di essa come utmost pleasure we are capable of, si presenta nuovamente un aspetto contraddittorio nella teoria empiristica, il quale tuttavia, comporta non pochi problemi alla stessa metafisica della morale di Green (anche se questo aspetto verrà appro-fondito in seguito). Per Locke, l'happiness può assumere quattro significati differenti:

• una concezione astratta, che rappresenta la somma dei possible pleasures;

• l'equivalente del piacere, che sopravvive nella nostra immaginazione;

• l'oggetto di colui che cerca di soddisfare un piacere;

• l'oggetto fortemente desiderato, non identificabile ne-cessariamente con un pleasure.

Tutte queste differenti determinazioni del termine happiness esprimo quella che Green identifica come una

17 Ivi, p. 306.

18 Ibidem.

contraddizione insita nella teoria di una morale diretta al conseguimento del massimo piacere. Green sostiene che:

Happiness 'in its full extent,' as 'the utmost pleasure we are capable of,' is an unreal abstraction if ever there was one. It is curious that those who are most forward to deny the reality of universals, in that sense in which they are the condition of all reality, viz., as relations, should yet, having pronounced these to be mere names, be found ascribing reality to a uni-versal, which cannot without contradiction be sup-posed more than a name19.

L'interpretazione lockeana di happiness è quindi so-vrapponibile con ciò che caratterizza la moderna lettura fornitane dall'utilitarismo, cioè un aggregate of possible enjoyments e questo non rappresenta altro che un vano ten-tativo, continua Green, di definire qualcosa attraverso la somma di indefiniti20. L'espressione aggregate of possible enjoyments non possiede più valore di greatest possible quantity of time. Il paragone che Green utilizza dimostra l'impossibilità di definire i pleasant feelings attraverso ter-mini riconducibili alla quantità numerica derivabile da una somma degli stessi poiché, secondo quanto Locke sostiene, non esiste qualcosa, un soggetto, in grado di tenere insieme un gruppo di relazioni e quindi, far sì che un certo numero di pleasant feelings possa costituire un intero, inteso come pleasure in general21. Ogni piacere si risolve nella sua temporanea permanenza e termina nel momento esatto in cui inizia quello successivo, rendendo il piacere stesso un qualcosa di indefinito e inconcepibile.

Locke non sembra distinguere, continua Green, le ca-ratteristiche proprie della happiness in general da quelle

19 Ivi, p. 307.

20 Ibidem.

21 Ibidem.

la happiness of each man's, affermando solamente l'esisten-za di una felicità generale, composta da una somma delle particolari azioni individuali, che possono essere in grado di arrecare un determinato tipo di pleasure o meglio, evitare ciò che egli identifica come uneasiness. Ancora una volta però, la negazione dell'esistenza di una subjective consciou-sness rende impossibile, per Locke, spiegare come una par-ticolare azione orientata al conseguimento di un piacere pos-sa contribuire al raggiungimento di una felicità generale, data l'assenza di ogni tipo di relazione. Questa problematica, continua Green, è legata al mancato riconoscimento di una distinzione tra desiderio e oggetto che determina la nascita di un desiderio22.

Le conclusioni alle quali Locke approda, finiscono per identificare il piacere come un qualcosa di puramente istantaneo:

when we compare present pleasure or pain with future (which is usually the case in the most important determinations of the will), we often make wrong judgments of them, [...] But that this is a wrong judg-ment, every one must allow, let his pleasure consist in whatever it will: since that which is future, will cer-tainly come to be present; and then having the same advantage of nearness, will show itself in its full di-mensions, and discover his wilful mistake, [...] the fu-ture loses its just proportion, and what is present, ob-tains the preference as the greater23.

Locke riduce così la vita dell'uomo a una semplice ri-cerca di piaceri incidentali, come possono essere quelli di qualunque animale che cerca di soddisfare i propri appetiti.

Il suo pensiero è un chiaro riferimento all'antropologia

22 Ivi, p. 309.

23 J. Locke, An Essay Concerning Human Understanding, Thomas Davison, Whitefriars, London, 1825, p. 177.

sofica hobbesiana, che identifica nel bellum omnium contra omnes il cardine della natura umana24. Sia Locke che Hob-bes sono accomunati dalla medesima interpretazione della will come prodotto di un power. Per Locke, la volontà è identificabile nel power of preference, mentre per Hobbes invece: «The Power of a Man, (to take it Universally) is his present means, to obtain some future apparent Good» e non rappresenta altro che il risultato della nostra will:

The Greatest of humane Powers, is that which is compounded of the Powers of most men, united by consent, in one person, Naturall, or Civill, that has the use of all their Powers depending on his will: such as is the Power of a Common-wealth: Or depending on the wills of each particular; such as is the Power of a Faction, or of divers factions leagued25.

Ciò che precede l'azione dunque, è il power e questo potere raffigura la determinazione della nostra volontà di agire26. Nella loro teoria rimane quindi irrisolta la questione inerente l'oggetto del nostro desiderio. Pur presupponendo il piacere come bene ultimo da raggiungere, per il consegui-mento di una non definita happiness, come spiegare l'esi-stenza di un tale oggetto, data la relazione diretta tra feeling e pleasure? In base a quale fondamento giustificare quel tipo di azioni che Green identifica come ought to do, se non pos-sediamo un oggetto di riferimento differente rispetto alla semplice immagine di un past pleasure or pain27?

Secondo Locke, pleasure e pain non sono altro che il risultato delle nostre azioni e il loro conseguimento si basa

24 Lo stesso Green afferma come la teoria di Locke non rappresenti altro che una riproduzione di quella di Hobbes. Ivi, p. 302.

25 Hobbes, Leviathan or The Matter, Forme, & Power of a Commonwealth Eccle-siasticall and Civill, Clarendon Press, Oxford, 1651, 66.

26 R. L. Nettleship (edited by), Works of Thomas Hill Green, Vol. II, Philosophical Works, Longmans, Green and Co., London, 1883, p. 369.

27 R. L. Nettleship (edited by), Works of Thomas Hill Green, Vol. I, Philosophical Works, Longmans, Green and Co., London, 1883, pp. 317-318.

sul nostro rispetto o meno delle leggi: «Good and evil, as hath been shown, are nothing but pleasure and pain, or that which occasions or procures pleasure or pain to us. Moral good and evil, then, is only the conformity or disagreement of our voluntary actions to some law»28. Non esiste nessuna obbligazione morale, nessuna azione fondata su valori ante-cedenti, nessun dover essere, ma soltanto una conformità del soggetto a tre differenti tipi di autorità legislativa29:

• Divine Law: promulgata agli uomini attraverso la natura e la voce della rivelazione;

• Civil Law: le leggi del Commonwealth;

• Law of opinion or reputation: azioni svolte in accordo con quello che nella società viene riconosciuto come vir-tù o vizio.

Queste conclusioni sembrano alquanto paradossali:

the Moral goodness or evil, o meglio, il pleasure and pain risultanti dalla nostra azione morale, non corrispondono ad altro, secondo Locke, che alla nostra osservanza alle leggi divine o umane. Green mette in evidenza come, la conformi-tà alle leggi, non possa essere considerata un feeling, ma svolga semplicemente il ruolo di tramite tra l'immagine di un piacere futuro e la nostra azione compiuta per realizzar-lo30. Anche se non esplicitamente messo in evidenza, quello che Green vuole far intendere è questo: se identifichiamo pleasure e pain come risultante della conformità tra la nostra azione e la legge che la prescrive o vieta, come possiamo distinguere il piacere derivabile dall'aver rispettato una de-terminata norma, da quello che la nostra azione in sé avreb-be comportato? Nelle parole di Locke si intravede una sorta di determinismo naturale, secondo il quale l'uomo, inteso

28 J. Locke, An Essay Concerning Human Understanding, Thomas Davison, Whitefriars, London, 1825, p. 251.

29 Ibidem.

30 R. L. Nettleship (edited by), Works of Thomas Hill Green, Vol. I, Philosophical Works, Longmans, Green and Co., London, 1883, p. 320.

come essere passivo, è privato di qualsiasi volontà d'azione.

Il soggetto o meglio l'individuo (poiché nella filosofia di Locke risulta alquanto contraddittorio poter parlare di sog-getto), è costretto ad adattarsi a regole e piaceri non genera-bili, ma generati. La stessa essenza del piacere è ridotta a semplice appetito, in quanto risultante di un adattamento a leggi prestabilite, siano esse naturali o artificiali. In entrambi i casi però, l'individuo resta estraneo al loro processo di de-terminazione. Inoltre, nel caso delle leggi dettate dall'uomo (anche se queste parole non appartengono a Green), questa contraddizione risulta ancora più marcata e rende inevitabile la domanda: come può l'individuo mettere in discussione le

Il soggetto o meglio l'individuo (poiché nella filosofia di Locke risulta alquanto contraddittorio poter parlare di sog-getto), è costretto ad adattarsi a regole e piaceri non genera-bili, ma generati. La stessa essenza del piacere è ridotta a semplice appetito, in quanto risultante di un adattamento a leggi prestabilite, siano esse naturali o artificiali. In entrambi i casi però, l'individuo resta estraneo al loro processo di de-terminazione. Inoltre, nel caso delle leggi dettate dall'uomo (anche se queste parole non appartengono a Green), questa contraddizione risulta ancora più marcata e rende inevitabile la domanda: come può l'individuo mettere in discussione le

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