co-struire edifici e addestrare unità: il cibo proviene da attività come caccia, pesca, pastorizia e
agricoltura; il legname è raccolto col taglio delle piante; l’oro è ottenibile dalle miniere, ma
anche dal commercio e dal possesso di manufatti detti ‘reliquie’; la pietra infine viene
rac-colta nelle cave. Nessuna di queste risorse, salvo parziali eccezioni, è perenne o rinnovabile
in questo videogioco, all’interno di una stessa partita: una volta abbattuti, gli alberi non
ricrescono, né gli animali possono riprodursi. Al tempo stesso il videogiocatore, se vuole
risultare competitivo contro i suoi avversari, è spinto a raccogliere e consumare il più
rapi-damente possibile le risorse presenti sulla mappa di gioco, con una metodologia di
aggres-sività che richiama effettive pratiche di sfruttamento e impoverimento del suolo. Esaurite le
risorse di un’area il gamer è spinto a colonizzare una nuova porzione ‘vergine’ della mappa,
dove edificare ulteriori strutture di raccolta. Animali selvatici come cervi e cinghiali sono i
primi a scomparire, seguiti dalle pecore e poi dai pesci. Più duraturi i giacimenti minerari,
anche perché sfruttati in una fase più avanzata della partita, ma vanno comunque
esauren-dosi progressivamente, insieme all’estensione delle foreste. Il videogioco non pone espliciti
problemi etici legati a questo sfruttamento, la preoccupazione per l’esaurimento delle
risor-se è risor-semmai legata al gameplay: prosciugare un territorio significa doverne colonizzare un
altro, magari abbandonando una posizione vantaggiosa. La scarsità di risorse è tanto più
evidente giocando in ambienti come quello desertico, o in altre mappe con particolari
con-dizioni ambientali. La violenza sulla natura è una narrazione sullo sfondo di un altrettanto
violento racconto ludico, dominato in primo piano dalla battaglia fra gli eserciti. Inoltre,
per quanto non sia normalmente visibile, durante ogni partita di AoE II si trova sul campo
un’ulteriore squadra, rispetto a quelle dei videogiocatori umani o dei bot che controllano
le differenti civiltà. Questo silente partecipante si chiama Gaia, ed è un non-playable team
che controlla la natura e gli animali
10. Le unità di Gaia agiscono passivamente, limitandosi
a reagire agli stimoli esterni: i cervi fuggono al passaggio di civili o soldati, mentre i lupi
aggrediscono gli umani nei loro paraggi. Consumare risorse significa dunque aggredire un
ulteriore giocatore rispetto ai propri avversari dichiarati, ma un giocatore che non dispone
di eserciti con cui contrattaccare, e che ha solamente minime difese (passive) con cui
rea-gire agli assalti.
Differente il caso di BfME II, in cui ciascuna fazione giocabile possiede uno
specifi-co edificio per produrre risorse. Edifici e specifi-conseguenti produzioni sono differenti fra loro
(fattorie per gli Uomini, alberi di Mallorn per gli Elfi...) ma in termini di gameplay tutto
confluisce in un’unica moneta con cui è possibile costruire qualsiasi cosa. La produzione
derivata da questi edifici è illimitata: fino alla loro distruzione essi continueranno a
gene-rare risorse con una cadenza periodica. L’ambiente del campo di battaglia però, anche in
questo caso, vive sullo sfondo di ogni conflitto una storia di devastazione. L’impatto della
forza bellica sul terreno di gioco varia a seconda della fazione coinvolta, lungo una scala
che si muove fra due estremi opposti. Uno di questi due poli è occupato dall’esercito
elfi-10 Come detto Gaia è una ‘civiltà’ non giocabile. Esiste però un cheat code che consente al videogiocatore di abbandonare il controllo della sua civiltà per prendere il controllo degli animali presenti sul campo.
Natura di guerra. Possibilità ecocritiche sullo sfondo dei videogiochi strategici 159
co, le cui truppe necessitano degli alberi per occultarsi, ed è pertanto loro interesse (e del
videogiocatore di conseguenza, per ragioni di gameplay) preservarli. Gli Elfi inoltre sono
alleati con gli Ent, i ‘pastori di alberi’ di Fangorn, non impiegano il fuoco per combattere e
i loro poteri non risultano dannosi per l’ambiente (possono anzi persino rigenerarlo, come
nel caso del ‘Bosco elfico’). Al loro opposto si collocano le forze di Isengard, guidate dallo
stregone Saruman, la cui figura nell’opera tolkieniana è stata letta da alcuni come
denun-cia verso una determinata visione politica ed ecologica
11. Oltre ad abbattere i boschi con
le sue segherie, Isengard dispone del maggior numero di poteri ‘economici’ connessi allo
sfruttamento delle risorse: dalla deforestazione istantanea di ‘Devastazione’ al terreno
con-taminato che rafforza i guerrieri Uruk
12. Emblematica la componente produttiva, in quanto
gli Elfi e Isengard sono agli estremi anche in tal senso: i protettori della foresta hanno
l’eco-nomia più debole fra tutte le fazioni, mentre quella di Isengard è la più florida. Un simile
dato, anche involontariamente, si connette ai temi dello sfruttamento ambientale, e l’ottica
di Saruman è allora – almeno in questo contesto – effettivamente capitalistica e
‘industria-le’. Non solo egli possiede le più avanzate macchine da guerra, ma sa come incrementare il
più possibile la produttività. È il discorso condotto anche da Molleindustria nei sui giochi
sopra citati: la supremazia economica e tecnologica è raggiungibile solo attraverso inganni
e sfruttamento non sostenibile.
Muovendosi nella fantascienza, invece, UaW mostra un conflitto fra tre civiltà aliene
che si affrontano sul pianeta Terra. Come per BfME II, anche qui la raccolta delle risorse
rispecchia le caratteristiche delle rispettive civiltà, ciascuna portatrice di una differente
vi-sione sull’ambiente e l’alterità. La Gerarchia (Hierarchy), per iniziare, è la classica armata
aliena imperialista, che raggiunge nuovi pianeti per prosciugarne le risorse e annientarne
gli abitanti. Essa possiede dei camminatori che vagano per la mappa di gioco mietendo
qualsiasi cosa, dai civili inermi ai lampioni stradali. Anche i Novus, esercito robotico al
pe-renne inseguimento della Gerarchia, inviano per la mappa i loro droni a raccogliere risorse,
ma queste ultime derivano solo dal riciclaggio di macerie e veicoli. Infine i Masari,
antichis-sima razza in equilibrio con le forze del cosmo, non ha bisogno di materie prime, perché
pare ricavare energia dal nulla, sfruttando luce e oscurità. I Masari erano preservatori della
natura e istruttori di popoli; furono loro, in un tempo remoto, a salvare la Gerarchia
quan-do era sull’orlo dell’estinzione, quan-donanquan-dole una nuova tecnologia. La Gerarchia però sfruttò
il potere ottenuto per sconfiggere i Masari e per espandersi nel cosmo, prosciugando gli
altri pianeti. Una delle loro vittime furono i creatori dei Novus, i cui robot continuarono
autonomamente a replicarsi, giurando di fermare gli invasori, per salvare altri popoli ma
soprattutto ottenere vendetta.
11 Saruman che deruba la Natura dei suoi segreti e ne consuma le risorse al fine di guadagnare il Potere, come sottolinea per esempio F. Larcher, Il «Sarumanismo». Cioè il pensiero di Tolkien sui politici, “Endóre”, 5, 2003, 6, pp. 36-37.
12 Del resto, tradizionalmente, la presenza del Male tende a rispecchiarsi nel paesaggio, che diviene vittima del signore oscuro di turno, come illustrato in S. Ekman, Here Be Dragons: Exploring Fantasy Maps and Settings, Wesleyan University Press, Middletown 2013, pp. 194-215.
160 Francesco Toniolo
Dopo lunghi scontri – nella modalità ‘campagna’ di UaW – i superstiti terrestri si
coa-lizzano con Novus e Masari, riuscendo così a salvare doppiamente il proprio pianeta: dagli
invasori alieni e dall’umanità stessa. La progressiva erosione dell’ecosistema terrestre,
in-fatti, stava portando l’umanità sul percorso autodistruttivo già compiuto dalla Gerarchia.
La soluzione, per loro, non dovrà essere, però, una tecnologia aliena calata dall’alto, ma
la ricerca di una nuova consapevolezza verso l’ambiente e verso l’alterità. Il finale non
ap-profondisce, ma è intuibile che ora, con l’aiuto dei nuovi alleati, l’umanità possa imparare
che “la terra non è solo una fonte di beni da consumare, e che il valore delle sue ‘risorse’
non è solo economico. Al contrario [...] la terra è un interlocutore che chiede di essere
ascoltato”
13. Una consapevolezza nei confronti della natura, e dell’alterità, mancante alla
Gerarchia, che ritiene quasi doverosa la sua missione di annientamento dei più deboli, per
una ‘purificazione’ dell’universo.
I tre esempi qui presentati hanno dei punti in comune, a proposito del rapporto con
l’ambiente in un contesto bellico. In primo luogo questo rapporto resta in secondo piano,
perché l’attenzione del videogiocatore è focalizzata, durante la partita, su come sfruttare
al meglio le sue risorse per vincere, piuttosto che sulla loro origine; la frenesia stessa
de-gli strategici in tempo reale impone un focus dell’attenzione sulla battade-glia in corso. In
secondo luogo in tutti e tre i contesti, pur differenti fra loro, spetta a qualcuno al di fuori
dell’umanità (Gaia, Elfi o Masari) la ‘cura’ della natura. È però possibile un ‘risveglio’ di
consapevolezza, anche nel cuore del conflitto: è quanto avviene persino all’implacabile
Or-lok, generale della Gerarchia di UaW, quando riflettendo sullo sterminio dei suoi soldati
giunge a comprendere come la sua specie sia un morbo che distrugge e rigetta natura e
alte-rità (“We’re not a civilization; we’re a disease. We destroy the monuments of races greater
than us”). Più difficile determinare con certezza se un ‘risveglio’ sia ipotizzabile anche per il
videogiocatore. La presenza del rapporto umanità-natura rimane sullo sfondo del conflitto
ma, in maniera più o meno esplicita a seconda dei casi, si ripropone con una certa costanza
nel genere degli strategici militari. Una simile continuità, unita all’effetto dell’agire in
pri-ma persona sull’ambiente
14, può presentare comunque il tassello di un cambiamento – se
questi giochi sono “letti e interpretati in maniera ‘ecologicamente consapevole’”
15– e, in
aggiunta, indicare una sfaccettatura ideologica più articolata di quella militaristica,
imme-diatamente evidente
16.
13 S. Iovino, Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, Edizioni Ambiente, Milano 20152, p. 127.
14 Di interazioni esplicite e implicite parla, fra gli altri, P.D. Murphy, Ecocritical Explorations in Literary and
Cultural Studies: Fences, Boundaries, and Fields, Lexington Books, Lanham 2009, pp. 53-54.
15 S. Iovino, Ecocritica: teoria e pratica, in Ecocritica. La letteratura e la crisi del pianeta, C. Salabè ed., Donzelli, Roma 2013, pp. 17-18.
16 Per due esempi espliciti invece, uno dei quali è uno strategico, si veda G. King, Giocare con la geopolitica.
L’ideologia ludica di “Command and Conquer: Generals” e “Delta Force: Black Hawk Down”, in Gli strumenti del videogiocare. Logiche, estetiche e (v)ideologie, M. Bittanti ed., Costa&Nolan, Milano 2005, pp. 214-228.
l’analisi linguistica e letteraria xxiv (2016) 161-170