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Considerazioni conclusive

Terminata la ricognizione delle ipotesi risarcitorie alle quali, de iure

condito, pare possibile attribuire una funzionalizzazione in chiave

deterrente-punitiva, si è giunti alla fine del percorso che ci si era prefissi di seguire analizzando la controversa figura dei danni punitivi. Partendo da una ricostruzione comparatistica delle diverse versioni del fenomeno, abbiamo evidenziato le specificità strutturali e sistematiche che caratterizzano l’istituto in questione nei diversi ordinamenti dove si è affermato e in quelli che stanno con esso confrontandosi, e ci siamo soffermati in maniera particolare sulle problematicità che sembrano inevitabilmente connesse alla prospettazione di un risarcimento a titolo punitivo, nonché sulle diverse modalità con cui tali profili sono stati affrontati.

Attraverso quest’operazione ricognitiva, siamo arrivati ad affrontare la questione dell’ammissibilità dei danni punitivi nell’ordinamento italiano, in particolare rispetto alla possibilità di superare una ricostruzione in chiave esclusivamente compensativa del risarcimento nel nostro sistema di responsabilità civile.

Le regole di responsabilità nascono per rispondere a esigenze di tutela: in questo senso, esse hanno un’attitudine prettamente “riparatoria”, poiché mirano a ricucire lo strappo che un comportamento colposamente o dolosamente lesivo di diritti ed interessi altrui, ha inferto al tessuto della legalità nelle relazioni umane. Dal fatto che la compensazione costituisce indubbiamente la modalità tipica di riparazione in caso di lesione di situazioni patrimoniali non segue che essa rappresenta la ratio e la funzione esclusiva del risarcimento, a meno di incorrere in una ipostasi. Quando si afferma che un danno deve essere “riparato”, ci si riferisce non solo alla semplice reintegrazione del soggetto leso nello status quo ante, ma piuttosto a

tutte quelle esigenze economiche, morali, legali, e di giustizia, che portano la società a reagire di fronte ad un comportamento in iure et

contra ius. In una limitata percentuale di casi, questa reazione potrà

concretamente eliminare tutte le conseguenze economiche del danno; ma esso ha anche delle conseguenze non economiche che sono meritevoli di tutela e che non possono essere soddisfate con un intervento meramente “compensativo”.

Una volta riconosciuto che il primato della funzione compensativa della responsabilità civile altro non è che il risultato di una spontanea e naturale tendenza della mente umana a “definire il contenuto dei concetti in base all’id quod plerumque accidit” (184

), si presenta tutto un ventaglio di possibili funzioni e usi delle regole di responsabilità, tra i quali non può mancare la riscoperta di quella vocazione sanzionatoria che gli interpreti sono soliti ricollegare ad un passato giuridico in cui la responsabilità civile rivestiva una funzione ancillare rispetto all’intervento primario e principale del legislatore penale. L’ostilità nei confronti della dimensione deterrente-punitiva del risarcimento che è possibile riscontrare nelle più recenti pronunce della Cassazione in materia di condanne straniere al pagamento di punitive

damages è appunto frutto di una resistenza culturale alla riscoperta

della pluri-funzionalità della responsabilità civile, che non trova ragion d’essere nella realtà giuridica; all’interno del tessuto normativo è possibile rinvenire un’effettiva operatività di profili extra-compensativi del risarcimento, anche al di là dell’autonomia contrattuale, nelle ipotesi in cui il legislatore sembra voler ricollegare la condanna risarcitoria non tanto alla concreta verificazione di un pregiudizio, quanto alla stessa illiceità della lesione: questa valorizzazione

184 V. CALDERAI, in Il danno non patrimoniale da lesione dell’identità e della

riservatezza e il trattamento illecito dei dati personali, in E. NAVARRETTA et. Al., I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, Milano, 2010, 296.

dell’iniuria come fondamento dell’obbligo risarcitorio (185

), sarebbe infatti rinvenibile tanto nella previsione di vere e proprie “presunzioni” di danno (186) (come avviene negli artt. 129bis c.c., 96 c.p.c. terzo comma e 709ter c.p.c), quanto nelle tendenze giurisprudenziali e dottrinali ad individuare voci del risarcimento in cui la configurazione del pregiudizio come “danno soggettivo” e “danno conseguenza” tende a sfumare; in particolare nel caso del danno tanatologico, ove se ne ammetta una ricostruzione in termini di “risarcimento capace – sul terreno civilistico e non solo quindi sul versante delle sanzioni penali – di trasmettere ai consociati il disvalore dell’uccisione e la deterrenza della reazione dell’ordinamento.” (187), nonché nella recentissima statuizione del Tribunale di Roma che, chiamato a pronunciare circa la responsabilità – da contatto sociale o da informazioni inesatte – delle società di rating, ha dichiarato sussistente la giurisdizione italiana, poiché, essendo i titoli negoziati appunto sul mercato italiano, in Italia si sarebbe determinato quello che è stato definito, con una formula che non può non suscitare qualche perplessità, “danno iniziale” (188

). Un futuro, esplicito riconoscimento della legittimità e della operatività dei danni punitivi nel diritto italiano, appare dunque più che

185 Ancora una volta, per una ricostruzione dell’iniuria come elemento fondante della

responsabilità civile, tanto contrattuale che extracontrattuale, si rimanda a F. D. BUSNELLI, Atto illecito e contratto illecito, quale connessione, in Contr. e impr., 2013, fasc. 4 – 5, 875 – 916.

186 M. TARUFFO, Presunzioni, inversioni, prova del fatto, in Riv. trim. dir. proc.

civ., 1992, fasc. 3, 733 – 754; P. CENDON – P. ZIVIZ, L’inversione dell’onere della prova nel diritto civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, fasc. 3, 757 – 796.

187 N. LIPARI, Danno tanatologico e categorie giuridiche, in Riv. crit. dir. priv. ,

2012, fasc. 4, 530. In materia si segnala anche: B. GUIDO, Uccisione del congiunto, danno catastrofale, danno tanatologico, e danno parentale: a che punto siamo?, in Resp. Civ., 2012, fasc. 7, 542 – 547; S. SCALZINI, I punti fermi della Cassazione sul risarcimento del danno tanatologico (Nota a Cass. sez. III civ. 14 dicembre 2010, n. 25264), in Danno e resp., 2011, fasc. 11, 1043 – 1049.

188 Il principio giurisprudenziale alla base della suddetta ricostruzione fornita dal

tribunale romano è rinvenibile nel celebre caso C-168/02, Kronhofer, in Int’l Lis, 2004, 121 con nota di P. Franzina, L’elusiva proiezione geografica del danno meramente patrimoniale: la responsabilità da informazioni inesatte tra forum commissi delicti e forum destinatae solutionis.

auspicabile, poiché costituirebbe un notevole passo in avanti nel processo di riqualificazione funzionale delle regole di responsabilità civile, soprattutto in vista di una sua rivalutazione in termini di policy

making.

La diffusione controllata di fattispecie qualificabili in termini di danni punitivi, non dovrebbe essere vista come una temibile forma di accanimento punitivo della società nei confronti di chi abbia causato un danno, ma al contrario, potrebbe essere funzionale ad implementare la tutela delle situazioni giuridiche, ove le liability rules, nella loro configurazione ordinaria, non fossero idonee allo scopo.

Proprio questa chiave di lettura permette di cogliere la portata “punitiva” delle diverse fattispecie che abbiamo analizzato nelle pagine precedenti: il binomio deterrenza-punizione non esclude la tutela, ma è anzi una delle modalità in cui essa stessa si esprime. Nelle fattispecie come quelle previste in materia di violazione dei diritti di proprietà intellettuale, di danno ambientale, di discriminazione, di lesione dei diritti fondamentali, le regole di responsabilità forniscono una tutela inadeguata, perché le conseguenze negative derivanti dai suddetti danni restano in parte fisiologicamente ineliminabili. Poiché gli interessi e i diritti in gioco sono così importanti, e la loro lesione risulta così difficile da riparare, ecco che simili danni dovrebbero essere non tanto risarciti, quanto piuttosto evitati. Ove però i comportamenti potenzialmente lesivi non possano essere vietati, e si debba quindi ricorrere alle regole di responsabilità, secondo quella logica compromissoria che Calabresi ha molto suggestivamente rappresentato nel suo celebre scritto “I doni dello spirito maligno” (189

), allora tali liability rules dovrebbero essere adattate alle specificità del caso.

Il danno punitivo, nella sua funzione deterrente, permette proprio di

189 G. CALABRESI, Ideals, Beliefs, Attitudes, and The Law: Private Law

Prospectives on a Pubblic Law Problem, Syracuse University Press, New York, 1985.

agire in anticipo rispetto al verificarsi della lesione, internalizzando, nella liquidazione del risarcimento, quei costi che il danneggiante riuscirebbe altrimenti a far gravare sulla società, realizzando un illecito efficiente.

In altri casi, come si è visto per il danno morale, è più difficile connotare il risarcimento in senso propriamente deterrente, e la previsione di un risarcimento maggiorato e quindi di una tutela rafforzata, risponde piuttosto ad esigenze di riparazione a fronte di comportamenti, che si possono qualificare come gravemente riprovevoli, e che non potrebbero essere soddisfatte attraverso la mera compensazione del danno subito. La sanzione ha un valore morale, assiologico, legato tanto alla reintegrazione del danneggiante all’interno della dimensione di legalità (non a caso, Ricouer parla di un “colpevole che può essere sanzionato solo in quanto essere ragionevole”), quanto alla soddisfazione del danneggiato e alla catarsi della società.

Fino ad ora abbiamo visto come i danni punitivi possano costituire quella forma di responsabilità adattata, in situazioni in cui la tutela fornita dalle ordinarie forme di risarcimento non risulti sufficiente. In altri casi invece, la previsione esplicita di un risarcimento a titolo punitivo, permetterebbe di estendere non il grado, ma l’ambito della tutela approntata dall’ordinamento: in altre parole, essa permetterebbe la risarcibilità di situazioni che, altrimenti, risulterebbero appunto prive di tutela. In questi casi l’elemento del dolo, e quindi il particolare disvalore sociale che può essere attribuito alla condotta lesiva, permettere la giustificazione di un risarcimento che altrimenti non sarebbe possibile.

Ciò accade non solo nell’ipotesi di cui agli artt. 2059 c.c. e 709ter c.p.c., dove il dolo permette una “giustificazione del risarcimento di un danno morale soggettivo che altrimenti non sarebbe risarcibile ogniqualvolta manchi la lesione di un diritto inviolabile della persona e

il danno si traduca in semplici ma frustranti vessazioni e o patemi” (190), ma anche a fronte della lesione di un affidamento meritevole di tutela, come agli artt. 96 c.p.c. terzo comma e 129bis c.c.

La prospettiva di deterrenza-punizione insita nella previsione legislativa di quelli che possiamo definire danni punitivi, non dovrebbe essere vista come un’indebita intrusione del diritto penale nel diritto civile, né come un istituto con finalità alternative ed incompatibili con quelle di compensazione.

Compensazione, deterrenza, punizione e soddisfazione sono tutte funzioni del risarcimento che tendono, con modalità diverse, alla tutela delle situazioni giuridiche che l’ordinamento si prefigge di proteggere, e proprio questa attitudine non solo legittima, l’introduzione normativa di danni punitivi, ma la rende anche assolutamente auspicabile.

Riprendendo una famosa riflessione di Ponzanelli, possiamo affermare che: “una responsabilità civile che non accarezzi la deterrenza” – e, si aggiunge qui, le altre funzioni della tutela, quali la sanzione e la soddisfazione – “non è una vera responsabilità civile” (191).

190

F. D. BUSNELLI, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito e danni punitivi, op. cit., 937.

191

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