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OICR e partecipazioni di controllo dalla UCITS alla AIFMD

2.5 Considerazioni conclusive

L’analisi svolta si è mossa su due direttrici principali: da un lato, quella delle regole che si applicano alla gestione collettiva del risparmio; dall’altro, quella della regolamentazione e vigilanza prudenziale delle banche e delle istituzioni finanziarie. Le due prospettive sono diverse, ma non incompatibili. La tipica finalità finanziaria secondo cui opera un OICR deve infatti integrarsi con la necessità di garantire il rispetto degli obblighi derivanti dalle norme fondamentali in materia di requisiti prudenziali. Dall’altro lato, i requisiti di vigilanza prudenziale devono tener conto della peculiare natura di un partecipante (qualificato) al patrimonio della banca, che

distinti rispetto a quelli che connotano l’OICR nei suoi elementi tipici e costitutivi, in base ai quali i partecipanti, con gradi di intensità variabili, si dichiarino disponibili o vincolati ad apportare all’OICR tali risorse. Questi impegni, tutta- via, si collocano su di un piano per così dire “parasociale” rispetto a quello proprio dell’organismo di investimento collettivo. Su questi profili ci sia consentito rinviare a F.ANNUNZIATA, op. cit., p. 156 ss.

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a sua volta è soggetto a regimi di vigilanza e di regolamentazione del tutto differenti rispetto a quelli bancari. La tensione che si crea tra le due prospettive tende ad aumentare a seconda della complessità di ciascuna operazione, e del “peso” specifico assunto dall’OICR nel capitale della banca.

Lo stato attuale della legislazione, e le recenti esperienze riguardanti acqui- sti di partecipazioni qualificate nel capitale delle banche da parte di OICR di private

equity, non consentono di trarre conclusioni definitive, sebbene offrano l’opportunità

di rappresentare quantomeno alcune delle questioni più rilevanti che si pongono su questa tematica. Dal quadro attuale emerge un effetto di ibridazione tra due diversi approcci normativi, da cui deriva la necessità di un’interpretazione parzialmente diversa di alcuni degli assunti fondamentali che caratterizzano ciascuno dei settori interessati. Se si considerano le norme relative agli OICR (in particolare la AIFMD), la concezione classica di OICR deve essere riesaminata per tener conto dei requisiti prudenziali specifici dell’impresa partecipata: una tale prospettiva arriva ad incidere sul “codice genetico” dell’OICR. Il concetto stesso di “politica d'investimento” (un elemento chiave nella definizione di OICR) deve essere inserito nel contesto più ampio della regolamentazione prudenziale degli istituti finanziari in cui l’OICR inve- ste: la politica di investimento, infatti, non sarà più caratterizzata, semplicemente, dalla ricerca di un certo profilo rischio/rendimento del portafoglio, ovvero dal rag- giungimento di determinati obiettivi di rendimento, in quanto condizionata dalla necessità di tenere conto di ulteriori interessi – diversi da quelli dell’OICR o dei suoi investitori – rappresentati dalla stabilità e dalla sana e prudente gestione della banca

target. Si tratta di una situazione assolutamente peculiare, che non si verifica quando

un OICR investe in un tipo di impresa che non è (anche) un’entità finanziaria soggetta a vigilanza prudenziale e, più nello specifico, una banca. Di conseguenza, il perimetro degli interessi perseguiti da un OICR viene modificato ed esteso, venendo così a crearsi “quasi istituzionalizzazione” dell’OICR che agisce come azionista qualificato di una banca.

Anche la regolamentazione bancaria è influenzata da questa ibridazione: la presenza di OICR nel capitale di una banca, con una partecipazione qualificata, richiede un approccio differente a questioni fondamentali quali il ruolo dell’azionista di maggioranza della banca, i suoi obiettivi, l’impatto sulla banca dell’utilizzo della leva finanziaria da parte dell’azionista, lo sviluppo dei piani strategici, la gestione del rischio (senza menzionare, ancora una volta, ulteriori questioni che non abbiamo affrontato intenzionalmente in questa sede e che riguardano aspetti del governo societario in senso lato).

Il caso discusso offre anche spunti di riflessione più ampi, in quanto emble- matico delle problematiche prodotte dalla crescente sovrapposizione di fenomeni che si collocano a cavallo dei diversi settori della regolamentazione del mercato finanzia- rio e del mercato dei capitali. Il nuovo scenario normativo, emerso dopo la crisi finanziaria, riscontra un numero crescente di situazioni in cui possono esistere poten- ziali attriti tra i diversi settori normativi e regolamentari: con specifico riferimento al caso trattato, la ricerca di capitale aggiuntivo da parte del sistema bancario dopo la crisi ha necessariamente richiesto approcci non tradizionali. Le banche in cerca di

capitale hanno dovuto rivolgersi ad investitori istituzionali, compresi i fondi di private

equity, che sono finiti per entrare nel capitale delle banche, talvolta con partecipa-

zioni importanti, ma pur sempre con logiche tipiche del settore del private equity. I fondi hanno considerato le banche come un’ottima opportunità per invertire il ten- denziale andamento negativo degli investimenti, riorganizzarsi e generare buoni rendimenti per i propri investitori.

Le grandi riforme che hanno caratterizzato la regolamentazione del mercato dei capitali europeo dopo la crisi finanziaria si muovono ancora – e forse inevitabil- mente – secondo logiche settoriali, lasciando irrisolte molte delle delicate questioni che inevitabilmente emergono in contesti operanti in maniera sempre più integrata, dove la rigida partizione in branche si sta assottigliando, se non scomparendo del tutto. In definitiva, spetta all’interprete cercare di ricondurre il sistema ad un approc- cio più unitario, soprattutto alla luce del fatto che il caso dei fondi di private equity quali azionisti qualificati di banche potrebbe non essere un esempio isolato di questa tendenza.

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