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Il rapido ampliamento dei mercati e l’aumento della competitività accrescono la consapevolezza dell’importanza strategica che assume il rafforzamento del marchio sia in Italia che all’estero.

In questo contesto, il marchio patronimico assume un ruolo strategico importante per le sue innate doti comunicazionali, soprattutto per quelle aziende che semplicemente attraverso la sua adozione, vogliono trasmettere la provenienza dei loro prodotti (c.d. Italian Sound).

Nonostante la giurisprudenza comunitaria stia superando la nota dicotomia tra marchio forte e marchio debole, è possibile ancora affermare che la scelta di un marchio patronimico, purché nuovo, costituisca una giusta strategia.

Il marchio patronimico qualifica, infatti, una forte attitudine individualizzante e caratterizzante per l’originale accostamento che essi risultano atti a suscitare nella mente dei consumatori con i prodotti dell’impresa.

È altrettanto noto che se da un lato la distinzione fra i due tipi di marchio forte e debole si riverbera sulla relativa ampiezza della tutela, generalmente, si tende ad escludere che il marchio costituito dall’uso di un patronimico possa essere considerato debole, sempre che il nome utilizzato non abbia alcuna relazione col prodotto e non venga usato nella consuetudine di mercato per designare una categoria di prodotti” (Cass. civ., sez. I, 14 aprile 2000 n. 4839). Sarebbe quindi un errore supporre a priori che i marchi patronimici possano risultare avulsi dal vizio della debolezza distintiva, dato che, nonostante la rarità di questo vizio nella tipologia dei segni qui considerata, potrebbero risultare anche loro descrittivi quando designano nomi e personaggi che hanno assunto un significato distintivo comune.

momento il messaggio comunicato dal marchio sia sempre coerente e conforme alla realtà dei prodotti che contrassegna.

Questo aspetto diventa fondamentale nei marchi della Moda, i marchi dei cosiddetti creatori del gusto e della moda, i quali comunicano non solo l’esistenza di una certa esclusiva attribuita al titolare di quel segno ma anche un contributo sotto il profilo ideativo ed estetico dello stilista, o quanto meno una sua approvazione stilistica, nonché suggestioni ulteriori che “colorano” il marchio fino a farlo assurgere a simbolo di esclusività.

Proprio con riguardo alla figura dello stilista e al suo nome, che tante volte forma il cuore dei marchio delle maison della Moda, si pone in questo contesto il problema di un potenziale distacco, che può far venir meno quella corrispondenza al vero del messaggio che, in assenza di idonea comunicazione al pubblico, potrebbe ancora far presupporre la direzione stilista del designer, divenendo in questi casi ingannevole e potendo incorrere nella sanzione che lo Statuto di non decettività dei marchi pone a questa sopravvenuta ingannevolezza del segno: la decadenza.

La presenza di uno stilista dietro l’ideazione dei prodotti di un certo marchio è infatti incontestabilmente un elemento essenziale per l''affidamento dei consumatori, posto che la direzione stilistica è proprio lo strumento con cui le case di moda "parlano" al loro pubblico.

Problema diverso è invece quello della possibilità per il designer di poter far uso del proprio nome in diverse attività economiche una volta che questi sia uscito dalla compagine societari dell’aziende originaria.

Superata la tradizionale dicotomia tra uso del segno in funzione descrittiva (sempre lecito) e il suo uso come marchio (e cioè in funzione distintiva, sempre illecito), nonostante il panorama ancora fortemente dibattuto, si dovrebbe optare, anche e soprattutto per una coerenza di sistema, per la piena possibilità

di utilizzo da parte del suo titolare del suo patronimico, anche in funzione distintiva, purché da tale utilizzo non venga a generarsi un comportamento che possa ritenersi non conforme rispetto alla correttezza e professionale, ossia in grado di determinare un indebito agganciamento parassitario rispetto al marchio altrui, nelle forme dell’indebito vantaggio/pregiudizio alla distintività/rinomanza del segno anteriore.

La costruzione normativa oggi sembra fondarsi su un duplice principio: da un lato l’individuazione di un ambito di esclusiva coerente con quello che il messaggio comunicato dal segno esprime sul mercato; di talché la protezione che l’ordinamento gli attribuisce è commisurata a tutte le componenti del segno: da quella storicamente più risalente ma oggi decisamente recessiva della funzione distintiva del marchio a quelle suggestive e a garanzia della qualità. A tale prospettiva se ne affianca una seconda che ha il suo perno fondante sullo statuto di non decettività, che impone al titolare di un marchio cui viene riconosciuta una protezione coerente con le componenti comunicazionali del proprio segno, una importante posizione di responsabilità che lo porti a mantenere costante la conformità tra quanto il proprio segno comunichi al pubblico sul mercato e la realtà concreta cui tale messaggio inerisce, al fine di scongiurare l’inganno nel pubblico.

Una volta che il marchio patronimico è stato individuato, si è visto che non sempre la registrazione deve precedere la sua adozione nelle pratiche commerciali, nonostante ciò rappresenti l’opzione consigliabile.

Il legislatore permette infatti all’utente di percorrere due binari paralleli, che si intersecano solo all’occorrenza, dato che, come abbiamo visto, se l’uso in un territorio è effettivo e non occasionale, l’utente può sfruttare a proprio vantaggio la sua presenza nelle pratiche commerciali per persuadere l’esaminatore nella fase di concessione del titolo.

Al tempo stesso, in alcuni casi, l’uso nelle pratiche commerciali permette all’utente di seguire dei percorsi di registrazione appositamente riservati per quei marchi che vantano già una presenza nel mercato, al punto tale che tale uso mercantile potrebbe addirittura mettere al riparo la domanda da un rifiuto che alcune normative prevendono contro quei segni considerati “mero nome”.

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