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Conteggio in automazione degli eritroblasti e ricadute nella pratica clinica

Nel documento Diagnostica ematologica di laboratorio (pagine 63-66)

Margherita Scapaticci, Andrea Bartolini, Giorgio Da Rin

Introduzione

I globuli rossi nucleati o eritroblasti, comunemente indicati con l’acronimo inglese NRBC (nucleated red blood cells), sono i precursori della linea cellu-lare dei globuli rossi, a differenza dei quali risultano essere ancora provvisti di nucleo. A livello fisiologico essi si riscontrano in piccole quantità (ca. 0.5 x 109/L) soltanto nel sangue periferico di neonati e di bambini prematuri e, come ci si può ben aspettare, il numero assoluto dei NRBC decresce con l’avanzare del periodo gestazionale e l’aumento di peso del nascituro (1). L’insieme dei meccanismi che portano alla formazione di un numero di eri-trociti tale da garantire all’organismo un’appropriata massa di emoglobina funzionale che sia cioè in grado di assicurare l’apporto di adeguati livelli di ossigeno ai tessuti è chiamato eritropoiesi e, così come avviene per il proces-so di ematopoiesi in genere, essa si distingue in diverse fasi che si svolgono in sedi anatomiche differenti: nel sacco vitellino durante i primi due mesi di gestazione, successivamente in fegato e milza, mentre a partire dal settimo mese di gestazione circa e nell’età postnatale questa funzione viene svolta nel midollo osseo (2).

Le cellule staminali emopoietiche (CSE) sono localizzate nel midollo osseo in un microambiente specifico denominato nicchia staminale emopoietica, che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione della loro sopravvivenza, auto-rinnovamento e differenziamento.

La nicchia staminale emopoietica (Figura 1) si compone di una nicchia osteoblastica, che costituisce l’interfaccia tra osso e cavità del midollo osseo ricoperta da osteoblasti dove avviene il processo di auto-mantenimento e quiescenza delle CSE e di una nicchia vascolare, che si trova a livello dei sinu-soidi midollari e che regola i meccanismi di proliferazione, differenziazione e mobilizzazione in circolo delle CSE (3).

La nicchia eritroide si identifica con l’isolotto eritroblastico (Figura 2), che fu descritto per la prima volta nel 1959 da Bessis e che risulta essere costituito da un macrofago centrale che estende le protrusioni citoplasmatiche a un anello di eritroblasti circostanti (4, 5).

Figura 1. La nicchia staminale emopoietica. CSE: cellula staminale emopoietica.

Figura 2. L’isolotto eritroblastico. Immagine originariamente pub-blicata nell’ASH Image Bank. Autore: Maslak P. Titolo: Erythroblastic island – 1. ASH Image Bank. 2008;© the American Society of Hematology.

Bessis paragonò il macrofago ad una cellula con le funzioni di “balia”, ipotizzando che essa fornisse agli eritroblasti il ferro per la sintesi dell’eme. Inoltre, egli ipotizzò che i nuclei estrusi fossero fagocitati dai macrofagi centrali alla fine della differenziazione eritroide. All’interno della nicchia eritroide si verificano dunque i processi di proliferazione e differenziazione. Evidenze sperimentali suggeriscono che gli eritroblasti potrebbero modulare l’integrità dell’isolotto mediante il rilascio di sostanze angiogeniche quali il fattore di crescita dell’endotelio vascolare A (VEGF-A) e il fattore di crescita placentare (PGF) (6).

La maturazione degli eritrociti impiega circa 3-7 giorni e prevede due principali fasi: la moltiplicazione cellulare dei precursori, che risulta associata alla sintesi del DNA, e l’accumulo nel citoplasma di emoglobina. Quando il contenuto di emoglobina raggiunge una concentrazione abbastanza elevata, la sintesi di DNA si arresta e inizia la rimozione degli organuli citoplasmatici, nucleo incluso. Un adeguato apporto di ferro è fondamentale per un’adegua-ta eritropoiesi, infatti circa il 70% del ferro presente nell’organismo è incluso nel gruppo eme e la produzione di nuovi eritrociti nel midollo osseo richiede l’utilizzo dei depositi di ferro dell’organismo. In questo processo, l’attività eritroide del midollo controlla l’omeostasi del ferro e i macrofagi giocano un ruolo importante nel controllare la biodisponibilità di ferro per l’eritropoiesi in quanto hanno il compito di fagocitare i globuli rossi senescenti, riciclando circa 20-25 mg di ferro eme, quantità necessaria per la produzione giornaliera di nuovi eritrociti (7).

Nei neonati sani la presenza di eritroblasti generalmente scompare entro la prima settimana di vita e i disordini che comportano la loro persistenza nel sangue periferico sono associati a complicazioni della gravidanza, come ad esempio ipossia, ipossiemia, asfissia, prematurità, preeclampsia, restrizione della crescita intrauterina, diabete materno, stress fetale di un bambino nato da una madre con ipertensione indotta dalla gravidanza, fumo materno, russamento materno, isoimmunizzazione Rh e altre cause meno comuni come la sindrome di Down, la toxoplasmosi congenita, la sifilide, la rosolia, l’infezione da citomegalovirus e da parvovirus (8, 9).

Tutti gli altri casi in cui la presenza di eritroblasti nel sangue periferico si riscontra al di fuori del periodo neonatale sono invece associati a condizio-ni patologiche e per questo motivo risulta essere molto importante la loro segnalazione nel referto ematologico (10).

Il midollo osseo è dotato, in condizioni fisiologiche, di una particolare architettura che permette soltanto alle cellule normali mature, che hanno la capacità di essere deformabili, di attraversare i piccoli forellini endoteliali per immettersi nel circolo sanguigno, cosa che invece risulta essere piutto-sto difficile a normoblasti e granulociti immaturi, che hanno scarse capacità deformabili. Quando però la struttura della barriera del midollo osseo risulta

essere alterata o distrutta oppure in seguito all’attivazione di meccanismi ematopoietici extramidollari, viene a generarsi una condizione chiamata nor-moblastemia, costituita da presenza di eritroblasti nel circolo periferico (11). Le tre principali condizioni patologiche che risultano essere associate con la presenza di NRBC nel circolo sanguigno sono:

- inefficiente eritropoiesi (es. sindromi talassemiche e sindromi mielodisplastiche);

- sollecitazioni dell’eritropoiesi (es. ripresa dell’eritropoiesi dopo terapie chemioterapiche conseguenti a malattie oncoematologiche);

- anomalie primarie dell’ematopoiesi (es. leucemia mieloide acuta, leucemia linfoide acuta, leucemia mieloide cronica e mielofibrosi idiopatica) (1).

Inoltre, poiché in condizioni fisiologiche la milza provvede alla distru-zione degli eritroblasti che fuoriescono dal midollo osseo, una loro presenza nel circolo sanguigno può essere anche suggestiva di condizioni di asplenia o iposplenia (12).

Dal punta di vista clinico perciò, la presenza di NRBC nel sangue perife-rico offre informazioni preziose sulla progressione di alcune malattie nonché su disordini ematologici insospettati (10). La loro presenza indica la misura in cui il midollo osseo reagisce allo stress e alle malattie ed è correlato con la gravità della prognosi (12). La rilevazione di NRBC nei pazienti ospedalizzati è stata associata ad esempio ad una mortalità significativamente più alta spe-cialmente nei pazienti ricoverati in terapia intensiva (13, 14).

Di conseguenza, la presenza di eritroblasti dovrebbe essere sempre cor-rettamente identificata, anche se in basso numero, in quanto la loro presenza può indicare lo stato primario di una malattia o essere associata ad un out-come sfavorevole (1)

Metodi di rivelazione degli NRBC

Nel documento Diagnostica ematologica di laboratorio (pagine 63-66)