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CONTENUTO ESSENZIALE DEI DIRITTI E DIGNITA’ UMANA TRA CORTE COSTITUZIONALE E GIUDICI EUROPE

SEZIONE I

LA DIGNITA’ UMANA AL CROCEVIA TRA LIBERTA’ E SICUREZZA

SOMMARIO: 1. I cc.dd. ‘diritti assoluti’ nella giurisprudenza di Strasburgo – 2. Le ‘nuove frontiere’ del contenuto essenziale dei diritti nella giurisprudenza comunitaria.

1. I cc.dd. ‘diritti assoluti’ nella giurisprudenza di Strasburgo

Nel presente capitolo si intende verificare la possibilità di accogliere una nozione sostanziale del contenuto essenziale dei diritti: si prendono, dunque, le mosse da casi giurisprudenziali relativi a situazioni di fatto assai ‘critiche’, fronteggiate attraverso misure estreme, che sottopongono a stress le libertà individuali. Si intende osservare se anche in queste circostanze i giudici tendono ad affermare l’esistenza di un residuo di libertà non comprimibile. A tal fine, nella I Sezione si analizzano alcune pronunce relative a provvedimenti adottati a tutela della sicurezza, a seguito dell’esplosione del terrorismo di matrice fondamentalista. Nella II Sezione si evidenzia il collegamento tra prestazioni pubbliche e dignità della persona, e ci si interroga sui limiti alla contrazione dello Stato sociale nei periodi di recessione economica. Nella III Sezione si prendono in esame talune decisioni giudiziarie che hanno declinato in modo contrastante il rapporto tra dignità umana ed autodeterminazione dell’individuo. Nelle conclusioni si delinea il rapporto che intercorre tra garanzia del contenuto essenziale dei diritti, dignità umana e principio di proporzionalità.

Il dibattito sull’esistenza di profili di tutela della persona intangibili anche nelle situazioni di emergenza si pone certo al centro della problematica del contenuto essenziale dei diritti ed evidenzia un paradosso connaturato per definizione al tema

dell’emergenza costituzionale. La congiuntura internazionale evidenzia pressioni ‘fattuali’ che spingono verso il superamento della categoria del contenuto essenziale dei diritti. La cogenza con cui si impone la tutela della sicurezza di fronte all’intensità della minaccia terroristica richiede talvolta soluzioni incisive, che si pongono in tensione con le garanzie costituzionali delle libertà, ed alcune riflessioni sembrano spingersi sino ad escludere l’esistenza di contro-interessi che non siano passibili di venire sacrificati, almeno in particolari circostanze, quando si tratti di proteggere la sicurezza dei consociati.

D’altra parte, la reazione dell’ordinamento alle situazioni che richiedono un intervento con forme giuridiche differenti da quelli ordinarie è pur sempre finalizzata ad affermare la ‘resistenza’ alle aggressioni delle strutture di vita esistenti e la continuità costituzionale. Pertanto, la stessa reazione alle situazioni emergenziali non dovrebbe assumere forme e proporzioni incompatibili con i principi supremi dell’ordinamento 167: “anche durante l’emergenza”, si è detto, “esiste un bisogno di diritto” 168.

In effetti, non si può nascondere che in alcune occasioni si sono verificati scivolamenti verso il basso del piano delle garanzie di libertà: a questo proposito si ricorda la (molto criticata) sentenza della Corte suprema di Israele del 6 settembre del 1999 relativa ai metodi di interrogatorio applicati dal General Security Service 169. Vi si affermò l’impossibilità di giustificare le direttive per lo svolgimento degli interrogatori emanate dai vertici dei servizi che consentivano l’uso della forza fisica sui sospetti di terrorismo: il Governo aveva invocato a fondamento di tali direttive (e delle pratiche ivi descritte) la scriminante dello “stato di necessità”, ma la Corte israeliana ritenne che l’istituto, per sua natura legato a circostanze impreviste, non possa prestarsi a fondare un potere di normazione generale dell’amministrazione 170. Tuttavia, la Corte suprema colse pure l’occasione per formulare un’osservazione de iure condendo, allorché affermò che

167

In una vasta letteratura, v. almeno G.MARAZZITTA, L’emergenza costituzionale. Definizioni e

modelli, Milano 2003, 138 ss.; P.PINNA, L’emergenza nell’ordinamento costituzionale italiano, Milano

1988, 77 ss.; V.ANGIOLINI, Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova 1986, 5 ss. 168

Secondo l’efficace espressione di F.DONATI, Il contributo della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo alla definizione dei poteri di emergenza, in Riv. dir. cost., 2005, 29.

169

Vedila in http://www.derechos.org/human-rights/mena/doc/torture.html. 170

Nelle parole della Corte, “this defence deals with deciding those cases involving an individual reacting to a given set of facts; it is an ad hoc endeavour, in reaction to a event. It is the result of an improvisation given the unpredictable character of the events”, v. punto n. 36 della decisione.

il potere di esercitare “pressioni fisiche” nel corso degli interrogatori si sarebbe potuto a certe condizioni introdurre con legge 171.

Tale soluzione è stata da più parti e in varie sedi censurata 172 ed indicata come una pagina da superare; essa, tuttavia, sembra costituire la punta dell’iceberg rispetto a più diffuse tendenze, dal momento che la problematica incidenza del c.d. “stato di prevenzione” sulle libertà della persona si esprime in numerose ed insidiose forme, sulle quali non sempre riesce ad esercitarsi un controllo giurisdizionale effettivo 173.

Invero, potrebbe chiedersi se non sia da rinvenire nella stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo una tendenza carsica, che episodicamente riaffiora in taluni obiter

dicta, a ‘relativizzare’ la tutela offerta dalla Convenzione al nucleo duro dei diritti

fondamentali della persona, il cui ‘nocciolo’ riposa essenzialmente nel divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti di cui all’art. 3 CEDU 174.

171

Ulteriori ragguagli sulla “sorprendente, oltre che illegittima… prassi… di alcuni tribunali interni tendente a riconoscere esplicitamente la legittimità degli atti di tortura” in G. CATALDI, Osservazioni, cit., 55 ss.

172

V., ad esempio, i riferimenti presenti in J.LUTHER, Ragionevolezza e dignità umana, cit., 10 s. 173

Cfr. E.DENNINGER, Stato di prevenzione e diritti dell’uomo, in ID., Diritti dell’uomo e legge fondamentale, a cura di C. Amirante, Torino 1998, 75 ss., per la definizione dello stato di prevenzione come “stato dell’aspirazione alla massima sicurezza” e per la critica alle tesi che assumono l’esistenza di un “vasto e vago diritto fondamentale alla sicurezza… che in verità non” sarebbe “nient’altro che l’autorizzazione concessa allo stato ad intervenire sempre di più”, dando vita ad “un sistema autoreferenziale e autolegittimante”, 89 ss. Per ampie analisi delle misure adottate negli ultimi anni nelle democrazie occidentali per fronteggiare le minacce terroristiche e sulla loro problematica incidenza sui principi dello Stato di diritto, cfr. A.BENAZZO, L’emergenza nel conflitto tra libertà e sicurezza, Torino 2004; V.BALDINI, Sicurezza e libertà nello Stato di diritto in trasformazione, Torino 2004; P.BONETTI, Terrorismo, cit. Sulla generale tendenza a prescindere dalla instaurazione di un regime giuridico di formale sospensione delle garanzie (stato di eccezione) motivato dalla minaccia terroristica, “considerata come presente a lungo termine in quanto connaturata all’attuale stato dei rapporti della comunità internazionale e dei gruppi e organizzazioni non statali che si muovono nel suo ambito”, G. DE

VERGOTTINI, La difficile convivenza tra libertà e sicurezza: la risposta delle democrazie al terrorismo. Gli ordinamenti nazionali, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2003, corsivo testuale.

174

Il par. 2 dell’art. 15 della CEDU effettua una distinzione tra diritti relativamente garantiti e diritti garantiti in modo assoluto. Rispetto a questi ultimi nessuna deroga è possibile, nemmeno “in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”: si tratta del diritto alla vita, ad esclusione dei decessi risultanti da legittimi atti di guerra, del divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, dell’interdizione della schiavitù e del principio di irretroattività della legge penale, cfr. G. CATALDI, Art. 15, in Commentario alla CEDU, a cura di S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi, Padova 2001, 436.

Suggestioni siffatte scaturiscono, in primo luogo, dalla lettura della sentenza del 18 gennaio 1978, Ireland v. United Kingdom, in cui il giudice europeo ha sindacato la compatibilità con la Convenzione delle misure utilizzate per fronteggiare le attività terroristiche dell’IRA in Ulster nella prima metà degli anni ’70.

A tal fine, leggi speciali avevano riconosciuto alle autorità di pubblica sicurezza la possibilità di disporre limitazioni straordinarie della libertà personale dei sospetti, soggette a controlli giudiziari successivi e limitati. Nell’esercizio di tali poteri, si erano verificati episodi di maltrattamenti ai danni delle persone (ristrette ed) interrogate, secondo quanto già positivamente accertato dalla Commissione. La Corte ha rilevato, tra l’altro, che alcune delle pratiche utilizzate integravano trattamenti inumani o degradanti vietati dall’art. 3 CEDU, constatando che la disposizione non tollera deroghe nemmeno in caso di emergenza pubblica che minacci la vita della nazione e che il suo rispetto prescinde dalla condotta tenuta dal privato.

Tuttavia, la sentenza è ricordata soprattutto per l’affermazione secondo cui l’accertamento del “livello minimo di maltrattamenti” tale da ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 3 CEDU avrebbe “per forza di cose, natura relativa” e dipenderebbe “da tutte le circostanze del caso, come la durata del trattamento, i suoi effetti fisici o psichici e, in alcuni casi, dal sesso, dall’età, dallo stato di salute dell’offeso, etc.” 175. Il riferimento alle circostanze del caso ha destato preoccupazioni, temendo che esse avrebbe potuto aprire la strada, in futuro, a pericolosi distinguo.

Un altro scivoloso esercizio di bilanciamento si rinviene nella sentenza del 7 luglio 1989, Soering v. United Kingdom 176, che ha deciso il ricorso di un cittadino statunitense contro l’esecuzione del provvedimento di estradizione disposto nei suoi confronti dalle autorità britanniche: negli USA, il ricorrente sarebbe stato processato per il duplice omicidio dei genitori della compagna, col rischio di essere condannato alla pena di morte. La Corte ha ritenuto che l’esecuzione del provvedimento sarebbe andata contro l’art. 3 CEDU.

L’esame del ricorso non richiedeva di stabilire se l’art. 3 CEDU vieti l’estradizione verso uno Stato nel quale la persona rischi la condanna a morte: la Corte

175

V. punto n. 162. A prendere sul serio questa impostazione, e ragionando per assurdo, la Corte potrebbe fare a meno di censurare pratiche di sicura inciviltà poste in essere da soggetti esercenti funzioni pubbliche, se realizzate ai danni di persone giovani, robuste e psicologicamente solide; ma una conclusione di questo genere sarebbe certo difficilmente accettabile.

176

Annotata, in Italia, da F.PALAZZO, La pena di morte dinanzi alla Corte di Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 367 ss.

era – invece – chiamata a verificare la lamentata lesione del divieto di trattamenti inumani o degradanti con riferimento a tutta una serie di elementi di contesto alla possibile condanna capitale, quali, ad esempio, i lunghi tempi processuali delle relative impugnazioni (nello Stato della Virginia) e le condizioni della eventuale detenzione nel braccio della morte – dove il ricorrente, in ragione dell’età, del colore della pelle, e della nazionalità, avrebbe presumibilmente rischiato di subire violenze e abusi.

Sebbene il ricorso sia stato accolto, la sentenza si segnala per l’affermazione secondo cui tra gli elementi da tenere presenti nella “interpretazione e… applicazione delle nozioni di trattamento inumano o degradante con riferimento alle ipotesi di estradizione” vi sarebbe anche “la considerazione” che “l’esistenza di paradisi sicuri per i criminali che riparano all’estero non solo costituirebbe un pericolo per lo Stato obbligato ad offrire protezione alla persona in questione, ma tenderebbe altresì a minare alle fondamenta lo stesso istituto dell’estradizione” 177.

In tale passaggio pare ventilarsi la possibilità di ridimensionare la portata del divieto di trattamenti inumani o degradanti per non frustrare l’efficacia delle iniziative coordinate poste in essere dagli Stati allo scopo di stroncare la criminalità trans- nazionale.

Nel contesto della sentenza Soering, l’affermazione ha costituito solo un obiter

dictum: ad ogni modo, essa non è affatto passata inosservata. Ed infatti, nella successiva

sentenza Chahal v. United Kingdom, del 15 novembre 1996, sette giudici della Grande Camera si sono richiamati alla posizione allora espressa dalla Corte nel ricordato inciso. Alla stregua dell’opinione parzialmente dissenziente da costoro allegata alla decisione, l’eventuale violazione dell’art. 3 CEDU in caso di esecuzione del provvedimento di estradizione emanato nei confronti del ricorrente – un separatista Sikh – si sarebbe dovuta valutare effettuando un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti che questi avrebbe subito una volta (espulso) in India e la minaccia per la sicurezza nazionale rappresentata dalla presenza del ricorrente nel Regno Unito 178.

177

V. punto n. 89, anche per la notazione che “inherent in the whole of the Convention is a search for a fair balance between the demands of the general interest of the community and the requirements of the protection of the individual’s fundamental rights. As movement about the world becomes easier and crime takes on a larger international dimension, it is increasingly in the interest of all nations that suspected offenders who flee abroad should be brought to justice”.

178

Per contro, la Corte ha ritenuto che di fronte al rischio che l’individuo, se allontanato, subisca trattamenti vietati dall’art. 3 CEDU, non ci sia “any room for balancing”: le attività svolte dalla persona protetta, per quanto indesiderabili o pericolose, sono state considerate prive di rilevanza ai fini della

L’idea di un bilanciamento nel quale le prerogative essenziali della persona corrano il rischio di soccombere di fronte agli interessi pubblici alla sicurezza e alla repressione dei reati, ventilata – sia pure senza sbocchi concreti – nelle surriferite decisioni appare invero difficilmente compatibile con le tradizioni costituzionali di alcuni Stati europei, nei quali “gli imperativi attinenti al rispetto della dignità umana e delle libertà fondamentali…” integrano “vere e proprie linee portanti della disciplina costituzionale sull’estradizione” 179 – nonché, si direbbe, del medesimo impianto assiologico fondamentale.

Da questo punto di vista, non può evitarsi di richiamare la nota sentenza della Corte costituzionale italiana n. 223 del 1996, allo scopo di evidenziare il diverso modo di procedere nella specie adottato dal giudice delle leggi di fronte a un caso di contrasto tra le istanze di tutela dell’estradando e le pretese del Governo richiedente l’estradizione.

La sentenza ha avuto ad oggetto un profilo che, come accennato, non veniva in questione nel caso Soering, deciso dalla Corte europea: si trattava di stabilire se fosse compatibile con la Costituzione italiana l’estradizione verso Stati che praticano la pena di morte.

Il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità della disciplina contenuta nel codice di rito, siccome integrato dalla legislazione speciale, ai cui sensi si stabiliva che “l’estradizione [fosse] negata qualora il reato sia punibile con la pena di morte secondo le leggi della Parte richiedente”, salvo che quest’ultima “non si impegni[asse] con garanzie ritenute sufficienti dalla Parte richiesta a non fare infliggere la pena di morte oppure, se inflitta, a non farla eseguire”.

Secondo la Corte, nell’ordinamento italiano “in cui il divieto della pena di morte è sancito dalla Costituzione, la formula delle “sufficienti assicurazioni” – ai fini della concessione dell'estradizione per fatti in ordine ai quali è stabilita la pena capitale dalla legge dello Stato estero – non è costituzionalmente ammissibile. Perché il divieto

ricostruzione della portata del divieto, di modo che la Corte non ha avuto bisogno di esaminare quanto allegato dal Governo britannico al riguardo, v. partic. punti nn. 80-82; su tali profili della decisione, la nota senza titolo di B.RUDOLF, in 92 Am. Jour. Int’l Law 73 (1998)

179

Cfr. E.CASTORINA, Art. 26, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino 2006, I, 552 s.

contenuto nell'art. 27, quarto comma, della Costituzione, e i valori ad esso sottostanti – primo fra tutti il bene essenziale della vita – impongono una garanzia assoluta” 180.

A prescindere dal loro oggetto, in parte differente, il confronto tra la sentenza di Strasburgo sul caso Soering e quella della Corte costituzionale sul caso Venezia 181 consente di evidenziare una diversità di approccio, poiché il giudice italiano ha manifestato una maggiore disponibilità a riconoscere l’esistenza di interessi sottratti a bilanciamento.

In verità, però, alla luce delle (già in parte richiamate) differenze ‘di struttura’ tra la Costituzione italiana e la Convenzione europea sarebbe stato più facile prefigurare un confronto ‘a parti invertite’: è scontato ricordare che la Costituzione italiana non contiene la garanzia espressa del contenuto essenziale dei diritti (né, peraltro, un testuale riconoscimento del diritto alla vita) 182; la CEDU, dal canto suo, dispone esplicitamente l’intangibilità assoluta di talune tutele, tra cui appunto il divieto di trattamenti inumani o degradanti 183.

180

V. n. 5 Cons. dir. V. già Corte cost. n. 54 del 1979 per la dichiarazione di illegittimità del regio decreto n. 5726 del 1870, sull’estradizione tra l’Italia e la Francia, nella parte in cui consentiva l'estradizione per i reati sanzionati con la pena edittale della morte nell’ordinamento dello Stato richiedente.

181

Dal nome del ricorrente del giudizio a quo, Pietro Venezia. 182

Sulla vita come “precondizione necessaria di qualsiasi diritto” e per l’affermazione della stessa come oggetto di “un diritto implicito nella nostra Costituzione”, per tutti, F.MODUGNO, I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale, Torino 1995, 16 ss.

183

V. ancora il citato art. 15, c. 2 CEDU. Ad ogni modo, va rilevato che da ultimo la Corte europea dei diritti dell’uomo sembra aver posto una parola definitiva circa l’impossibilità di bilanciare il divieto di subire maltrattamenti nello Stato verso cui è espulso lo straniero, nella sentenza della Grand Chamber del 28 febbraio 2008, resa nel caso Saadi c. Italia. Il ricorrente era un cittadino tunisino, detenuto in Italia dal 2002 al 2006 per sospetta attività di terrorismo internazionale, ma infine condannato, in Italia, per reati privi della matrice terroristica. Frattanto l’imputato era invece stato condannato in contumacia in Tunisia ad una lunga pena detentiva per partecipazione a un’organizzazione terroristica operante all'estero e incitamento al terrorismo. Pendente l’appello avverso la condanna subita in Italia, il cittadino tunisino era stato colpito da un provvedimento di espulsione disposto dal Ministro dell’Interno, sul presupposto che la sua presenza in Italia potesse agevolare talune organizzazioni terroristiche. Saadi ha dunque adito la Corte di Strasburgo, lamentando il rischio di subire torture, maltrattamenti e altre violazioni dei diritti umani cui sarebbe stato esposto in caso di rimpatrio in Tunisia, affermandone pertanto l’illegittimità. La Grande Sezione della Corte ha accolto all’unanimità il ricorso, ribadendo l’orientamento secondo cui non è possibile prospettare un bilanciamento tra i rischi corsi dall’individuo, se rimpatriato, ed i rischi per la sicurezza nazionale derivanti dalla mancata esecuzione del provvedimento di espulsione. Su tale vicenda, cfr. almeno P.BONETTI, Il divieto di subire maltrattamenti nello Stato verso cui è espulso lo straniero è

Tali considerazioni confermano l’idea che la contrapposizione tra documenti che contemplano clausole di salvaguardia del contenuto essenziale dei diritti ed atti che non ne contengono non dovrebbe essere sovraccaricata di implicazioni sostanziali: da codesti dati non sembra possibile trarre precise conseguenze in ordine al concreto atteggiarsi delle tutele dei diritti nei vari ordinamenti. In definitiva, non sembra che questo genere di differenze testuali influenzi in modo significativo la scelta delle tecniche interpretative e dei modelli di bilanciamento da parte dei giudici che operano nei vari sistemi, poiché invece tale scelta appare assai più legata ai modelli culturali di riferimento.

2. Le ‘nuove frontiere’ del contenuto essenziale dei diritti nella giurisprudenza

comunitaria

Malgrado le occasionali tendenze al ridimensionamento del nocciolo duro delle libertà alimentate dalla congiuntura internazionale, una considerazione globale della giurisprudenza europea induce per lo più la dottrina a rilevare “come le esigenze della prevenzione non valgano da sole a giustificare ogni genere di limitazione di diritti fondamentali e, comunque, non possono prevalere a detrimento delle garanzie essenziali dello stato di diritto” 184. Ragionando nella medesima prospettiva, si aggiunge che “la rete delle argomentazioni giuridiche”, pur temporaneamente posta ‘in tensione’ dalle leggi per l’emergenza, “non deve subire lacerazioni in nome della necessità di provvedere, e deve riprendere il prima possibile la sua forma originale” 185.

Alla luce di tali considerazioni, possono esaminarsi alcune recenti vicende in cui il Tribunale di I grado dell’Unione europea ha affermato l’astratta disponibilità a farsi carico della tutela del contenuto essenziale dei diritti di fronte a misure per la lotta al terrorismo – per quanto i risultati in concreto raggiunti abbiano costituito oggetto di penetranti rilievi critici. Si allude alle sentenze del 21 settembre 2005, Yusuf e Al

Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione, in causa T-306/01, e

bilanciabile?, in Quad. cost., 2008, 409 ss.; A. GIANELLI, Il carattere assoluto dell’obbligo di non-

refoulment: la sentenza Saadi della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. int., 2008, 449 ss.; E. CAVASINO, Refoulement verso rischio di tortura e rischi per la sicurezza nazionale. Riflessioni sulle

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