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Il contesto interpretativo

4. Teorie e paradigm

4.1 L'incubo della realtà, la chimera dell'ontologia

4.2.2 Il contesto interpretativo

Cos'è dunque quel contesto di cui poc'anzi abbiamo parlato? La struttura di ogni teoria porta con sé una certa dose di significanti che rendono possibile la descrizione del mondo secondo gli enunciati della teoria stessa. Bisogna ricordare che una successione di teorie in senso stretto in riferimento a un dato evento non ha alcun senso, in quanto le teorie tra loro sono incommensurabili116. Una

successione di teorie può aver senso solo se gli elementi della successione altro non sono se non il rapporto tra la teoria e l'evento oggetto d'indagine considerato come invariabile in concetto. Inoltre, l'uso della successione come strumento di indagine diacronico della storia della scienza è certamente da considerare quantomeno rischioso: la scienza non procede necessariamente verso una direzione prestabilita, né tiene conto di ciò che è induttivamente metafisico. Da

questo si può dedurre il fatto che una teoria che spieghi gli effetti di un dato fenomeno possa risultare – in termini di valore – più soddisfacente di un'altra che potenzialmente descrive meglio gli eventi ma che presenta a sua volta problemi di approccio metodologici differenti. Su questo potrebbero muoversi innumerevoli obiezioni. Ma tali obiezioni verrebbero comunque respinte facilmente: ciò di cui si parla è il collegamento tra la teoria e il fatto, non di entrambi in modo separato e distinto né, a maggior ragione, dei due intesi separatamente. Possono esistere, però, teorie che possiedono una “quantità” di senso maggiore rispetto al loro valore, ovvero alla capacità di queste di ottenere risultati e predizioni perfettamente affidabili. Filosofi della scienza ed epistemologi in generale tendono a considerare più affidabile una teoria che spieghi meglio gli eventi che successivamente portano al “fatto”, mentre gli scienziati – in maniera decisamente più pragmatica – preferiscono puntare decisamente verso una teoria che gestisca meglio i fatti e ne permetta una più compiuta descrizione. Nel primo caso verrà ritenuta migliore la teoria che qualitativamente avvicina di più alla conoscenza dell'oggetto e dell'evento, a scapito stesso della precisione dei risultati; nel secondo invece, pragmaticamente, si riterrà opportuno affidarsi, nella maggior parte dei casi, alla teoria con precisione in termini assoluti più alta. Per il filosofo della scienza e l'epistemologo in generale ciò che maggiormente conta è la conoscenza stessa dell'evento, dell'oggetto, del fenomeno. Ovvero, come avviene? Cosa succede nel momento in cui l'evento avviene? Quali sono gli elementi in relazione con l'oggetto e che interferiscono con l'evento? In che termini questi interferiscono? Come modificano l'idealità dell'evento? Questo non vuol dire che la scienza in sé non miri alla conoscenza. Ma oggi sembra apparire più importante l'ottenimento del risultato, per questa. Soprattutto perché, mai come oggi, le logiche del commercio e dell'economia, miranti appunto all'immediato risultato, hanno preso sempre più possesso delle prerogative proprie della scienza: non è infrequente, infatti, che molti scienziati siano assunti e operino presso grandi gruppi industriali.

In questo senso, le logiche della scienza finiscono per mutare e vengono rese schiave dell'ottenimento del profitto ad ogni costo: lo scienziato mette spesso

in cantina i propri propositi “metafisici” sostituendoli con fini decisamente meno nobili, quale, tra gli altri, l'ottenimento del risultato ad ogni costo. Quello che avviene in casi come questi è una spirale che vede il proliferare di teorie, magari con un elevato di precisione, ma che rendono problematica la produzione di senso. La mancata produzione di senso si palesa ovviamente nell'assenza di riferimenti interpretativi: le teorie diventano sterili serbatoi da cui si ottengono solo predizioni e risultati di tipo numerico. Vi è scarsa possibilità di interpretazione e di costruzione di sapere. Si tratta di teorie “di settore”, utili solo a ricavare ciò che si deve, ma che poco di utile hanno a fini epistemologici. A ben vedere, inoltre, questo tipo di approccio si traduce anche nella ricerca di un determinismo che potremmo definire forzato: l'elevata precisione a livello astratto di una teoria è spesso derivata dal considerare i fatti relazionali che avvengono intorno all'ente oggetto di studio come variabili imposte, come costanti, come insieme unico e approssimabile. Viceversa, una teoria che include un elevato senso e un valore approssimativo permette, se questa è empiricamente produttiva, di favorire una migliore comprensione del mondo. La carenza di precisione, in questo caso, viene tranquillamente mitigata dall'assunzione a priori di approcci matematici quali la statistica e la probabilità che sì, allontanano dalla certezza del risultato, ma che finalmente finiscono anche per rendere conto delle varietà relazionali inprescindibilmente presenti in ogni evento. Questo tipo di teorie possiede un alto possibilità di produzione di senso, che ovviamente corrisponde a una alta possibilità di modificazione del mondo, che, come abbiamo detto in precedenza, avviene sempre tramite le parole presenti nell'enunciato (che siano queste neologismi o nuove accezioni di parole esistenti poco importa, in questo caso). Le parole dell'enunciato si legano inscindibilmente agli oggetti particolari del contesto della teoria creando il legame (il riferimento interpretativo) necessario al fine di produrre senso. Ma se il riferimento interpretativo è legato solo a determinate parole o a determinati concetti, il contesto interpretativo che andremo a introdurre possiede ben altre caratteristiche, che ineriscono soprattutto e particolarmente nei confronti del modo in cui dei concetti si legano alla realtà concreta, che spesso hanno anche una rilevanza determinante per la costruzione

del sapere in un dato momento storico. Una rivoluzione scientifica, in tal caso, è quella che più pesantemente di ogni altra incide nella modificazione del contesto interpretativo. Una modifica radicale del contesto interpretativo, a sua volta, porta con sé anche una altrettanto radicale modifica del modo con cui il sapere “legge” il mondo.

Vediamo allora di capire cosa è, nello specifico, il contesto interpretativo ora introdotto. Ogni teoria, come detto, possiede quelle che potremmo semplicisticamente approssimare a delle parole chiave. Queste parole chiave, come mostrato quando abbiamo parlato del riferimento interpretativo, altro non sono che parole cui la loro accezione è stata modificata con l'introduzione della teoria. Le parole chiave possono anche essere dei neologismi introdotti dalla stessa teoria e che in un modo o nell'altro entrano a far parte del lessico comune*.

In entrambi i casi, si tratta di parole che modificano, tramite l'acquisizione di nuovi significati, in modo comunque mai esattamente quantificabile, l'approccio al mondo della comunità dei parlanti. Quando una teoria forma un suo proprio riferimento interpretativo comincia anche a produrre senso, attraverso l'uso congiunto dei sostantivi a questa legati in ambiti non strettamente previsti dalla teoria ma che ne richiamano il senso espresso dagli enunciati. Il senso, lo ripetiamo ancora, trova la sua naturale posizione nell'espresso. Ma tramite il riferimento interpretativo si formano anche delle parole chiave (siano essi gli aggettivi o gli stessi sostantivi) che agiscono sulla conoscenza individuale e, di conseguenza, modificano la visione del mondo attraverso una ridefinizione della realtà di fatto “aggiustata” dalle nuove potenzialità semantiche espresse dall'unione di fatti con l'espresso della teoria. Non è importante conoscere la quantità di modificazione della conoscenza che una teoria porta con sé (in un centro senso, forse non è nemmeno calcolabile), ma importa sapere che ogni teoria agisce in questo senso in modo più o meno marcato. Se una nuova teoria comporta anche un cambio di paradigma (ad esempio la già più volte citata teoria

* Le parole chiave potranno entrare nel lessico in modi differenti: potranno, ad esempio, essere a solo uso di una cerchia di tecnici, oppure espandersi alla società colta o mediamente colta. Oppure, ancora, avere un'incidenza così forte, una capacità di produrre senso così alta da estendersi, col tempo, all'intera società-collettività.

copernicana), una parte anche sostanziale del mondo, dell'universo, finisce per mutare tramite questa. In questo modo, possiamo riconoscere le teorie come una sorta di lente che si frappone tra l'evento e l'universo in generale e la conoscenza, tra la realtà di fatto e quella di diritto.

Che la teoria sia un'operazione di economia intellettuale o un mero artificio utilitaristico, questo ha poca importanza. Fatto sta che diverse teorie, sul medesimo oggetto di studio, applicano anche modi sostanzialmente differenti di approccio alla realtà. Ne segue, dunque, che il contesto interpretativo è la somma di tutte le caratteristiche con cui la teoria definisce il sistema (o il mondo) che finiscono per agire sul sapere comune. Per esempio, il confronto tra due paradigmi come quello della teoria tolemaica e quella copernicana porta ad una totale ridefinizione dell'universo fino ad un certo punto immaginato. Il contesto interpretativo è dunque soprattutto il modo attraverso cui la teoria “legge” il mondo attraverso il confronto (o la mediazione) operata dallo stesso contesto sociale, dal suo sapere condiviso e accettato. Si opera attraverso i cardini, le parole chiave attraverso cui è possibile definire ciò che ci circonda. Ogni teoria modifica il linguaggio in un modo necessariamente incommensurabile rispetto alle altre che si occupano del medesimo oggetto. Lo stesso oggetto della teoria non è definibile in maniera univoca tra teorie differenti. Muta il contesto al mutare delle metodologie. Se la teoria porta con sé dei “parametri” di riferimento, due teorie differenti contemporanee o messe in successione diacronica renderanno visibili delle differenze insanabili. Non si tratta della modificazione di determinati parametri, ma della sostituzione – potremmo dire coercitiva – di alcuni o molti di questi parametri con altri. Siano questi parametri derivanti dal linguaggio, simili o totalmente differenti, poco importa: le teorie non possono essere messe in serie, tanto meno il modo in cui si pongono in confronto mediante il loro oggetto di studio. Ne deriva, come soluzione, che teorie differenti applicate su medesimi oggetti o campi di studio sono effettivamente incommensurabili. In breve:

Ovvero, la realtà di un determinato fenomeno o oggetto di teoria (x) è definitivamente differente da ogni altra. Non si pone come possibile nemmeno un confronto di teorie in relazione ad un dato oggetto n (per quanto sia comunque possibile e interessante farli per sondare le differenze di approccio). È possibile, invece, il confronto tra le realtà che queste teorie offrono. Si tratta di realtà differenti che, per questo, rientrano nella cerchia delle realtà di diritto, ovvero, giustapposizioni convenzionali alla realtà di fatto. In questo caso, divengono percettibili le differenze che si riflettono sia sul piano strettamente culturale (quello che si sa del mondo) che dal punto di vista pragmatico e metodologico (come ci si approccia alla conoscenza del mondo). Ne deriva che teorie e/o paradigmi diversi producono senso in maniera differente, i loro enunciati diventano quella patina che ricopre il mondo delle loro verità. Poco importa se queste verità siano esse stesse prodotto di uno studio che porta lontano dal processo ontologico: l'economia della scienza prevede il risultato ancor prima della conoscenza ontologica. E se da un punto di vista strettamente pragmatico questo comporta certamente sviluppo e progresso, da un altro questo diviene spesso una difficoltà di non poco conto quando ci si accinge a ricostruire il mondo secondo le nuove regole in relazione al contesto interpretativo fornito dalla teoria stessa.

Il contesto interpretativo è il collante che lega la teoria alla realtà,

sovrapponendosi a questa. È la relazione che intercorre tra i fatti spiegati dalla

teoria e/o dal paradigma e la disposizione degli elementi del sapere nel mondo. In

pratica, diversi contesti interpretativi descrivono differenti mondi. Non si tratta più del solo riferimento interpretativo, dove le parole chiave divengono un tramite di costruzione di senso. Qui è il senso acquisito che ricostruisce, tramite l'espresso degli enunciati, il mondo. Gli elementi di questo contesto sono certamente esistenti nell'enunciato o in conseguenza di questo. Sono, in pratica, i punti nodali attraverso cui la nuova realtà di diritto si lega al mondo, sovrapponendosi alla realtà di fatto. Se una teoria è scientificamente valida, il mondo deve essere come quello ricostruibile tramite gli enunciati in essa descritti e i fenomeni oggetto della stessa. Non v'è altra via d'uscita. Il mondo tolemaico doveva avere la Terra al

centro dell'universo, così come le orbite dei pianeti dovevano anche danzare, tramite il curioso fenomeno degli epicicli, attorno alla loro orbita in un'irrazionale reverenza nei confronti del pianeta prediletto. Tale contesto interpretativo diveniva poi il viatico per costruire il mondo della cultura su quelle basi. La lettura della

realtà è assiomatica per la cultura. E il modo in cui questa viene letta o percepita

ne influenza l'andamento. Giocoforza, in un mondo così palesemente irrazionale (per quanto possa essere semplicistico e scontato dirlo adesso, col senno di poi), altri elementi irrazionali ebbero la possibilità di emergere, rendendo forti, ad esempio, i presupposti religiosi che volevano l'uomo come creatura prediletta di un dio che li aveva simbolicamente piazzati al centro dell'universo. E per questo la teologia divenne prima persino nei confronti della filosofia, allora confinata al semplice ruolo di sparring partner, di comparsa.

Quindi il contesto interpretativo è quel contesto di rapporti e relazioni che

dalla teoria muovono, influenzandola, verso la realtà. Ma quali sono gli elementi

che ci aiutano a costruire il contesto interpretativo?

Il riferimento interpretativo è il primo passo: una volta identificate le parole che daranno senso di interpretazione alla teoria mediante la loro stessa modificazione delle accezioni la teoria assume quella capacità – che si trova comunque al di fuori dell'espressione – di spiegare gli eventi in modo noetico. Si esce dal dominio della logica (la semplice opposizione tra vero e falso) per passare a qualcosa di più epistemologico: la ricostruzione degli eventi in rapporto alla conoscenza. Il primo cardine da tenere ben presente è l'isomorfismo tra linguaggio, pensiero e mondo che è anche il postulato del Tractatus di Wittgenstein. Ma tra questi tre elementi il più importante è senza dubbio il pensiero: è infatti possibile conoscere anche solo attraverso il pensiero. Quando infatti un individuo sperimenta da sé, interpreta i fenomeni attraverso le proprie strutture di linguaggio: queste producono già per conto loro un senso. E poco importa se la ricostruzione del mondo attraverso l'esperienza del singolo possa anche essere parecchio differente rispetto alle regole dettate dalle teorie canonicamente accettate: quello che conta è che, appunto, il pensiero di ciascuno è capace di costruire conoscenza (soggettiva, in questo caso). E il procedimento

operato non sarà comunque molto differente da quello dell'intero mondo scientifico. Siamo certamente di fronte a una forma di “massimalismo scientifico” che farebbe gola a Feyerabend e che si scontra in modo frontale con il “minimalismo scientifico” che vuole tutte le teorie e la realtà scientifica del mondo subordinata alle regole della scienza. Ciò non toglie però che il solo pensiero, aiutato dall'esperienza, è capace di costruire una realtà coerente con ciò che il soggetto stesso sperimenta. Il riferimento interpretativo, ovviamente, si pone su livelli che necessitano dell'esistenza di teorie o, comunque, codificazioni. Quello che avviene quando un riferimento interpretativo nasce è la semplice unione di diversi piani d'immanenza117: l'esperienza comune con la pratica

scientifica. Trovate le parole chiave tramite il riferimento interpretativo, ognuna di questa si lega ad oggetti reali (esperibili) creando un ponte comportamentista, dettato questo dalla teoria. Le parole chiave si legano così ad un contesto, creando dei ponti tra l'oggetto della teoria e la pratica, l'esperienza. Il legame tra oggetti, comportamenti ed esperienza è appunto dominio del contesto interpretativo.

Bisogna, ad ogni modo, cercare di specificare come il contesto interpretativo, a livello sociale, altro non è che la somma di singoli contesti interpretativi provenienti da ogni singolo individuo: nessuno esperisce, pensa, acquisisce, media, impara e si esprime nello stesso modo. Questo comporta anche differenze soggettive sia quantitative che qualitative nella visione del mondo di ciascuno, fermo restando i vincoli imposti dalla teoria stessa. Ma ognuno possiede comunque un suo “proprio” contesto interpretativo. Ed è proprio questo modo di approcciarsi alla conoscenza, non più monolitico – benché comunque ancora paradigmatico, poiché legato comunque al comportamentismo offerto dalle teorie – che avviene la delegittimazione della possibilità di certificare un qualsivoglia standard metodologico in cui possa avvenire una definitiva demarcazione tra scienza e metafisica118. Questo, parafrasando Feyerabend, ci dice ancora una volta

come le teorie altro non sono che modelli. Ma non ci dicono necessariamente che il mondo “funzioni” come i modelli dicono. Viceversa, il fatto che un modello ben si adatti all'esperienza, non è affatto indice di esattezza per il modello. Il tutto

117 Cfr. Deleuze, G., Guattari, F., Che cos'è la filosofia, Einaudi, Torino 1996 118 F. Coniglione, Popper Addio, op. cit., p. 116

rimane sempre all'interno dell'utilitarismo legato all'uso delle teorie. Il modello serve soprattutto a valutare le quantità.

Bisogna inoltre sottolineare come il contesto interpretativo, che nasce comunque dal rapporto tra la teoria e la realtà che questa tende a rappresentare si libera, in un certo senso, della velleità assolutista della teoria. Nel senso comune restano solo le sue linee guida. Il concetto di dato osservativo viene completamente intriso dalla teoria stessa, diviene parte della teoria stessa. Ciò che rimane è solo l'esperito. L'osservato rimane solo sinonimo di mediato (attraverso la teoria stessa). La continua modificazione dei contesti interpretativi legati alla conoscenza del mondo, testimonia, inoltre, il fatto che la scienza non ha nulla di assoluto, che vìola le sue stesse leggi e i suoi stessi modelli ripetutamente, nel caso della scoperta di fatti nuovi. Conseguenza di ciò è la precarietà della conoscenza, cosa che diviene un fattore di arricchimento, piuttosto che una limitazione. Tale precarietà della conoscenza diviene un fattore di complessità a pieno titolo: ognuno è chiamato a verificare la propria conoscenza in ogni occasione, in ogni momento. La precarietà non è un limite, in questo caso. Anzi: è l'elemento che permette all'anomalia di insorgere, a vari livelli. Rende possibile la ridiscussione in coscienza del sapere di ognuno, del confronto con tutto ciò che è monoliticamente codificato. E questo è vero tanto per il soggetto che esperisce che, per estensione, per la società intera, che diviene elemento determinante del contesto nel processo di ridiscussione della conoscenza. E il proliferare continuo di branche del sapere che a loro volta rendono instabile il concetto stesso di conoscenza nel suo senso monolitico, non è un vero e proprio problema, ma anzi rappresenta un grande vantaggio. Di contro, si assiste al fallimento del concetto di ragione. La ragione, che per il logos greco era il fondamento stesso del sapere, si sgretola. Il sapere, la conoscenza, procedono in modo del tutto erratico, casuale, anarchico:

«Una delle conseguenze del pluralismo e della proliferazione [delle scienze] è che non è più possibile garantire la stabilità della conoscenza. Per quanto convincente sia l'appoggio che una teoria riceve dall'osservazione; per quanto ben fondati siano le sue categorie e i suo principi basilari; per quanto forte

sia l'impatto della stessa esperienza, esiste sempre la possibilità che nuove forme di pensiero dispongano le cose in modo differente e portino a una trasformazione perfino delle impressioni più immediate che riceviamo dal mondo. Considerando questa possibilità, possiamo dire che il successo duraturo delle nostre categorie e l'onnipresenza di un certo punto di vista non sono né il segno di una superiorità, né la prova della definitiva acquisizione della verità o di parte di essa. Sono piuttosto il segno del fallimento della ragione nel trovare alternative adatte che potrebbero essere usate per trascendere uno stadio accidentale e intermedio della nostra conoscenza119

Il contesto interpretativo si pone dunque a livello di una “dialettica della scienza”: ben lontano, dalla pretesa del dominio della logica professata dagli scienziati stessi. Mentre la scienza mira alla verità (forse abbastanza ciecamente), la conoscenza vive di consenso: una teoria accettata necessita del consenso sociale per poter modificare il mondo secondo i suoi dettami. Ma il consenso è una proprietà tipicamente sofistica. Una teoria nasce in un contesto di anarchia