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Il contesto storico

Gli Stati Uniti aprirono le porte all’immigrazione nel pieno dell’av-vio del loro sviluppo capitalistico, alla fine del 1800, permettendo agli immigrati di sbarcare attraverso il Porto di New York; una città che in quegli anni, era in forte crescita.

Non dobbiamo dimenticare che milioni di europei qui stabili-tisi, hanno contribuito al suo sviluppo per renderla quella che è at-tualmente, una delle più grandi e importanti città al mondo.

Fino alla fine del 1800 gli imbarchi in Europa verso l’America, avvenivano soprattutto dai porti di Le Havre, Marsiglia, Amburgo e Anversa.

Dagli inizi del 1900 in poi, le partenze di emigranti dall’Italia verso gli Stati Uniti, si erano intensificate notevolmente, pertanto, furono istituite delle tratte di navigazione anche in Italia nei por-ti di Napoli, Palermo, Messina e Genova; quest’ulpor-timo porto sup-portava il trasferimento dei viaggiatori soprattutto in sud America, Buenos Aires, in Argentina, e San Paolo in Brasile.

Le Compagnie di Navigazione pubblicizzavano su larga scala il sogno americano, tramite gli “Agenti d’Emigrazione”, funzionari spesso senza scrupoli che con la loro propaganda arruolavano le persone, promettendo loro ricchezze straordinarie e fortune colos-sali, se disposte a trasferirsi nel Nuovo Mondo.

Le navi trasferivano gli emigranti in America e tornavano in Eu-ropa cariche di merci. Per sostenere le spese della traversata, molti viaggiatori furono costretti a vendere la propria casa, il podere o si indebitarono.

A seconda della disponibilità economica, si viaggiava in prima, seconda e terza classe.

Il costo del biglietto per l’America si incrementò nel corso degli anni di emigrazione. Agli inizi costava 10 dollari, fino a raggiunge-re successivamente anche 40 dollari e comunque, il praggiunge-rezzo pratica-to era inferiore a quello per i treni diretti in nord Europa; perciò, milioni di persone, scelsero di attraversare l’oceano.

“Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar”...

ripeteva una nota canzone dell’epoca.

Nel corso del viaggio, per le classi più povere, il cibo era costitu-ito, prevalentemente, da carne secca e salata, gallette e patate.

Costretti dalla necessità, gli emigranti raggiungevano i porti di partenza italiani con gli affollatissimi treni.

Nella maggior parte dei casi, il bagaglio, costituito da fagotti, sacche, valigie, materassi e coperte, rappresentava tutto ciò che ri-maneva della loro vita, in Italia.

Un fenomeno straziante fu questo della emigrazione che disgre-gò interi gruppi familiari e sotto il profilo umano costituì un dram-ma, non solo per coloro che partivano, ma anche per chi era rima-sto nei paesi d’origine.

I porti di partenza non erano sufficientemente adeguati per ge-stire la grande massa di emigranti in attesa di imbarco, perché man-cavano completamente i servizi igienici e le strutture adeguate per accogliere le persone.

La folla degli emigranti nei porti ebbe anche un impatto nega-tivo sulla città che li considerava con pietà e soprattutto con paura.

Non mancarono episodi vessatori nei loro confronti, la popolazio-ne locale si sentiva invasa e impreparata a tale evento.

Dal 1880 al 1920, saranno circa 4 milioni gli italiani che affron-teranno la traversata per raggiungere gli Stati Uniti, una parte dei quali poi ritornerà in Italia, nel corso dei decenni successivi.

Dobbiamo ricordare anche tutti coloro che scelsero il Canada, il Brasile e l’Argentina, seconda agli Stati Uniti, come destinazione del fenomeno migratorio.

Lo sbarco avveniva presso il Porto di New York, all’imbocco del quale la prima immagine in lontananza che si intravvedeva, era quella della Statua della Libertà che rappresentava il simbolo di benvenuto e di speranza per tutti i viaggiatori.

Per i passeggeri della prima e seconda classe le formalità di sbar-co erano più agevoli perchè venivano ispezionati direttamente nella nave e i controlli erano meno minuziosi.

I passeggeri della terza classe, venivano trasferiti con un battello, presso Ellis Island, un’isoletta di fronte a Manhattan che era diven-tata il centro di smistamento degli immigrati.

Ai tempi di oggi, riferendoci a Lampedusa, sarebbe denominato

“Centro di prima Accoglienza”.

Nel grande fabbricato di mattoni rossi che oggi ospita il Museo della Immigrazione, venivano espletate le lunghe ed estenuanti for-malità di ingresso e le visite mediche, dopo interminabili file di per-sone che si formavano, all’arrivo delle navi.

La Comunità dei Mormoni, esattamente 12.000 volontari del-la “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell’ultimo giorno”, è stata in-caricata dal Governo degli Stati Uniti, di ricostruire il passaggio di tanti Europei arrivati in America dalla fine del 1800 fino al 1925.

Una legge che entrò in vigore in questo anno sulla immigrazio-ne, impose un tetto massimo di ingressi nel Paese (Emergency Quo-ta Act), riducendo drasticamente gli sbarchi.

Nel corso degli anni dal 1920 in poi, i grandi flussi migratori verso l’America diminuirono notevolmente ed iniziarono i viaggi dei rimpatri e dei ricongiungimenti, ma furono tantissimi quelli che non fecero mai più ritorno in Europa.

L’opera senza precedenti della Comunità dei Mormoni, ha con-sentito di rivelare l’entità del fenomeno dell’ immigrazione che fu un vero Esodo:

circa 30 milioni di persone transitate dal 1836 al 1920.

L’attività preziosa dei volontari, ha consentito di rispolverare e consultare tutti i Registri di Sbarco compilati all’epoca, trascriven-do minuziosamente nomi, provenienza e data di arrivo di

quan-ti sono approdaquan-ti a Ellis Island e negli altri porquan-ti degli Staquan-ti Uniquan-ti.

Attualmente, solo una parte dei nominativi contenuti negli Ar-chivi Ufficiali, sono stati impressi lungo il “Memorial Wall”, dove ognuno può ritrovare le proprie origini e la propria storia.

A causa delle condizioni disumane, della malnutrizione, della si-tuazione igienica carente, del freddo e della stanchezza, molti pas-seggeri arrivavano in precario stato di salute, per cui venivano tenu-ti in osservazione per un certo periodo di tempo.

Alla fine della degenza, gli immigrati che non rispecchiavano i requisiti richiesti venivano forzatamente reimbarcati e rispediti nei loro paesi di provenienza, in Europa.

Questa imposizione non fu sempre accettata e costrinse molte persone, per disperazione, a buttarsi nelle acque della baia, andan-do incontro alla morte.

Per questo, Ellis Island era conosciuta anche come “l’isola delle lacrime”.