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Il secondo elemento su cui lavorare è ancora di ordine ideologico e teorico, ma si tratta in questo caso di una dimensione ideologica

in-trecciata con la prassi. Si tratta di rispondere a queste domande: “Cosa significano comunismo o socialismo domani mattina? Se tu, comunista di un paese a capitalismo avanzato, andassi al governo domani, quali sono le tre-quattro cose fondamentali che faresti? Queste cose per chi sono utili e necessarie? Sono necessarie per te, che portandole avanti esprimi un’identità e/o ri-produci un tuo ruolo politico, o sono necessarie a me come lavoratore e come cittadino comu-ne? E come affronterai il conflitto con i poteri economici e sociali che si opporranno alle tue scelte? Come affronterai i rischi sistemici con-nessi a questo conflitto, come contrasterai il po-tere di ricatto capitalistico contro politiche redi-stributive, per il lavoro e ambientaliste?”

Siamo, qui, nel campo della traduzione. Una volta che si sia dotati di un orizzonte di società che incarni meglio degli avversari un’immagi-ne del Nuovo, la si deve tradurre in poche ide-e-forza (come il “pace e terra” di Lenin citato nell’editoriale) che appaiano però anche razio-nali, efficaci e necessarie ad affrontare problemi diffusi e urgenti, oltre che a cogliere potenziali-tà latenti e inespresse. È il terreno della politica come contingenza, come invenzione funziona-le ad affrontare determinate fasi politiche. Una contingenza, però, non assoluta, sempre ricon-ducibile a un progetto di società generale capa-ce di mobilitare e suscitare consenso, radicato in tendenze storiche reali.

Della contingenza fa parte anche il terzo terreno di azione, che è quello del rapporto con il sen-so comune. È inutile dotarsi di un progetto di società e di una sua traduzione potenzialmente efficace, se queste due costruzioni non arrivano al senso comune, e se quando ci arrivano non sono in grado di intercettarne rappresentazioni, bisogni, ambizioni e desideri. Vale la pena di ri-badirlo: non solo bisogni, ma anche ambizioni e desideri, che sono il terreno privilegiato dell’e-gemonia capitalistica.

Da un lato, questo tema riguarda la dimensione della forza sociale e politica (quindi anche elet-torale), la capacità organizzativa e comunicativa di arrivare alla popolazione e al senso comune.

La sinistra alternativa contemporanea, soprat-tutto in Italia, da tempo ha smesso di ragionare nell’ottica dell’acquisizione di forza. Ma le clas-si popolari non sono interessate a soggetti debo-li. Non sono attratte da chi lotta per un quorum.

Non hanno bisogno di aggiungere alla propria debolezza un’altra debolezza. Si avvicinano a chi punta credibilmente a “vincere” o almeno si ponga quell’obiettivo. Ragionare nell’ottica dell’acquisizione di forza (quindi della capacità di suscitare adesione e mobilitazione, di comu-nicare con efficacia e di avere consenso eletto-rale) significa agire sempre – quasi “ossessiva-mente” – essendo orientati al mondo esterno e cercando di massimizzare il proprio ruolo e la propria influenza. La sinistra alternativa italia-na, negli ultimi anni, nella migliore delle ipo-tesi si è concentrata sulla gestione dei propri mondi interni, riservando pochissime energie all’elaborazione tattica e strategica. Il terreno della comunicazione è paradigmatico da questo punto di vista. È chiaro e scontato che mezzi di comunicazione capitalistici non diano volentie-ri visibilità a forze politiche anticapitalistiche.

Ma non ci si può limitare a lamentarsi di questo.

La propria visibilità bisogna conquistarla, qua-si “strapparla”, e ragionare su come lo qua-si possa fare, in una società iper-mediatizzata, è un com-pito politico ineludibile.

Al tema della forza e della comunicazione è le-gato quello del discorso politico. Se si riesce a stabilire una connessione con il senso comune, com’è possibile risultare convincenti? Anche in questo caso, il rapporto non può che essere dia-lettico. Ci si confronta, e si cerca di intercettare, il senso comune e la cultura di massa così come sono, senza fingere o sperare che siano altro. Si utilizzano ai propri scopi rappresentazioni, pa-role e orientamenti presenti nella cultura popo-lare e di massa, facendo leva su alcuni, provan-do a cambiare il senso di altri, aggiungenprovan-done di nuovi che non risultino però alieni rispetto al dibattito corrente e a principi, idee e parole già diffusi. Anche questo approccio fa parte della migliore tradizione marxista. Gramsci scriveva:

Si presenta una questione teorica fondamentale, a questo proposito: la teoria moderna [cioè il

marxismo, NdR] può essere in opposizione con i sentimenti “spontanei” delle masse? (“spontanei”

nel senso che non dovuti a un’attività educatrice sistematica da parte di un gruppo dirigente già consapevole, ma formatisi attraverso l’esperienza quotidiana illuminata dal “senso comune”). Non può essere in opposizione: tra di essi c’è differenza “quantitativa”, di grado, non di qualità: deve essere possibile una “riduzione”, per così dire, reciproca, un passaggio dagli uni all’altra e viceversa.

Un’idea di socialismo e di comunismo non può nascere “in opposizione ai sentimenti spontanei delle masse”. Per fare esempi che riguardano il nostro tempo. Se in una certa fase storica le persone sembrano addebitare la maggior parte dei problemi alla classe politica, si deve appa-rire come i principali avversari del politicismo, del carrierismo e dell’affarismo. Se sembrano ricevere consenso proposte politiche organiz-zativamente innovative (come attualmente i cosiddetti “partiti digitali”), non ci si può limi-tare a riproporre strutture e pratiche inventate

alla fine dell’Ottocento, che furono invenzioni geniali per la loro epoca. Se le persone sem-brano chiedere alla politica di tornare a essere uno strumento di protezione, dal momento che la politica è ancora principalmente limitata alla dimensione nazionale, non si può inorridire di fronte alla parola “nazione” come se significas-se tout court “fascismo”. Si potrebbero fare altri esempi, ma il punto è questo: non si può appa-rire estranei al senso comune diffuso, se si vuo-le parlare “al popolo” e non tra sé stessi. Non bisogna nemmeno semplicemente accoglierlo così com’è, anche perché il senso comune non è “una cosa”, ma un insieme frastagliato e fram-mentario di rappresentazioni e orientamenti an-che molto contraddittori tra loro, all’interno dei quali è sempre possibile lavorare dialetticamen-te, a patto di volerlo fare davvero.

* Loris Caruso insegna Sociologia all’Università di Bergamo. Fa parte della rete di ricercatori e attivi-sti “Il Cantiere delle idee”

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