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il Contratto di lavoro a teMPo ParZiale

Nel documento Jobs Act Guida al 2 (pagine 104-108)

104 Guida al JobS aCt Nello schema di decreto è ancora previsto che le clausole indicate debbano essere pattuite in for-ma scritta, for-ma non si specifica più che il lavoratore può chiedere l’assistenza di un rappresentante sindacale in sede di stipulazione e, soprattutto, che l’eventuale rifiuto all’inserimento nel contratto non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento; conseguenza che si può anche considerare implicita (posto che di regola un lavoratore ha sempre diritto di rifiutare modifiche unilaterali del suo contratto di lavoro), ma la cui specificazione costituiva comunque una maggior garanzia.

Una volta dato il suo consenso alle clausole in esame, il lavoratore non lo può revocare; lo schema di decreto individua specifici casi in cui il consenso può essere revocato, che riguardano i lavoratori studenti e quelli affetti da patologie oncologiche o che assistano persone con patologie oncologi-che o con disabilità grave.

L’eventuale applicazione di clausole elastiche senza il consenso del lavoratore o al di fuori dei limiti legali o contrattuali comporta il diritto ad un risarcimento del danno.

Si intende per lavoro supplementare quello reso in aggiunta all’orario (ridotto) di lavoro concor-dato, ma entro i limiti dell’orario a tempo pieno; trattasi di istituto che riguarda dunque il solo part time orizzontale, dal momento che nel part time verticale l’orario di lavoro giornaliero è già a tempo pieno.

La normativa prevede che per l’effettuazione di lavoro supplementare è richiesto il consenso del lavoratore “ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo”; lo schema di decreto prevede l’abolizione della disposizione che precisa come il rifiuto del lavoratore di prestare lavoro supplementare non possa “in nessun caso” integrare gli estremi del giustificato motivo di licen-ziamento.

Ancora, la legge dispone che i contratti collettivi possano prevedere una maggiorazione da appli-carsi alle ore di lavoro supplementare prestate, che può anche costituire una forma di forfettizza-zione dell’incidenza della retribuforfettizza-zione corrisposta per tali ore sugli istituti retributivi indiretti (ferie, festività, Tfr, ecc.): deve essere sempre la contrattazione collettiva a fissare il numero massimo di ore supplementari effettuabili e le conseguenze del superamento di tale soglia.

Nella nuova disciplina è invece prevista l’eliminazione della disposizione che affida ai contratti collettivi anche il compito di individuare le causali, ovvero le ragioni oggettive, che giustificano l’utilizzo di tali prestazioni.

Inoltre, è prevista l’introduzione di una disposizione che regola l’ipotesi in cui il contratto collettivo applicato non contenga una specifica disciplina del lavoro supplementare; in questo caso, il datore di lavoro può comunque richiedere prestazioni di lavoro supplementare, in misura non superiore al 15% delle ore settimanali, con una maggiorazione della retribuzione, omnicomprensiva, del 15%. Ciò conferma l’intenzione del legislatore di ridurre la rilevanza della contrattazione collettiva nella regolamentazione del part time.

Il rapporto di lavoro può essere trasformato da tempo pieno a tempo parziale, e viceversa. La norma che disciplina questo aspetto (art. 5) è intitolata “Tutela ed incentivazione del lavoro a tempo parziale”; nella nuova normativa si parla solo di “Trasformazione del rapporto”.

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costituire valido motivo di licenziamento; viene però prevista l’abolizione della disposizione che imponeva di convalidare presso la Direzione Territoriale del lavoro l’accordo per la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale.

L’unica ipotesi in cui vi è un diritto di ottenere la trasformazione da tempo pieno a part time è quella del lavoratore affetto da patologie oncologiche con ridotta capacità lavorativa; per il resto lo schema di decreto si limita a ribadire una serie di ipotesi al ricorrere delle quali è riconosciuta la “priorità” nella trasformazione del contratto da tempo pieno a tempo parziale: patologie oncologi-che oncologi-che riguardino familiari; assistenza a familiare portatore di handicap grave; assistenza a figlio convivente portatore di handicap.

Nella nuova disciplina l’unica rilevante novità prevista in materia di trasformazione del rapporto riguarda la possibilità di richiedere (per una sola volta), in luogo del congedo parentale previsto dal D. Lgs. 151/2001, la trasformazione del rapporto a tempo parziale, per un periodo corrispondente a quello dell’aspettativa spettante e con un limite di riduzione dell’orario del 50%.

La legge prevede inoltre che, in caso di assunzione di lavoratori a tempo parziale, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione ai lavoratori in servizio ed a “prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione” a tempo parziale.

Per quanto riguarda l’ipotesi inversa (conversione del rapporto a tempo pieno), la legge prevede un diritto di priorità nelle assunzioni a tempo pieno per i lavoratori che abbiano trasformato il rap-porto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, purchè si tratti di assunzioni relative a mansioni quanto meno equivalenti, che avvengano “nello stesso ambito comunale”.

Lo schema di decreto non prevede invece più la possibilità di inserire nel contratto individuale di lavoro a tempo parziale una clausola che attribuisca un diritto di prelazione in caso di nuove assunzione a tempo pieno.

Infine, la legge stabilisce, e non sono previste significativa modifiche al riguardo, che il lavoratore a tempo parziale ha diritto ad un trattamento non meno favorevole rispetto a quello a tempo pieno con analogo inquadramento, fatto salvo ovviamente il riproporzionamento della sua retribuzione all’orario effettuato.

Il lavoro intermittente, dopo un difficile percorso legislativo (segnato dall’abrogazione integrale dell’istituto nel 2007, dal suo integrale ripristino nel 2008 e da diverse modifiche apportate nel 2012 e nel 2013), viene ora interamente disciplinato dallo schema di decreto, che prevede anche l’abrogazione delle disposizioni di legge che tutt’oggi disciplinano la materia.

Lo schema di decreto, dunque, agli articoli da 11 a 16, sostituisce integralmente la fonte norma-tiva del lavoro intermittente, la cui disciplina resta peraltro sostanzialmente invariata. In buona sostanza, il lavoro intermittente resta il contratto (stipulato per iscritto ai fini della prova) che il datore di lavoro può utilizzare per lo svolgimento di prestazioni discontinue o intermittenti, e ciò secondo le esigenze individuate dalla contrattazione collettiva. In ogni caso, il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato con soggetti di età superiore a 55 anni o inferiore a 24 o, ancora, per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari (quest’ultima ipotesi non è però applicabile nei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo).

Se, come si diceva, l’impianto dell’istituto resta invariato, lo schema di decreto prevede anche alcune modifiche.

In primo luogo, viene introdotto in modo esplicito il divieto di utilizzo del contratto intermittente nelle pubbliche amministrazioni. Al contrario, nella normativa attualmente vigente questo limite non viene esplicitato.

Il secondo aspetto modificato dallo schema di decreto riguarda le conseguenze del rifiuto in-giustificato di rispondere alla chiamata del datore di lavoro (nel caso in cui il lavoratore abbia contrattualmente l’obbligo di rispondere alla chiamata). Infatti, non è più prevista l’eventualità che il lavoratore venga chiamato a risarcire il danno derivante dalle conseguenze del rifiuto di ottem-perare alla chiamata; rimangono quindi come uniche conseguenze possibili il licenziamento e la restituzione di quanto dovuto a titolo di indennità di disponibilità.

Lo schema di decreto ribadisce il principio di non discriminazione e statuisce che il lavoratore intermittente non debba ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo differente e meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello che svolga mansioni equivalenti; rispetto alla normativa precedente scompare invece l’esplicito riferimento ai “divieti di discrimi-nazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente”, comunque applicabili in virtù della normativa generale in materia.

Come si vede, lo schema di decreto ha sostanzialmente lasciato inalterato l’istituto, e forse questo è proprio l’aspetto più negativo. In altre parole, un governo che proclama il suo intento di scon-figgere il precariato, meglio avrebbe fatto ad abrogare un istituto che, appunto, rappresenta il simbolo della precarietà e che già aveva indotto il legislatore, in passato, ad abrogarlo.

Federica Zironi

Nel documento Jobs Act Guida al 2 (pagine 104-108)