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Il contributo della Corte di giustizia all’elaborazione della politica europea di

Accanto ai numerosi interventi modificativi della PAC da parte del legislatore dell’Unione europea, che hanno progressivamente definito l’attuale politica di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, va evidenziato anche il contributo offerto in materia dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

Soprattutto nella prima fase dell’esperienza giuridica comunitaria (oggi europea) in tema di qualità agro-alimentare, le decisioni dei giudici di Lussemburgo hanno indirizzato e talora anticipato le scelte del legislatore europeo al riguardo131.

130 Ai sensi del combinato disposto degli artt. 31 e 2 del reg. (UE) n. 1151/2012, l’ambito di applicazione dell’indicazione «prodotto di montagna» si estende ai prodotti contenuti nell’allegato I al TFUE, ad esclusione delle bevande spiritose, dei vini aromatizzati e dei prodotti vitivinicoli. L’art. 2, in modo conforme a quanto disposto dal 15° considerando che precede il reg. (UE) n. 1151/2012, dispone, inoltre, che per gli altri regimi di qualità, applicabili ai prodotti indicati nell’allegato I al regolamento stesso, «Per tenere conto di impegni internazionali o di nuovi metodi di produzione o materiali, alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati, conformemente all’articolo 56, che integrano l’elenco dei prodotti di cui all’allegato I del presente regolamento. Tali prodotti sono strettamente connessi a prodotti agricoli o all’economia rurale».

131 Accanto alle sentenze della Corte di giustizia considerate nella presente trattazione, vi sono altre pronunce dei giudici europei in materia di qualità che hanno preceduto l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Tra i principi enunciati o ribaditi dalla Corte in tali occasioni rilevano, in particolare, l’obbligo per le istituzioni comunitarie di perseguire le finalità stabilite all’art. 2 del TCE (così Corte di giustizia, 20 aprile 1978, cause riunite 80 e 81/77, Les Commissionaires Réunis

Sàrl ed altri, in Racc., 1978, p. 927; in dottrina si veda G.SGARBANTI, voce Mercato agricolo, in

Digesto IV ed., Disc. Priv., Sez. comm., vol. IX, Torino, 1993, p. 432 ss., in specie p. 442); la

necessità di perseguire, nell’ambito delle OCM, le finalità della PAC, assicurando al contempo esigenze di interesse generale, quali la tutela dei consumatori o la tutela della salute e della vita delle persone e degli animali (così Corte di giustizia, 23 febbraio 1988, Regno Unito di Gran

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Com’è noto, la creazione e il corretto funzionamento di un mercato comune, nel quale garantire la libera circolazione delle merci, anche attraverso un’interpretazione delle norme europee orientata in tal senso, hanno costituito le priorità originarie della Comunità europea.

Soprattutto in seguito alle crisi alimentari degli anni Novanta e alle aspettative così ingenerate nei consumatori in termini di salubrità e di qualità, la sicurezza alimentare e la qualità dei prodotti sono divenute, tuttavia, obiettivi rilevanti del più ampio processo di integrazione europea132.

Come autorevole dottrina ha osservato133, l’intervento della Corte di giustizia ha consentito di realizzare, infatti, tre funzioni fondamentali: ha realizzato un’interpretazione uniforme delle norme europee in materia di qualità sul territorio di tutti gli Stati membri dell’Unione europea, tramite il meccanismo del rinvio pregiudiziale, disciplinato dall’art. 267 TFUE; ha garantito una applicazione corretta delle norme europee (già interpretate in modo uniforme o armonizzato), sia attraverso i ricorsi individuali introdotti dinanzi alle giurisdizioni nazionali, le quali, a loro volta, possono rivolgersi alla Corte di giustizia con rinvio pregiudiziale, sia attraverso i ricorsi avviati dalla Commissione europea contro gli Stati membri, ai sensi dell’art. 258 TFUE (nell’esercizio della funzione di vigilanza sulla corretta applicazione del diritto europeo attribuito a quest’ultima istituzione); ha contribuito al controllo sul rispetto dei Trattati nell’azione delle istituzioni europee, controllo che, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, può essere esercitato dalle giurisdizioni europee anziché da quelle nazionali134.

Bretagna e Irlanda del Nord contro Consiglio delle Comunità europee, in causa 68/86, in Racc.,

1988, p. 855; Corte di giustizia, 23 febbraio 1988, causa 131/86, Regno Unito di Gran Bretagna e

Irlanda del Nord c. Cons. CE, in Racc., 1988, p. 905; Corte di giustizia, 16 novembre 1989, causa

C-131/87, Comm. CE c. Cons. CE, in Racc., 1989, p. 3743; Corte di giustizia 16 novembre 1989, causa C-11/88, Comm. CE c. Cons. CE, in Racc., 1989, p. 3799). Gli orientamenti espressi dalla Corte nelle summenzionate pronunce sembrano rimanere validi anche rispetto ai nuovi obiettivi della PAC introdotti con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009.

132 Circa quello che la dottrina ha definito come il processo di integrazione europea, si veda, per tutti,G.TESAURO, Diritto dell’Unione europea, cit., p. 9 ss.

133 Di tale avviso è A.ALEMANNO, La Corte di giustizia e la qualità alimentare ed agricola, in

Agricoltura e alimentazione. Principi e regole della qualità. Disciplina internazionale, comunitaria, nazionale, cit., p. 170 ss.

134 Si tratta, comunque, di funzioni di origine giurisprudenziale e non legislativa. In tal senso, v. Corte di giustizia 22 ottobre 1987, Foto Frost, 314/85, Racc. p. 4199.

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Una rapida rassegna giurisprudenziale delle principali sentenze della Corte di giustizia che riguardano profili della qualità alimentare consente di fare il punto, allora, sul diverso modo con cui, nel corso del tempo, i giudici dell’Unione europea hanno considerato ed incentivato la qualità dei prodotti sul mercato interno, soprattutto al fine di realizzare una sua migliore comunicazione.

Le sentenze della Corte di giustizia che rilevano per il diritto alimentare riguardano svariati ambiti d’intervento, rappresentando senz’altro una componente significativa del carico di lavoro dei giudici europei.

In proposito, fin dagli inizi del processo di integrazione europea la materia alimentare ha costituito uno dei terreni privilegiati della Corte di giustizia sotto il profilo della libera circolazione delle merci135. In virtù delle regole sul libero scambio, la Corte è stata chiamata ad occuparsi, in particolare, dei prodotti alimentari (principalmente pasta, birra e liquori) e degli ingredienti (si pensi agli additivi alimentari), al fine di assicurarne una circolazione “senza barriere” al commercio sul territorio di tutti gli Stati membri136.

135 Come già ricordato, poiché secondo la Corte di giustizia gli alimenti sono riconducibili al concetto di «merce», in quanto beni suscettibili di valutazione economica e come tali idonei a costituire l’oggetto di scambi commerciali, essi sono soggetti alle disposizioni del TFUE sulla libera circolazione delle stesse (artt. 28-37 TFUE) e sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri (artt. 114-118 TFUE).

136 In proposito, varie sono le occasioni nelle quali la Commissione ha riconosciuto la specificità del settore dei prodotti alimentari e la conseguente necessità di elaborare una strategia

ad hoc, diretta ad eliminare gli ostacoli agli scambi tra Stati membri dovuti a divergenti specifiche

tecniche e qualitative. Cfr. Comunicazione della Commissione «Il completamento del mercato interno», Libro bianco della Commissione per il Consiglio Europeo (Milano 28-29 giugno 1985), cit. (in particolare p. 21); Comunicazione «La realizzazione del mercato interno: legislazione comunitaria dei prodotti alimentari», COM (85) 603 def. (in particolare p. 2). In quest’ultima Comunicazione, la Commissione ha distinto il settore alimentare da quello degli altri prodotti perché oggetto di «una sensibilità particolarmente acuta dell’opinione pubblica, l’esistenza di leggi nazionali generalmente molto particolareggiate, l’assenza quasi totale di norme ai sensi della direttiva 83/189 CEE che definisce la composizione dei prodotti».

Una strategia apposita per i prodotti alimentari è stata specificata nella successiva Comunicazione del 1985, intitolata «La realizzazione del mercato interno: legislazione comunitaria dei prodotti alimentari», c.d. Libro bianco bis, e in quella del 1989 «sulla libera circolazione dei prodotti alimentari all’interno della Comunità», in G.U.C.E. C 271 del 24.10.1989 (soprattutto p. 3 s.), le quali hanno sottolineato la necessità di affiancare al principio del mutuo riconoscimento un utilizzo più efficace della tecnica di armonizzazione della normativa comunitaria. Una migliore armonizzazione legislativa, in particolare, fu conseguenza sia della scelta delle istituzioni comunitarie competenti di limitare la loro azione futura al superamento dei soli ostacoli derivanti da disparità delle legislazioni nazionali, ritenuti giustificabili sulla base della giurisprudenza «Cassis de Dijon», sia dell’abbassamento del quorum deliberativo previsto dall’art. 100 A (introdotto dall’Atto unico Europeo), nonché di una migliore ripartizione fra poteri normativi conservati dal Consiglio e le competenze di esecuzione delegate alla Commissione. Cfr.

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A partire dalle problematiche alimentari sorte negli anni Novanta del secolo scorso il ruolo della Corte di giustizia è divenuto, tuttavia, vieppiù complesso. Oggi, infatti, i giudici di Lussemburgo sono chiamati ad interpretare un insieme composito di norme di diritto derivato, delle quali devono precisare i contenuti, la portata e l’ambito applicativo137.

L’emergere di un quadro normativo ad hoc per i prodotti alimentari, destinato ad assicurare non solo la libera circolazione degli alimenti sul territorio dell’Unione europea, ma anche un livello elevato di qualità degli alimenti e di protezione dei consumatori138, ha evidenziato, in particolare, l’eterogeneità degli interessi meritevoli di tutela e che entrano comunque in gioco nelle relazioni commerciali aventi ad oggetto i prodotti alimentari.

Su queste premesse, la giurisdizione della Corte ha incluso sentenze di vario contenuto, che vanno dalla libera circolazione delle merci alla disciplina delle denominazioni d’origine e alle regole d’etichettatura.

Una prima sentenza con la quale i giudici europei hanno fatto riferimento esplicito alla qualità dei prodotti alimentari ha riguardato, nell’ambito delle regole sulla libera circolazione delle merci, il cosiddetto pane bake-off139.

In Grecia il pane bake-off è un pane precotto e congelato, che viene distribuito ai supermercati e venduto poco dopo avere completato la fase di cottura. Secondo la normativa nazionale, i supermercati che vendevano il pane bake-off erano soggetti alla medesima disciplina prevista per le panetterie dotate di forno, dovendo conformarsi a tutta una serie di obblighi di produzione (locali specifici

L.PETRELLI, I regimi di qualità nel diritto alimentare dell’Unione europea. Prodotti DOP IGP

STG biologici e delle regioni ultraperiferiche, cit., p. 68 ss.

137 Da un punto di vista procedurale, la Corte deve pronunciarsi tanto nell’ambito dei rinvii pregiudiziali, promossi ai sensi dell’art. 234 del TCE (oggi art. 267 del TFUE), quanto con riguardo ai ricorsi per inadempimento diretti contro gli Stati membri, in quest’ultimo caso pronunciando sentenze per la corretta e uniforme interpretazione del diritto dell’Unione europea in materia di qualità.

138 Reg. (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, in G.U.C.E. n. L 31 del 1° febbraio 2002, p. 1 ss.

139 Corte di giustizia, 14 settembre 2006, cause riunite C-158/04 e C-159/04, Alfa Vita

Vissilopoulos c. Trofo – Super Markets e Carfour Marinopoulos c. Ellinko Dimosio, in Racc.,

2006, p. I-08135. Cfr. inoltre le conclusioni dell’avvocato generale M. Poiares Maduro, presentate il 30 marzo 2006.

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per l’impastatura, contenitori specifici per conservare la farina e così via); ciò anche se nei supermercati, di fatto, non avveniva alcuna operazione di produzione, eccezion fatta per la fase finale della cottura. In tale contesto, la Corte di giustizia fu interpellata in via pregiudiziale, al fine di stabilire se e in che misura l’estensione della legislazione nazionale sulle modalità di fabbricazione del pane ai prodotti bake-off, distribuiti ai supermercati, potesse costituire una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa, vietata dall’art. 34 del TFUE.

Facendo applicazione della definizione di «misura d’effetto equivalente» fornita nella precedente sentenza Dassonville140 e discostandosi, al contempo, dalla giurisprudenza Keck141 sulle modalità di vendita, la Corte ha risposto in modo affermativo, ritenendo che imporre un onere così impegnativo ai supermercati greci creava un effettivo ostacolo alla libera circolazione delle merci, vietato ai sensi dell’art. 34 del TFUE (al tempo art. 28 del TCE).

Quando una misura viene qualificata come ostacolo alla libera circolazione delle merci possono rilevare, ad ogni modo, le «cause di giustificazione». Il divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente sancito all’art. 34 del TFUE è derogabile, infatti, per i motivi previsti al successivo art. 36 del TFUE (ex art. 30 del TCE). In base a quanto disposto dall’art. 36 del TFUE, si tratta di deroghe giustificate dalle esigenze di salvaguardia della moralità pubblica, dell’ordine pubblico, della pubblica sicurezza, della tutela della salute, delle persone e degli animali o della preservazione dei vegetali, della protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico e della proprietà industriale, con il solo limite che l’imposizione della misura di salvaguardia non può costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. È di tutta evidenza che le eccezioni contemplate dall’art. 36

140 Come già rammentato, questa celebre sentenza ha definito misura d’effetto equivalente a una restrizione quantitativa agli scambi una qualsiasi normativa commerciale che ostacola direttamente o indirettamente, di fatto o potenzialmente, lo scambio di merci tra diversi Stati membri.

141 Corte di giustizia 24 novembre 1993, Keck e Mithouard, C-267/91 e C-268/91, in Racc., p. I-6097. In questa sentenza la Corte ha precisato che le misure riguardanti le modalità di svolgimento di un’attività commerciale e non il prodotto finale, applicabili a tutti gli operatori nello Stato membro considerato, nella commercializzazione di prodotti sia nazionali che importati, non costituiscono misure d’effetto equivalente a una restrizione quantitativa e, pertanto, non sono vietate dal diritto dell’Unione europea.

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TFUE, sconfinando dalla dimensione economica del mercato comune, si ispirano al criterio della tutela di interessi ritenuti superiori a quello della libera circolazione delle merci.

Nel caso di specie, il governo greco si era esplicitamente appellato alla qualità dei prodotti per sostenere la necessità di estendere ai supermercati l’applicazione della legislazione nazionale sulle panetterie. Ad avviso delle autorità nazionali, invero, soltanto il rispetto dei requisiti di fabbricazione imposti da tale disciplina avrebbe garantito un’adeguata qualità del pane bake-off.

La Corte non ha riconosciuto, tuttavia, la qualità come una causa di giustificazione autonoma, ritenendo che essa potesse essere invocata nell’ambito di applicazione delle regole sulla libera circolazione solamente in combinato con altre cause di giustificazione, quali, in ipotesi, la protezione del consumatore o la tutela della salute pubblica. Secondo la Corte, inoltre, benché dovesse ritenersi legittima la preoccupazione di evitare che il consumatore potesse confondere il pane bake-off con il pane fresco, per pervenire al medesimo risultato si potevano attivare altri strumenti che, nella logica del libero scambio cui è ispirata l’applicazione delle regole sulla libera circolazione delle merci, risultavano senz’altro da preferire.

4. Segue. I principali orientamenti giurisprudenziali in materia di indicazioni geografiche.

Nell’ambito della giurisdizione europea in materia di qualità, rilevano poi le pronunce della Corte di giustizia inerenti la disciplina delle indicazioni geografiche.

A ben vedere, la disciplina delle indicazioni geografiche costituisce da sempre l’area privilegiata di intervento dei giudici europei in materia di qualità. Già dagli anni Settanta142, pur non esistendo ancora una disciplina europea in materia di

142 È nota la sentenza della Corte di giustizia, 11 luglio 1974, C-8/74, Procureur du Roi c.

Benoît e Gustave Dassonville, in Racc., 1974, p. 837 ss. Come autorevole dottrina ha sottolineato,

dal momento che la PAC è stata la prima politica attuata dalla CEE, le sentenze della Corte di giustizia dirette a specificare le regole e gli obblighi degli Stati membri derivanti dal rispetto del

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indicazioni geografiche, la Corte di giustizia ha emesso una serie di sentenze volte a riconoscere la funzione importante svolta dalle indicazioni di qualità non solo per la tutela degli operatori economici europei, altrimenti esposti a pratiche di concorrenza sleale, ma anche per la protezione dei consumatori europei, così messi al riparo da tutte quelle indicazioni idonee ad indurli in errore sull’origine o sulla qualità dei prodotti. Per tali motivi, più volte la Corte ha riconosciuto la compatibilità col diritto europeo delle regole nazionali di tutela delle indicazioni geografiche, utilizzate per i prodotti con caratteristiche di pregio dovute ad un legame speciale col territorio d’origine.

La giurisprudenza che nel corso degli anni si è occupata della valorizzazione dell’aspetto qualitativo e della tipicità dei prodotti alimentari, ha consolidato una serie di principi che hanno ispirato, evidentemente, la stessa definizione normativa delle condizioni per la registrazione e l’utilizzo delle DOP e delle IGP.

Per citare alcune delle sentenze più significative al riguardo, possono essere ricordate le tre pronunce Rioja143, Prosciutto di Parma144 e Grana Padano145, tutte risalenti all’inizio degli anni Duemila146. In tali occasioni i giudici europei

principio della libera circolazione delle merci hanno riguardato la commercializzazione intracomunitaria di prodotti agricoli, così come definiti nell’allegato II del Trattato CEE, ora allegato I del TFUE. Al riguardo, tuttavia, solo agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso la Corte ha precisato il concetto di «misura equivalente all’importazione»: la ragione del ritardo nell’insorgere di una qualche controversia che potesse consentire alla Corte tale interpretazione è stata rinvenuta nel fatto che le istituzioni comunitarie e gli Stati membri inizialmente sono stati molto impegnati nella realizzazione di una unione doganale tra i sei Paesi fondatori della Comunità. Solo il passaggio da una fase di continua espansione a quella di recessione, avvenuta proprio negli anni Settanta, ha incentivato lo sviluppo di barriere non tariffarie, sottoforma di divieti o restrizioni all’importazione. Cfr., in tal senso,L.PETRELLI, I regimi di qualità nel diritto

alimentare dell’Unione europea. Prodotti DOP IGP STG biologici e delle regioni ultraperiferiche,

cit., p. 27; (l’Autore rinvia anche a) F.SNYDER, Diritto agrario della Comunità europea: principi

e tendenze, Milano, 1990, p. 30.

143 Corte di giustizia, 16 maggio 2000, causa C-388/85, Belgio c. Commissione, in Racc., 2000, p. I-3123.

144 Corte di giustizia, 20 maggio 2003, causa C-108/01, Consorzio del Prosciutto di Parma, in

Racc., 2003, p. I-5121.

145 Corte di giustizia, 20 maggio 2003, causa C-469/00, Ravil, in Racc., 2003, p. I-5053.

146 Si vedano anche le sentenze: Corte di giustizia 2 luglio 2009, Bavaria/Bayrisch Bier, C-343/07 (riguardante i regolamenti (CEE) n. 2081/92 e (CE) n. 1347/2001 e la coesistenza tra un marchio e un’indicazione geografica protetta); Corte di giustizia, 12 giugno 2008, Tocai friulano, C-23/07 e C-24/07 (riguardante i regolamenti (CE) nn. 1493/1999 e l’utilizzazione di nomi di varietà di viti o di loro sinonimi); Corte di giustizia 26 febbraio 2008, causa C-132/05, Parmigiano

Reggiano (riguardante l’uso della denominazione “parmesan” e l’obbligo di uno Stato membro di

sanzionare d’ufficio l’uso illegittimo di una denominazione d’origine protetta); Corte di giustizia 25 ottobre 2005, cause riunite C-465/02 e C-466/02, Feta (riguardante la denominazione “feta”).

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hanno precisato che gli obblighi sanciti nei rispettivi disciplinari di produzione dei tre prodotti a denominazione di origine protetta – nello specifico, di imbottigliare il vino nella regione di Rioja, di affettare e confezionare il prosciutto nella zona di Parma, di grattugiare e confezionare il formaggio Grana nella zona di produzione –, pur costituendo misure restrittive degli scambi147, erano giustificati da esigenze di tutela della proprietà industriale e commerciale.

Il controllo sulle qualità e sulle caratteristiche dei prodotti lungo tutto il processo produttivo, da parte dei produttori interessati, è stato ritenuto necessario, infatti, per tutelare la loro autenticità e la loro reputazione presso il pubblico dei consumatori, ben potendo tali esigenze, secondo la Corte, prevalere sul principio della libera circolazione delle merci148. Nella motivazione delle tre sentenze è stato riconosciuto, inoltre, il ruolo insostituibile, per la tutela delle denominazioni d’origine, delle comunità locali presenti sul territorio di provenienza del prodotto,

147 Vista la natura tecnica delle norme di etichettatura, la mancata armonizzazione di esse all’interno degli Stati membri dell’Unione europea può trasformarsi in un ostacolo alla libera circolazione delle merci e, in particolare, in una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione (vietate ai sensi dell’art. 34 TFUE, ex art. 28 del TCE). Per specificazioni tecniche («norme tecniche» o «regole tecniche») si intendono, in forza della direttiva 83/189 del 28 marzo 1983, tutte quelle norme che identificano le caratteristiche di un prodotto in termini di sicurezza, dimensioni, imballaggio, terminologia, metodi e procedimenti di produzione, e così via, la cui osservanza è obbligatoria, de iure e de facto, per la commercializzazione in uno Stato membro. Visto che la mancata armonizzazione di norme di natura tecnica può costituire un limite o una restrizione al commercio europeo, la Commissione si è perlopiù opposta alle iniziative degli Stati membri dirette all’inserimento di indicazioni supplementari in etichetta, aggiuntive rispetto a quelle obbligatorie di qualità. Cfr., tra i molti contributi della dottrina, L. PETRELLI, I regimi di qualità nel diritto alimentare dell’Unione

europea. Prodotti DOP IGP STG biologici e delle regioni ultraperiferiche, cit., p. 54 ss.; P.

ANDREINI e F. LIGONZO, La normativa tecnica, strumento per la qualità e la competizione, in

Qualità. Certificazione. Competitività, a cura di P. Andreini, Milano, ristampa 2008, p. 31; F.

SALMONI, Le norme tecniche, Milano, 2001, p. 1 ss.; A. TOMMASINI, L’etichetta intesa come

regola tecnica e strumento di veicolazione di informazioni dal produttore al consumatore, in R.

SAIJA e A. TOMMASINI, La disciplina giuridica dell’etichettatura degli alimenti, diretto da L. Costato, A. Germanò ed E. Rook Basile, vol. III, Il diritto agroalimentare, Torino, 2011, p. 493 ss.

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