Marco Zamarian, Università di Trento
Introduzione
Molte riflessioni sul tema dei cosiddetti rider sono state condotte iniziando da un’analisi dei rapporti che collegano i fattorini alle imprese che si servono del loro lavoro. In particolare, proprio la forma dello scambio tra impresa e lavoratore, o “fornitore di servizi”, caratterizzata da scarse o nulle tutele, da provvisorietà, da frammentazione, è stata al centro del dibattito accademico, politico e giornalistico.
Di particolare interesse è il fatto che le narrazioni proposte in letteratura sono o di natura entusiastica rispetto a questa forma di organizzazione del lavoro (si parla di rapporto win/win tra impresa e lavoratore) o di contrapposizione antagonistica tra interessi dei lavoratori e delle imprese. Nella prima interpretazione l’accento è sulla capacità di autodeterminazione dei lavoratori; nella seconda cade sulle caratteristiche alienanti degli strumenti
software che regolano i rapporti tra gli attori.
Da queste premesse, ci proponiamo tre obiettivi. Il primo è comprendere in che modo la triangolazione di relazioni propria della gig economy sia connessa con una particolare formulazione del piano strategico di queste imprese. Il secondo è mostrare come la cornice interpretativa dominante della cosiddetta
gig economy sia perfettamente coerente con la teoria del capitale umano, di
ispirazione neo-liberista, in tutti i suoi aspetti più rilevanti (Fleming, 2017). Il terzo è comprendere se sia possibile, e con quali limiti, trasformare in un senso sostenibile, dal punto di vista etico e dal punto di vista aziendale, questa modalità di organizzazione del lavoro. Per approfondire quest’ultimo punto, ci gioveremo dell’illustrazione, in fieri per quanto riguarda la raccolta dei dati e l’analisi, del caso di una giovane impresa italiana che opera nel settore con
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modalità originali e per certi aspetti ortogonali rispetto alle grandi imprese multinazionali concorrenti.
La gig economy, il lavoro dei rider e il suo coordinamento
Il lavoro dei rider è indubbiamente una delle modalità di lavoro caratteristiche della cosiddetta gig economy o “economia dei lavoretti”. Il termine gig sottolinea il carattere provvisorio, estemporaneo, discontinuo e non subordinato (freelance) del lavoro in questione (Merriam-Webster, 2021). Le imprese operanti con questa logica hanno diverse caratteristiche in comune, riguardanti prevalentemente le modalità di coordinamento delle relazioni di scambio tra i diversi attori, che possiamo semplificare nei termini seguenti (Duggan et al., 2020).
La scelta strategica di tali imprese (o modello di business) si basa su una
piattaforma digitale, ovvero si propone di creare valore per gli altri attori rilevanti
(ad esempio i clienti e i fornitori di beni e servizi che sono scambiati, ma anche per i fattorini che trasportano questi beni) fornendo un canale che li mette in contatto. La piattaforma digitale, pertanto, fornisce servizi a una serie di attori che pagano per questi servizi.
Questa modalità fa leva su due strumenti di coordinamento, solitamente, ma non necessariamente, entrambi presenti. Il primo è un software che consiste in una traduzione logica dell’idea di piattaforma1. Questo è lo strumento
essenziale che permette la mediazione tra gli attori che intendono scambiare (Thompson, 1967). Ricorreranno al collegamento con esso, pertanto, il cliente del bene, il fornitore del bene, ed eventualmente il fornitore di servizi accessori al bene (il fattorino, ad esempio). Il lavoro svolto grazie al software della
1 In realtà il software che permette gli scambi non è affatto necessario. Esistono modelli di
business di tipo “piattaforma” che implicano le stesse relazioni che abbiamo descritto e che non
insistono su un software. Ad esempio, le grandi imprese di logistica e trasporto si avvalgono di un sistema di aste per aggiudicare a terze parti i contratti di trasporto meno vantaggiosi, mentre curano con la propria flotta i clienti migliori, ai quali assicurano precisione, puntualità e sicurezza a fronte di costi maggiori. Il legame tra la major e i “padroncini” è del tutto analogo a quanto avviene nel rapporto tra impresa proprietaria della piattaforma e rider.
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piattaforma è normalmente denominato app work, a significare la sua indissolubilità con la piattaforma stessa.
Il secondo strumento è un algoritmo, o insieme di algoritmi, che permette di sostituire alla relazione umana tra dirigente e impiegato una serie di cicli di feedback studiati per costringere il comportamento degli attori. Raccoglie feedback dai diversi attori coinvolti e analizza i loro comportamenti; irroga premi e punizioni al fine di influenzarne i comportamenti. In sostanza, questo insieme di algoritmi svolge tutti i compiti di gestione di solito in capo a una funzione del personale.
Possiamo fare diverse osservazioni su questa modalità di coordinamento. La prima, è che la piattaforma digitale funziona, nel senso che permette uno scambio puntuale tra le parti, solo per compiti che siano stati opportunamente frammentati in porzioni molto semplici da comprendere e da eseguire, e che siano eseguibili individualmente. La possibilità di interazione con il software di coordinamento è molto scarna e non è possibile, nei casi normali, chiedere o fornire ulteriori informazioni agli altri attori con cui si scambia. La seconda è che, nel caso sia impiegato un monitoraggio algoritmico, spesso il lavoratore non riconosce un senso nella relazione tra le azioni che svolge e il feedback che ottiene (Duggan et al., 2020). La terza è che tutti gli attori che interagiscono attraverso la piattaforma sono reciprocamente responsabili delle loro azioni: i fornitori delle loro azioni di trasformazione (tempi, modi, qualità), i clienti delle azioni di accettazione nello scambio (tempi, modi, pagamenti).
Effetti economici e organizzativi del modello gig
La gig economy è stata a lungo considerata la perfetta traduzione delle aspirazioni a una vita lavorativa più libera e autoregolata, con una migliore possibilità di autoaffermazione individuale, una riduzione del carico di lavoro direttivo di coordinamento e di controllo, grazie a questa autoregolazione, e una sostanziale spinta a una maggiore produttività (Miller, Miller, 2012). Questa visione è pienamente coerente con una interpretazione neoliberista, e in particolare con la teoria del capitale umano sviluppata dagli anni 1960 (Becker,
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1962). Il lavoratore non interessa più tanto come fornitore di lavoro (manodopera e pensiero) ma come fornitore di servizi di trasformazione. Per questo diciamo che il suo aspetto rilevante è lo stock di “capitale umano” che detiene (Ashford et al., 2018).
Le implicazioni sono piuttosto ovvie. Riprendendo l’articolata critica di Fleming (2017), possiamo affermare che: le condizioni di lavoro diventano irrilevanti, l’importante è che la “micro-impresa” fornisca il servizio determinato dal punto di vista contrattuale. Le capacità del lavoratore (indipendente) sono a suo carico: deve sostenere i costi del proprio sviluppo personale, ed è responsabile degli effetti delle sue azioni nei confronti del cliente. Infine, i beni o i servizi accessori che gli servono per lavorare sono anch’essi di sua competenza (ad esempio deve comprarsi l’uniforme o i distintivi, se previsti). Il lavoro tenderà dunque a essere più intenso, più stressante, in generale meno orientato al benessere del lavoratore e, soprattutto, a creare meno valore per chi lo svolge, tanto che c’è chi ha coniato il termine “sub-imprenditore” per questa classe di lavoratori (Josserand, Kaine, 2019).
Accanto a queste conseguenze economiche, esistono anche conseguenze organizzative. Quello che abbiamo definito direzione mediante algoritmi comporta la riduzione del lavoro a micro-compiti, impone un monitoraggio stretto al lavoratore e collega in modo immediato la prestazione e la retribuzione (Healy et al., 2017), e per questo c’è chi vede in esso la continuazione del taylorismo con altri mezzi (McGaughey, 2018). Va notato che, analogamente a quanto accade nel taylorismo tradizionale, la scomposizione del lavoro aumenta la necessità di coordinamento e di controllo, anziché diminuirla attraverso la delega. Naturalmente, la frammentazione del lavoro comporta anche la sua banalizzazione e, di conseguenza, produce fenomeni di selezione avversa sul mercato del lavoro, attirando lavoratori con minori capacità. La decrescita nella qualità media delle persone disponibili (quelle buone restano fidelizzate ai lavori buoni) è un forte disincentivo agli investimenti e implica un calo della produttività del lavoro (Autor, Dorn, 2013).
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Esistono esempi di regolazione alternativa del lavoro dei fattorini? Il caso Alfonsino
Il quadro sul lavoro nella gig economy che abbiamo tracciato è scoraggiante, non tanto per le sue implicazioni etiche, quanto perché l’organizzazione del lavoro proposta sembra disattendere le aspettative sulle quali si fonda. E’ lecito chiedersi se si possano conciliare in modo sostenibile condizioni di lavoro diverse da quelle propugnate dalla visione di “capitale umano” con una realtà di “impresa-piattaforma”. Tra i diversi esempi di risposta non standard al problema, ne abbiamo scelto uno per la sua particolare asimmetria rispetto ai casi più noti.
Alfonsino2 è un’impresa che opera nel settore della consegna a domicilio
del cibo pronto, dunque è un’impresa della gig economy. Nasce in un territorio, Caserta, privo di attrattive per le grandi imprese del settore. Può dunque muoversi con una logica almeno in parte diversa. Mantiene al centro del suo modo di generare profitti un’applicazione informatica che media tra chi prepara e vende cibo e chi lo vuole consumare. I profitti vengono da questa attività di mediazione. I ristoranti affiliati pagano un corrispettivo periodico per essere presenti sulla piattaforma digitale e un ulteriore pagamento una tantum all’ingresso. Come per le altre imprese, l’applicazione informatica regola i tempi di scambio tra fattorini, ristoranti e loro clienti. Esiste un importante margine di discrezionalità per ciascun fattorino (chiamato driver, anziché rider, dall’impresa). La turnazione, ad esempio, è collegata alle scelte dei fattorini, i quali, a differenza di quanto avviene nelle principali multinazionali del settore, si coordinano tra di loro per garantire una certa disponibilità, mentre l’impresa non orienta le scelte con premi e punizioni. L’impresa, inoltre, rifiuta l’incorporazione di regole gestionali all’interno del software, che dunque non ha un dispositivo di feedback in grado di produrre effetti automatici sui lavoratori. I
2 Il caso è stato ricostruito sulla base di due fonti principali: un’intervista approfondita al responsabile del personale effettuata in data 26/11/2020 e il sito web aziendale https://alfonsino.delivery/. Dati i limiti della raccolta di dati finora effettuata, l’analisi si concentrerà sugli elementi di regolazione formale dei rapporti tra impresa e fattorini, rimandando a lavori successivi un’analisi più puntuale degli effetti della regolazione sull’effettivo scambio tra impresa e lavoratori.
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rapporti tra l’impresa e le persone sono regolati con un contratto di collaborazione, con posizione assicurativa e previdenziale chiara. Il sistema di carriera e di ricompensa è meritocratico, ma in modo svincolato dal grado di soddisfazione dei clienti verso il singolo fattorino. Esso è invece connesso con una valutazione complessiva della persona, operata dalla funzione di gestione del personale.
I dirigenti dell’impresa sono convinti della possibilità di restare sul mercato grazie alle proprie scelte di posizionamento. La scelta di mercati più piccoli li ha, di fatto, resi monopolisti in alcune città di provincia; non soffrono dunque della concorrenza di prezzo delle grandi imprese. Inoltre, Alfonsino opera nella fascia alta del mercato che permette, da un lato, di attirare clienti (ristoratori) che sono disposti a riconoscere un premio, dall’altro, di arricchire la propria offerta vendendo a questi clienti piani di marketing dedicati, in aggiunta al servizio di base. Queste scelte rendono sostenibile il tipo di scambio proposto ai fattorini. Scambio che può diventare virtuoso, in quanto le condizioni proposte promuovono la stabilità del rapporto e un progressivo affinamento delle capacità dei singoli.
Conclusioni
Questo contributo esamina alcune delle principali contraddizioni della lettura dominante alla cosiddetta gig economy. Le promesse di maggiore autonomia decisionale, di autodeterminazione e di riduzione dei bisogni e dei costi di coordinamento del lavoro hanno prodotto un clima favorevole allo sviluppo del particolare modello di “impresa-piattaforma” che abbiamo descritto.
In realtà, la frammentazione del lavoro in micro compiti produce meno senso e meno autonomia per il lavoratore, più necessità di monitoraggio per l’impresa e comporta svantaggi tali da produrre una selezione avversa sul mercato del lavoro. Le gig, pertanto, non sono più lavoretti cha aiutano ad arrotondare altre fonti di reddito, ma diventano l’unica porzione di mercato del lavoro disponibile per i lavoratori più deboli secondo il capitale umano. I
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tentativi di uscire da questa trappola sono interessanti per i lavoratori, ma anche per le imprese. Abbiamo proposto un esempio di impresa che si caratterizza per l’infrazione quasi sistematica dei principi standard delle imprese dominanti nel settore. Queste infrazioni, da un lato sono funzionali a una maggiore sostenibilità delle relazioni tra lavoratore e impresa, dall’altro lato sottolineano i limiti e i paradossi della gig economy.
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