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CORPUS E QUESTIONI ATTRIBUTIVE

NOTA AL TESTO

2. CORPUS E QUESTIONI ATTRIBUTIVE

Il corpus delle rime di Fazio incluso nella presente edizione rispecchia quasi per intero quello proposto da Giuseppe Corsi nella sua edizione del 1952, che a sua volta aveva sottoposto a opportuna scrematura la ben più ampia compagine di testi offerta da Rodolfo Renier nel 1883. Rispetto all’ed. Corsi si segnala la “promozione” tra le rime autentiche della canzone Amor, non so che mia vita far debbia (dubbia anche per Renier):100 non c’è infatti motivo di diffidare dell’indicazione fornita dall’unico codice che tramanda il testo (Fn5) e, anzi, alcune consonanze linguistiche e tematiche, oltre alla scelta della rima sdrucciola, sembrano assicurare la pertinenza dell’attribuzione. Per contro, è stato posto tra le rime di dubbia attribuzione (Appendice III) il capitolo ternario O glorïosa e potente reina, sempre accolto tra le genuine dai precedenti editori sulla base dell’attribuzione fornita da V20, unico latore del testo. Le riserve che hanno indotto a questa decisione sono soprattutto di carattere stilistico, specie nel raffronto con l’altra lauda di Fazio: in particolare, si notano un’estrema povertà espressiva e l’assenza di tratti danteschi (per una disamina più approfondita si veda il cappello introduttivo al testo). Tra le rime dubbie ha trovato posto anche la stanza isolata della canzone Stasse d’acute spine aspre e pungente, nell’impossibilità di accertare – a causa dell’esiguità della porzione di testo – se l’attribuzione del testimone unico Mt2 (che definisce il lacerto «sonetto») sia attendibile (i versi paiono però piuttosto distanti dal resto della produzione di Fazio, né lo schema metrico ricorre altrove tra le sue canzoni).

Nell’Appendice I («Frammenti») si leggono altri due testi – per motivi diversi – lacunosi: si tratta del sonetto scambiato con il Beccari [Voi] avete discorso fino a l’âre, conservato da Fl12, che presenta l’asportazione di parte della carta in corrispondenza del componimento (sopravvive invece la proposta di maestro Antonio); e della canzone O voi che avete gli animi disposti, solo parzialmente trascritta nella copia autografa di G.M. Barbieri dell’Arte del rimare (Ba4).

Sono stati infine collocati in una apposita sezione (Appendice II, denominata «Rime attribuibili») sei componimenti tràditi da Nh, che, benché adespoti, possono essere assegnati con buona probabilità al rimatore pisano per ragioni interne (inclusione dei testi nella sezione del codice che si desume assegnata a Fazio) e stilistiche (presenza di sintagmi attestati altrove nei suoi componimenti, utilizzo di analoghi schemi metrici, ecc.).101

Restano dunque da passare in rassegna tutti gli altri testi che nella tradizione manoscritta circolano sotto il nome di Fazio, ma che sono stati esclusi dall’edizione in quanto non sembrano potergli competere. Partiremo innanzi tutto da quelle rime che pertengono ad altri autori: la canzone Cruda, selvaggia, fugitiva fera di Bartolomeo da Castel della Pieve è assegnata a Fazio da Fl12 (cc. 76r-77r), T (167r-169r) e G (85r-86v);102 dello stesso

Bartolomeo è la canzone D’amoroso conforto, il mio cor vive, data all’Uberti da Fl12 (cc. 86v- 87r).103 Ben sei codici gli conferiscono invece Quella virtù, che ’l terzo cielo infonde di Biondo di Cione del Frate da Siena: si tratta di Fl18 (c. 99v), Pp3 (17r), Si (96r-98r), V19 (92r), e dei

100 Lo stesso Corsi la riscattava già nella sua successiva raccolta dei Rimatori del Trecento, inserendola tra le rime

sicure di Fazio (cfr. CORSI 1969: 257-260).

101 Per la discussione dei problemi attributivi dei sei testi vd. le singole introduzioni a ciascun componimento. 102 Cfr. CORSI 1969: 509-513, e, per una sintetica descrizione della tradizione, pp. 506-507; cfr. anche NOVATI

1894: 211.

103 Cfr. NOVATI 1888: 211, che segnala quattro mss., di cui tre stanno per Bartolomeo. Per l’edizione del testo

NOTA AL TESTO CIII

Riccardiani 1126 (114v-116v) e 1717 (17r).104 Si e Pp3 – codici tra loro apparentati e in

generale poco affidabili sia per la lezione che per le attribuzioni – accordano al nostro autore anche Morte, perch’io non truovo a cui mi doglia (rispettivamente cc. 15r e 72v): la canzone, a lungo ritenuta di Dante, è in realtà di Iacopo Cecchi.105 In V2 (cc. 426r-427r) e V19 (cc. 93v- 96v), invece, è O dea Venus, madre del disio di Niccolò Soldanieri a essere rubricata sotto il nome di Fazio.106 Numerose sono poi le isolate ed erronee attribuzioni di singoli codici: così

in Fn21 (c. 139r) si dà all’Uberti la canzone Mal d’Amor parla chi d’amor non sente di Bruzio Visconti; in Fn5 (cc. 102v-103v) Amore, i’ prego c’alquanto sostegni di Giovanni Dall’Orto; in V2 (cc. 429r-430v) e Rn2 (c. 20r) le due di Antonio Beccari Vertù celeste in titol trionfante e Non

seppi mai che cosa fosse Amore (lo scambio, in questo caso, sarà stato favorito dall’amicizia intercorsa tra i due poeti);107 e in V21 (cc. 120r-121v) addirittura la dantesca Così nel mio parlar vogli’esser aspro (ma la rubrica è aggiunta da mano più tarda).108

Venendo ora ai testi d’incerta o ignota paternità, altresì da scartare è l’attribuzione a Fazio della fortunata canzone Io vorrei prima stare in mezzo un fango, che gli viene assegnata in Fn5 (cc. 100v-101v), Si (70r), Pp3 (14r), V19 (92r) e Rn2 (c. 19r-v): CORSI 1952: II, 371-373, sottolineando come si tratti di codici poco attendibili per quanto riguarda le attribuzioni, la ritiene piuttosto opera di Monaldo d’Orvieto.109 Discorso analogo si può fare per Deh muta

stile hormai giovenil core (in questo caso sta per Fazio il solo cod. 1739 della Bibl. Univ. di Bologna [c. 118v]), per cui si può avanzare la candidatura del padovano Iacopo Sanguinacci.110 Forse boccaccesca è la canzone O fior d’ogni città, donna del mondo, che nel tardo V2 (cc. 433r-434v) è data a Fazio, pur con incipit lievemente discordante (O fior d’ogni

virtù, donna del mondo).111 La canzone O povertà, così ti strugga Iddio è invece tràdita da tre codici:

Pp2 e Pp3 (tra loro affini) sono per Fazio (con incipit: O povertà che tti distrugha idio), mentre Nh la dà adespota; Giovanni Maria Barbieri nel suo trattato Dell’origine della poesia rimata (Modena, Presso la Società Tipografica, 1790, pp. 167-168), nel riferire i primi due versi da un codice oggi perduto (con l’indicazione «Vacch. car. 71»), la attribuiva a tale Manettino da Firenze, altrimenti ignoto, a cui comunque probabilmente pertiene, come ha in seguito ribadito Santorre Debenedetti, occupandosi della questione.112 Già rifiutata da Renier era la candidatura di Fazio per la Passio domini nostri Jesu Christi in distici di endecasillabi che il cod. Magliabechiano II.IV.248 della Biblioteca Nazionale di Firenze gli assegna: in effetti il testo appare stilisticamente molto lontano dalle altre prove di carattere religioso del poeta pisano.

104 Da notare, peraltro, che il novero delle testimonianze a favore di Fazio si può quasi dimezzare dal punto di

vista stemmatico, considerando che Fl18 e V19 discendono da un antigrafo comune, così come Si e Pp3. Per

l’attribuzione del componimento a Bindo cfr. LEVI 1915; per il testo, l’elenco dei codici e la bibliografia pregressa cfr. CORSI 1969: 213-223.

105 Cfr. CORSI 1969: 432-438.

106 Per il testo cfr. CORSI 1969: 767-770.

107 Anche alcuni testi di Fazio circolano in vari testimoni con attribuzione al Beccari: così ad es. le canzoni

Lasso!, che quando e Io guardo i crespi in Fl7 o Ahi donna grande in Fr9.

108 Per i testi delle canzoni cfr. rispettivamente PICCINI 2007a: 89-94, ZACCAGNINI 1936: 95-98, BELLUCCI

1972: 54-61 e 118-121, DE ROBERTIS 2005: 6-17.

109 Dello stesso avviso, d’altronde, già lo stesso RENIER 1883: CCXCVII (che però, pur prospettando l’ipotesi,

pubblicava la canzone tra le genuine), BILANCIONI 1893: 431, e BARBI 1915: 482 n. 1. CORSI 1969: 911-916, nel ribadire la possibile attribuzione a Monaldo, prudenzialmente stampava il testo nella sezione «Rime di dubbia autenticità e anonime».

110 Così proponeva ZAMBRINI 18844: 141 (e vd. anche BILANCIONI 1893: 621); per il testo cfr. FRATI 1913: I,

189-191.

111 Per il testo cfr. BOCCACCIO, Rime II 39.

112 Cfr. DEBENEDETTI 1912b, che sottolinea la scarsa affidabilità di Pp3 in fatto di attribuzioni; in precedenza

NOTA AL TESTO CIV

D’altro canto, degli altri cinque testimoni noti della passione quattro la recano adespota e uno (il Ricc. 2760) la dà a messer Dolcibene, ritenuto l’autore da Renier e da Morpurgo.113

La canzone Sì sottilmente ch’io non so dir como non può essere di Fazio, secondo l’indicazione di Fl18 (c. 102r), in quanto, come testimoniano le rime, è di autore veneto.114 Quanto a Spesse volte ritorno al dolce loco, sulla cui autenticità esprimeva dubbi già il Renier (cfr. RENIER 1883: CCLXXXVIII-CCLXXXIX), l’origine dell’erronea attribuzione all’Uberti in Fr6 è stata

persuasivamente dimostrata da BARBI 1915: 262 n. 2, che ha rilevato come nel codice sia avvenuto il salto di due canzoni, con conseguente slittamento della rubrica. Patrïa degna di trïunphal fama, che pure gli viene assegnata da Fl18 (cc. 43v-44r), andrà attribuita a un

anonimo poeta contemporaneo di Fazio, ma di opposte idee politiche, essendo certo opera di un guelfo (cfr., oltre al parere di RENIER 1883: CCCXXI-CCCXXII, quello più recente di BRESCHI 1978, che ne fornisce il testo). Renier e Corsi, inoltre, si pronunciavano negativamente anche sulla canzone Lo moto e corso e opra di fortuna che gli danno i soliti Pp3 (c.

14v) e Si (71r), dato che «gli accenni storici del commiato non possono convenire all’Uberti».115

Restano da analizzare da ultimo due testi, ignoti ai precedenti editori (e a tutt’oggi inediti), che pure circolano sotto il nome di Fazio. Il primo è Verso di te fortuna mi rivolgo, conservato da Pp3 (c. 18r-v), con esplicita attribuzione all’Uberti, e da Fl15 (cc. 104v-106r),

che lo reca adespoto: il fatto che la canzone sia data al nostro poeta solo da Pp3, codice, come detto, ben poco affidabile, induce a una forte sfiducia. Si aggiunga che essa è inserita tra due canzoni certamente non dell’Uberti, e che il tema stesso (lamento contro la sorte avversa) potrebbe aver favorito l’assegnazione a Fazio, già autore di una disperata di analogo argomento (Lasso!, che quando immaginando vegno). Il secondo pezzo (Vegiendo quasi spenta ogni largeça) è invece tràdito dal solo Rn2 (c. 22v). Anche in questo caso il codice non sembra fededegno, in quanto assegna a torto a Fazio Non seppi mai che cosa fosse Amore e Io vorrei prima stare in mezzo un fango. La canzone è una mediocre invettiva moraleggiante contro l’avarizia (la rubrica recita: Cançona di façio degluberti sopra liberalità e larghezza), molto distante stilisticamente dalle ben più felici prove dell’Uberti. Di nuovo il tema, praticato da Fazio nei sonetti sui vizi, avrà favorito l’attribuzione al nostro autore.

113 Cfr. rispettivamente RENIER 1883:CCCXXII-CCCXXIV e MORPURGO 1929: 16. Sul testo vd. anche BIADENE

1885: 268-274.

114 Cfr. BARBI 1920 [1941]: 244-246, che fornisce anche il testo (alle pp. 240-241), migliorato rispetto a

RENIER 1883: 181-183.

115 RENIER 1883: CCCXXVI; e cfr. anche CORSI 1952: II, 371. Il testo è conservato anche da Vm7 (cc. 47r-48r),

che lo attribuisce a Cavalcanti, e su cui si fonda l’edizione di CICCIAPORCI 1813: 52-54. Per la verità il Senese e il Parmense recano un diverso congedo che elimina i riferimenti storici a Malatestino Malatesta.

NOTA AL TESTO CV

3.LA TRADIZIONE

3.1 Osservazioni generali sulla tradizione

La tradizione manoscritta delle rime di Fazio risulta nel complesso molto frammentaria, lasciando intendere che il poeta pisano non organizzò mai le proprie rime in una raccolta organica e complessiva. I singoli testi sembrano invece aver avuto per lo più circolazione autonoma e occasionale, come conferma la presenza di un alto numero di manoscritti contenenti un solo componimento (Bas, Ba2, Ba3, Bu3, Bu6, Bu8, D, Fl3, Fl4, Fl5, Fl10, Fl11,

Fl13, Fn3, Fn6, Fn11, Fn13, Fn14, Fn15, Fn18, Fn20, Fn23, Fn26, Fn27, Fn29, Fn30, Fr1, Fr6, Fr7, Fr11,

Fr12, Fr13, Fr15, G, M, Mt5, Me, Ps, P2, Pp2, R, S2, T, V1, V9, V13, V15, V18, V22, V23, V26, V27, V29, V30, Vm2, Vm4, Vm7) o al massimo due (B2, Ba1, Bu2, Bu5, Fma, Fl16, Fmo, Fn2, Fn4, Fn7, Fn9, Fn16, Fn22, Fn32, Fr9, Fr14, Fr16, N, Pp1, Pn, Rl, Sp, V5, V20, V24, Vm5), senza contare la

quarantina di testimoni che recano unicamente la corona dei vizi.

Proprio la netta divaricazione tra i circuiti di trasmissione dei sonetti dei peccati capitali e quelli del resto della produzione lirica di Fazio è un’altra peculiarità che si desume immediatamente dall’esame della tradizione: la corona, infatti, è stata spesso accolta all’interno di zibaldoni, soprattutto quattro-cinquecenteschi, che riuniscono testi di natura moraleggiante e religiosa, fatto che ha così portato a un progressivo allontanamento dei due fili della tradizione.

Al di là del grande e prevedibile favore raccolto dai sonetti dei vizi (oltre cinquanta testimoni), andrà inoltre osservata la contrapposizione tra la ricchissima tradizione di alcune canzoni (su tutte I’ guardo infra l’erbett’e per li prati, Io guardo i crespi e Lasso!, che quando, che oscillano tra i trenta e i cinquanta testimoni), alle quali è affidata la fortuna di Fazio nei secoli seguenti (non a caso tali componimenti saranno inclusi nella Raccolta Aragonese prima, e/o nella Giuntina poi), e quella estremamente rarefatta di altre canzoni, dei sonetti in generale (con l’eccezione dello scambio con il Beccari, che ebbe discreta fortuna, dovuta forse alla notorietà di entrambi i rimatori) e dei rimanenti metri: non pochi sono i pezzi unici (i sonetti Se ligittimo nulla, Stanca m’apparve, Fam’à di voi, il capitolo dubbio O glorïosa e potente e la canzone Amor, non so, oltre alle sei “attribuibili”), mentre appena due o tre testimonianze manoscritte presentano le canzoni Grave m’è a dire, O sommo Bene, Tanto son volti i ciel’, Quel che distinse ’l mondo, il capitolo O sola eletta e la frottola O tu che leggi.

Poste queste premesse sulla frammentarietà della tradizione, non stupisce che manchi un codice contenente l’intera produzione di Fazio, e che rari siano anche i collettori antologici che raccolgono un numero consistente di suoi componimenti (in pratica solo Si, Pp3, Fl18, V19, V2, Fn5): si tratta di codici piuttosto tardi (XV o XVI secolo), che recuperano e riuniscono in maniera molto diversa alcuni dei materiali dispersi nella restante tradizione. Il più ricco, Fl18, reca in due distinte sezioni sedici testi (circa metà dell’opera dell’Uberti), e

secondo BARBI 1915: 471, attingerebbe per una parte (quella comune a V19) a una fonte risalente al 1394.

Quanto si è detto sin qui ha come rilevante conseguenza l’impossibilità di affrontare in modo unitario l’analisi della tradizione, e la necessità di indagare singolarmente per ciascun componimento i rapporti tra i testimoni, approntando di volta in volta stemmi diversi: si tratta, d’altro canto, di modalità ben collaudate dalla filologia italiana nell’edizione di rime di autori tre-quattrocenteschi, specie quando la tradizione sia ampia e dispersiva.116

116 Si pensi, solo per fare qualche esempio, alle recenti edizioni di Sennuccio del Bene e di Bruzio Visconti,

NOTA AL TESTO CVI

Dovendo dunque procedere alla sistemazione dei rapporti tra i testimoni fondandosi su porzioni di testo costituite al massimo dal centinaio di versi di una canzone o, ancor peggio, dai soli quattordici di un sonetto, il problema più delicato è rappresentato dalla penuria di errori significativi, soprattutto nei piani alti dello stemma, e per contro – specie nelle tradizioni più ricche – dal moltiplicarsi delle lezioni adiafore. In ragione di ciò, nel procedere all’individuazione di gruppi di codici affini, la nozione di errore talvolta si è fatta di necessità più elastica, includendo non solo le lezioni manifestamente erronee, ma anche quelle lezioni che, pur in teoria alternative, si dimostrassero per ragioni diverse (metriche, di usus scribendi, ecc.) come non accettabili, e per questo da considerare a tutti gli effetti alla stregua di errori. Inoltre, quali prove accessorie a sostegno della bontà delle ipotesi proposte, si è cercato sempre di dare segnalazione anche delle lezioni adiafore che confermassero i raggruppamenti individuati sulla base degli errori congiuntivi: il ricorrere negli stessi codici di errori e di lezioni caratteristiche non erronee dà infatti maggiori garanzie del corretto riconoscimento dei rapporti stemmatici.

Prima di passare a delineare il quadro testimoniale di ciascun componimento, sarà bene rendere conto – affinché sia più chiaro quanto si verrà esponendo in seguito – almeno di quei pochi gruppi di manoscritti, tra loro apparentati, che trasmettono serie comuni di testi ubertiani. Si rinvia peraltro alle singole discussioni critiche per le tavole dettagliate degli errori che confermano i rapporti, qui solo prospettati per via compendiaria.

Il primo raggruppamento che si individua in modo inequivocabile è quello costituito dai codici derivati dalla perduta Raccolta Aragonese (= Ar): innanzi tutto, dunque, Fl6, P1 e Fn28,

vale a dire i tre principali testimoni della raccolta, a cui si aggiunge V2, che ha tra le sue fonti proprio Ar.117 I quattro codici riuniscono tre canzoni e un sonetto di Fazio: Lasso!, che quando, L’utile intendo, I’ guardo infra l’erbett’e per li prati e Per me credea. Legati a essi sono anche V21, che contiene gli stessi testi a eccezione del sonetto, e nel medesimo ordine di Ar, e Fc

(ossia la Raccolta Bartoliniana), che esclude invece la “disperata”.118

Altri due codici che, come ha dimostrato Barbi, derivano da un medesimo capostipite e per questo tramandano in sostanza gli stessi testi sono i già citati Fl18 e V19.119 I due

testimoni accolgono, pur in sezioni e secondo ordini diversi, a causa di una serie di spostamenti occorsi probabilmente nei rispettivi antigrafi, i seguenti componimenti: Lasso!, che quando, Io guardo i crespi, I’ guardo in fra l’erbett’e per li prati, O sommo Bene, Ohi lasso me, Non so chi sia, Di quel possi tu ber, S’i’ savessi formar, Ahi donna grande, L’utile intendo.

Ben noto è poi il rapporto di affinità che lega – non solo per la sezione ubertiana – Fr4 e

Fl9: lo metteva in luce già Corsi, sottolineando alcune somiglianze esterne tra i due testimoni, come l’ordine di molti testi e l’identità delle rubriche.120 Lo stesso editore rilevava inoltre come nel complesso il Riccardiano fosse una silloge molto più vasta rispetto al

Balduino offriva nel recensire l’ed. Bellucci delle rime di Antonio Beccari, bocciando la scelta opposta dell’editrice: «sarebbe stato assai più ragionevole rinunciare alla disperata impresa di ricostruire un albero genealogico onnicomprensivo e puntare invece decisamente […] su classificazioni distinte e sistematiche delle testimonianze volta a volta superstiti per ognuno dei componimenti del Beccari (secondo una prassi che, tra l’altro sembra ormai inevitabile anche per le edizioni delle Rime di Dante, del Boccaccio, ecc.)» (BALDUINO

1968: 528).

117 Sui principali testimoni della Raccolta Aragonese cfr. BARBI 1915: 217-231; su V2 cfr. BARBI 1915: 269-278. 118 Con Fc stanno chiaramente anche tutti i suoi numerosi descripti: B2, Bu5, Vm5, Pn, N e Rl. Per quanto

riguarda la Raccolta Bartoliniana, BARBI 1915: 172-181 ha dimostrato che la sezione comprendente l’Uberti è tratta dal testo del Brevio, che, a sua volta, copiava da un manoscritto vicino ad Ar.

119 Sui rapporti tra i due manoscritti cfr. BARBI 1915: 467-486 (e in partic. per Fazio 480-482). 120 Cfr. CORSI 1952: II, 378-381.

NOTA AL TESTO CVII

Laurenziano; ciò vale anche per Fazio: esso infatti contiene, in varie sezioni, alcuni testi in più rispetto a Fl9. La parte comune ai due codici include le seguenti cinque canzoni di Fazio,

che si presentano nel medesimo ordine (si ha solo uno scambio tra le prime due): I’ guardo in fra l’erbett’e per li prati, Nella tua prima età, Di quel possi tu ber, Grave m’è a dire e S’i’ savessi formar. La prima e l’ultima, inoltre, si trovano anche in Bu2, che pare avere la stessa fonte dei due

testimoni fiorentini, secondo quanto fa presupporre l’esame della lezione (come si vedrà testo per testo).

Anche la coppia di manoscritti costituita da Si e Pp3 condivide una vasta sezione di rime di Fazio. Che i due codici siano apparentati si ricava ancor prima che dalla lezione, dalla successione dei testi e dalle rubriche (a partire da quella iniziale, che recita nel Senese, c. 65r: Qui cominciano Cançoni di fazio degliuberti dafirenze edimolti altri dicitori eprima ne seguono molte di fazio e inquesta sua p(r)ima siduole della fortuna, e analogamente nel Parmense, c. 11v: Qui comi(n)ciano Cançoni di fatio degli ubertj da fire(n)ça et i(n)questa prima si duole della fortuna). Inoltre in entrambi sono assegnate all’Uberti, e inframmezzate alle sue, le canzoni Io vorrei stare prima a mezzo ’l fango, Lo moto e corso è opra di fortuna, Morte per ch’io non ho a cui mi doglia, Quella virtù che il terzo cielo infonde, che di Fazio non sono (cfr. Nota al testo, § 2).121 La sezione ubertiana di Si e Pp3 comprende dunque nell’ordine le seguenti canzoni: Lasso!, che quando, Ahi donna grande,

Io guardo i crespi, Nella tua prima età, I’ guardo in fra l’erbett’e per li prati, O caro amico, Quel che distinse ’l mondo. Deriva dal medesimo capostipite anche Pp2, che contiene però soltanto la prima canzone, introdotta dalla stessa rubrica degli altri due (c. 46r: Qui comi(n)ciano Canzonj di fatio degluberti da fire(n)ze E inq(ue)sta prima si duole della fortuna).122

Un’altra aggregazione di codici è da riconoscere in Fl1, Fn2 e Fn12. Ponendo infatti a

confronto sinotticamente le brevi serie di componimenti ubertiani che contengono, si noteranno delle significative ricorrenze:123

Fl1

cc. 36v-37r Lasso!, che quando124

c. 38r Nel tempo che s’infiora c. 38v I’ guardo in fra l’erbett’e

Fn2

161r Lasso!, che quando 161r-v Nel tempo che s’infiora

Fn12

140v-142r Nel tempo che s’infiora 142r-144r I’ guardo in fra l’erbett’e

L’accertamento delle lezioni caratteristiche, come si avrà modo di vedere in seguito, conferma che i tre codici attingevano a una medesima fonte, che presentava il terzetto di testi nell’ordine documentato da Fl1, codice antico (sec. XIV ex.) e autorevole; gli altri due testimoni, più tardi (secc. XV e XVI), hanno operato in modo indipendente la potatura di

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