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Correlazione tra ambiente (subacqueo, eolico, glaciale e diagenetico/di alterazione) microtessiture dei granuli di quarzo (divise in base alla loro natura meccanica, chimica, o ad una

combinazione delle due).

Per i simboli riportati in legenda queste possono essere: Abbondanti (Abundant) > 75%

Comuni (common) 50-75% Sparse (sparse) 5-50%

Rare (rare) < 5%

La tabella è stata compilata con dati di Vos et al., 2014; Krinsley & Donahue, 1968; Krinsley & Doornkamp, 1973; Margolis & Krinsley, 1974; Le Ribault, 1977; Higgs, 1979; Mahaney, 2002;

6.4.3 Preparazione dei campioni per l’analisi di vetri vulcanici

I vetri vulcanici sono materiali ottenuti tramite la solidificazione di un liquido magmatico non accompagnata dalla cristallizzazione, per questo si presentano come solidi amorfi: il rapido raffreddamento riduce la mobilità dei costituenti del liquido prima che questi possano organizzarsi in strutture ordinate e periodiche tipiche dei cristalli. In un solido amorfo, quindi, non esiste un ordine nella posizione degli atomi o delle molecole che lo costituiscono (Fig. 6.12).

I vetri naturali hanno una variazione chimica molto ampia (da 40 a 77 wt% in silice) senza considerare i prodotti ultrabasici e la loro identificazione si basa spesso su osservazioni morfologiche piuttosto che composizionali.

Su un vetrino portaoggetti su cui era stata attaccata una striscia di biadesivo è stata posta una piccola forma cilindrica per inglobati. All’interno è stato versato una parte del campione da esaminare e premuto per farlo aderire al biadesivo in modo da evitare eventuali separazioni dovute alle varie densità dei componenti quando la forma viene riempita con un’apposita resina. Una volta seccata, la superficie del campione viene smerigliata e lucidata, dopodiché ricoperta con un sottile strato di grafite per evitare i problemi di cariche elettriche precedentemente esposti. A questo punto l’inglobato è pronto per essere visionato al microscopio elettronico a scansione (Fig. 6.13).

Quelli che verranno analizzati sono i cosiddetti shards, ("frammenti" in inglese) generalmente di dimensioni < 2 mm: il termine è, infatti, utilizzato per descrivere particelle di piccola taglia generate da frammentazione magmatica in eruzioni esplosive, ma anche

7. RISULTATI

7.1 SEM

7.1.1 Granuli di quarzo

Osservando tutti i campioni (WP301A, WP301G, WP301F e R31A, R31B) al microscopio elettronico si nota a colpo d’occhio che la caratteristica comune è la forma dei granuli. Indipendentemente dalla loro natura mineralogica o dal campione in esame, questi appaiono pressoché sub-arrotondati e con forme da quasi sferiche a più irregolari o allungate (Fig. 7.1). Con ingrandimenti maggiori si evince meglio tale geometria e si riscontrano anche granuli con un grado di arrotondamento inferiore agli altri, ma è bene sottolineare come questi non appaiano quasi mai con spigoli angolosi (Fig. 7.2).

La superficie delle particelle appare spesso levigata, senza evidenti irregolarità o asperità (medium - low relief, Higgs, 1979).

WP301F

Dopo un iniziale sguardo d’insieme, è stato possibile identificare i granuli di quarzo grazie ai “picchi” di silicio rispetto all’abbondanza degli altri elementi, osservati nei relativi spettri ottenuti bombardando i singoli granuli con una microsonda a raggi X: in questo modo è stato possibile concentrare l’attenzione sulle loro microstrutture, utili alla

Fig. 7.2 Ingrandimento di vari granuli per enfatizzarne la morfologia generalmente sub-arrotondata. Alcuni appaiono più spigolosi, ma sempre con bordi smussati.

R31A

WP301G

R31B

WP301A

R31B

caratterizzazione del sedimento e alla comprensione del trasporto e dell’ambiente deposizionale.

Come illustrato dalla tabella 6.2 del capitolo 6.4.2, le microtessiture sono state suddivise in meccaniche e chimiche (la terza colonna è una combinazione delle due) (Vos et al., 2014). Al primo tipo fanno riferimento tutte quelle strutture che si formano sulla superficie delle particelle a causa del trasporto che subiscono a opera, per esempio, del vento, del moto ondoso o dell’azione glaciale mentre in quelle di tipo chimico rientrano principalmente fenomeni di alterazione, forme di dissoluzione o pellicole di precipitazione in situ che denotano l’inizio della pedogenizzazione del sedimento e, quindi, una situazione di stasi. Le prime che saranno presentate sono quelle di tipo meccanico. Trattandosi di granuli di quarzo sono state riscontrate fratture concoidi, caratteristiche di tutti quei minerali senza direzioni preferenziali di rottura: morfologicamente appaiono come superfici lisce e dalla tipica forma curva (Fig. 7.3).

Fig. 7.3 Vari esempi di fratture concoidi, sempre riconoscibili per la loro tipica morfologia. In alto a destra è mostrato l’ingrandimento dell’immagine a sinistra.

WP301G

R31A

Prestando la dovuta attenzione durante l’osservazione della morfologia delle fratture concoidi (e utilizzando anche ingrandimenti superiori) si possono notare delle particolari microstrutture descrivibili come piccole incisioni parallele fra loro sia lineari sia arcuate (arcuate / straight steps) (Moral Cardona et al., 1997) molto ravvicinate fra loro e spaziate di una quantità costante (Fig. 7.4).

Si evidenziano, inoltre, sia piccole strutture concentriche circolari e semicircolari parallele fra di loro (graded arcs) (Krinsley & Donahue, 1968; Le Ribault, 1977) visibili a ingrandimenti maggiori, sia parti di granuli più prominenti e dalla forma ben arrotondata caratteristica di un bulbo, chiamate appunto bulbous edges da Mahaney (2002). Su alcune particelle si nota anche la presenza di striature lineari (parallel striations) (Krinsley & Donahue, 1968) oltre a una serie ben evidente di segni e incisioni di dimensioni micrometriche e forma variabile che ricoprono, a volte, quasi l’intera superficie del granulo (percussion marks) (Campbell, 1963) (Fig.7.5).

Fig. 7.4 Arcuate/straight steps lungo una frattura concoide (Ribolini et al., 2014).

R31A

R31A

WP301G

Fig. 7.5 a) Graded arcs e b) relativo ingrandimento della parte cerchiata; c-d) Bulbous edges. Notare che il granulo è interessato anche da fatturazione e striature

parallele. La forma risulta sempre sub-arrotondata;

e-f-g) Parallel striations evidenziate nell’immagine per la loro immediata identificazione; h) Percussion marks che interessano la superficie del granulo e fratture concoidi

R31A

WP301A

R31B

R31B

c

d

e

f

g

h

Per quando riguarda le microstrutture derivanti dall’azione chimica, si notano piccole forme di dissoluzione localizzata, generalmente di qualche micron. Estremamente variabili in dimensioni, la morfologia più comune varia da sub-circolare a circolare e sono chiamate solution pits (Higgs, 1979). Altre forme di alterazione chimica sono testimoniate da zone alterate e/o dissolte della superficie del granulo riconoscibili per il loro aspetto in molti casi piuttosto irregolare (anche se non mancano forme quasi circolari) e pellicole che rivestono la particella dovute a precipitazione secondaria (Fig. 7.6).

R31B

R31B

R31A

R31A

R31A

R31A

a

b

c

d

e

f

Fig. 7.6 a) Solution pits e b) relativo ingrandimento della parte cerchiata; c-d-e-f) Alterazione chimica: zone di dissoluzione e pellicole di precipitazione.

Tali microstrutture di alterazione chimica, riconoscibili nei campioni provenienti dal sito R3, sono nel campione WP301 e, in maniera più marcata, nel materiale di riempimento del cuneo di seconda generazione (WP301F) e non riscontrabili nel sand wedge posto più in basso (WP301G, di prima generazione) e nel livello di loess (WP301A).

La superficie delle particelle di quarzo sembra essere ricoperta da una pellicola che, in alcuni punti, è interessata da fenomeni di alterazione chimica: ciò risulta ben evidente dalla morfologia dei granuli nei quali si evidenzia l’azione di attacco per la presenza di vistose zone di dissoluzione dalla forma irregolare che pervadono anche buona parte dei granuli (Fig. 7.7). In alcuni casi questa pellicola appare “squamata”, come evidenziato da segni di distacco, forse causato da processi ulteriori di alterazione, anche se non si può escludere un effetto dovuto al trattamento chimico effettuato per la pulitura dei granuli.

Per una migliore comprensione di quanto osservato sono stati analizzati sia punti della superficie non interessati da tale fenomeno sia punti all’interno delle zone di dissoluzione, in modo da evidenziare eventuali differenze nella composizione chimica.

WP301F

Le tabelle relative alla composizione chimica delle due parti esaminate (espresse sempre come percentuale in peso dei vari elementi riportati in ossidi) evidenziano differenze soprattutto se si focalizza l’attenzione sulla percentuale di quarzo, ma anche sugli altri elementi (sodio, potassio, magnesio, alluminio, ecc.) (Fig.7.8a-b): tale discrepanza di valori è ancora più accentuata nel granulo di figura 7.8b, composto per la quasi totalità da SiO2.

Da questi risultati si può osservare che la percentuale di SiO2 aumenta verso

l’interno del granulo e diminuisce nelle parti esterne, con un aumento degli altri elementi.

WP301F

WP301F

Fig. 7.8 a-b) Differenze nella composizione chimica dei due punti analizzati in un granulo di quarzo del campione WP301F.

a

7.1.2 Vetri vulcanici

Dopo l’osservazione delle microtessiture dei granuli di quarzo, l’attenzione si è spostata sui vetri vulcanici. Nei campioni R31A e R31B non ne è stata trovata traccia mentre questi sono stati identificati nel campione WP301, in particolare nel riempimento dei due cunei (WP301F e WP301G), come già evidenziato (Ribolini et al., 2014). Tuttavia in quel lavoro non venivano presentati dati di composizione chimica.

Il loro riconoscimento si è basato esclusivamente sulla morfologia poiché i vetri si presentano con forme irregolari dovute a processi di alterazione e possiedono strutture di devetrificazione e crescita di minerali secondari (Fig. 7.9).

Come si nota dalle foto, il vetro vulcanico è una fase metastabile che si altera con facilità anche in condizioni di bassa temperatura (basti pensare alle temperature patagoniche), in particolare se interagisce con fluidi acquosi quali acqua di mare, fluidi idrotermali o percolazione lungo il profilo di un suolo.

Fig. 7.9 Vari esempi di vetri vulcanici identificati nei cunei studiati riconoscibili per la loro particolare forma irregolare e alterata e per la presenza di vescicole.

I principali siti sui quali si innescano e dai quali si sviluppano i processi di alterazione sono le superfici esterne delle masse vetrose e quelle a diretto contatto con fratture o bollosità (per esempio vescicole) oppure difetti strutturali o puntuali, in genere correlati a stress termici che si verificano durante il raffreddamento.

In condizioni totalmente abiotiche il processo di alterazione della fase vetrosa si sviluppa attraverso diverse fasi che comportano l'idratazione e la lisciviazione selettiva di ioni fino a una progressiva distruzione del network strutturale del vetro: si verificano, quindi, una serie di variazioni chimiche sostanziali sia per l'accumulo residuale di ioni a seguito di processi di dissoluzione, sia per l'acquisto di elementi dal mezzo fluido circolante. Lo stadio finale consiste nella cristallizzazione di minerali secondari per sostituzione diretta del vetro alterato o per precipitazione in zone di elevata porosità (fillosilicati in generale, zeoliti e palagonite). Ciò avviene, ovviamente, in condizioni di sub-solidus a causa di processi quali, per esempio, metamorfismo incipiente, idratazione, processi di weathering e circolazione di fluidi acquosi in generale (Marescotti, 2001)

Il grado e la velocità di devetrificazione dipendono essenzialmente dalla temperatura a cui avvengono i processi, dalla presenza di una fase idrata e dalla composizione del fluido stesso: la presenza di ioni OH- permette infatti la separazione delle catene tetraedriche SiO44-costituenti il vetro e ciò facilita la diffusione di ioni K, Na, Ca

nella struttura con conseguente ulteriore incremento delle velocità di devetrificazione. Oltre ai processi sopramenzionati è importante ricordare che numerosi studi sperimentali hanno permesso di evidenziare come i fenomeni di alterazione dei vetri vulcanici siano spesso causati o influenzati dall'azione diretta o indiretta di microorganismi quali batteri, funghi, alghe e licheni, in condizioni subaeree o subacquee superficiali. In particolare si tratta di organismi chemiotrofi che utilizzano i vetri sia per ottenere energia per le loro attività metaboliche sia per ricavarne i nutrienti. Alcuni di questi organismi utilizzano l'ossigeno per i processi di ossidoriduzione mentre altri usano differenti elementi chimici o molecole contenute nel mezzo fluido o nel vetro stesso (Marescotti, 2001).

Di tali vetri sono state eseguite analisi chimiche al fine di stabilirne la composizione per poterli in seguito classificare, ovviamente facendo attenzione a prendere in considerazione la parte non alterata: i risultati sono sempre espressi in peso percentuale degli elementi maggiori (Tab.7.1a-b).

Tab.7.1a Analisi degli elementi maggiori (espressi in wt%) dei vetri vulcanici presenti nel campione WP301G (cuneo di prima generazione) con la loro rispettiva sigla identificativa.

Tab.7.1b Analisi degli elementi maggiori (espressi in wt%) dei vetri vulcanici presenti nel campione WP301F (cuneo di seconda generazione) con la loro sigla identificativa.

Per completezza sono riportate anche particolari tessiture che forniscono ulteriori informazioni per una migliore comprensione dell’eruzione che li ha generati: alcuni di questi vetri vulcanici esibiscono una morfologia dovuta a quenching che varia da pomicea con vescicole da ovali a più schiacciate ad altri con evidenti fratture dovute a fenomeni di shattering (Ribolini et al., 2014) (Fig. 7.10).

7.2 L.O.I.

Dalla procedura descritta nel capitolo 6.1.1 si ricava il peso dei campioni alle varie temperature, facendo una semplice sottrazione fra il peso complessivo e quello del crogiolino in ceramica, dopodiché si calcola il valore del parametro L.O.I. (espresso in %) a 550°C e a 950°C (Tab. 7.1) con le formule precedentemente riportate.

WP301J

WP301J

Fig. 7.10 Fenomeni di quencing e shattering (Ribolini et al., 2014).

Il campione WP301J non è stato trattato specificatamente, ma rappresenta comunque il riempimento di un cuneo di seconda generazione (come WP301F).

7.3 XRF

In questo paragrafo sono presentate le analisi chimiche, ricavate utilizzando la tecnica dalla fluorescenza a raggi X, del materiale costituente i due cunei della sezione di Puerto Deseado (WP301F, WP301G) e del livello di loess (WP301A) compreso tra i due sand wedges, nonché quelli della sezione lungo la Ruta Nacional 3 (R31A, R31B). I valori sono indicati in percentuali in peso se si considerano gli elementi maggiori (espressi in ossidi) e in parti per milione (ppm) per quanto riguarda gli elementi in traccia (Tab. 7.2). Il valore del parametro LOI aggiunto nell’ultima colonna della tabella relativa agli elementi maggiori permette la chiusura a 100 (o quasi) delle analisi XRF.

Osservando i valori degli elementi maggiori si nota che, generalmente, i campioni analizzati presentano una chimica molto simile, senza sostanziali differenze sia tra i siti R3 e WP301, sia tra i due cunei WP301G e WP301F di prima e seconda generazione, e il livello di loess (WP301A). Tra i valori più rappresentativi spiccano SiO2 (>70wt%) e

Al2O3 (>10wt%) che costituiscono la quasi totalità dei sedimenti, seguiti da minori quantità

di Fe2O3, CaO, Na2O e MgO.

Sono riportati anche alcuni elementi in traccia ricavati sempre con la metodologia XRF, ma si è preferito analizzarli nuovamente con la strumentazione ICP-MS.

Tab. 7.2 Tabelle degli elementi maggiori (sopra, in wt %) ed elementi in traccia (in ppm) relativi a ogni campione analizzato.

7.4 ICP-MS

Le analisi ICP-MS riguardano sempre gli elementi in traccia nei campioni studiati espressi in ppm (Tab. 7.3). A differenza della tecnica XRF che comunque permette di quantizzare tali elementi, è stato possibile analizzarne ulteriori, sia elementi del blocco di transizione (per esempio Sc, V, Cr, Co, Ni, Cu, Zn… ecc) sia terre rare leggere (da La al Sm) e pesanti (dal Gd al Lu).

Generalmente si può osservare una piccola discrepanza tra i valori ricavati dalle due metodologie diverse, e questo è imputabile sia a errori nella misurazione, sia alla diversa sensibilità delle apparecchiature utilizzate. Alcuni valori, invece, risultano piuttosto diversi (per esempio Zr), per questo si è deciso di prendere in considerazione i dati ricavati dalla metodologia ICP-MS sia per la sua maggiore sensibilità nella quantizzazione degli elementi, sia per una maggiore numero di elementi analizzabili.

7.5 XRPD

I risultati della diffrazione di polveri dei vari campioni sono stati inseriti in un apposito programma (WinFit) che ha permesso la visualizzazione di diffrattogrammi utili all’identificazione delle fasi mineralogiche presenti. In questo paragrafo è stato riportato solamente un diffrattogramma complessivo per confrontare eventuali analogie o differenze tra i campioni (Fig. 7.11). Per i singoli diffrattogrammi e i relativi picchi d’intensità si rimanda agli Allegati 2-3-4.

I vari diffrattogrammi si sovrapporrebbero uno sull’altro, per questo l’asse Y è stato volutamente dilatato in modo da differenziare le varie curve e notare come queste siano simili nell’andamento e nei relativi picchi sia maggiori sia minori: ciò è indice delle stesse fasi mineralogiche che verranno riconosciute dai loro caratteristici picchi a precisi valori di 2θ e discusse nel capitolo successivo.

R31A

R31B

WP301A

WP301F

WP301G

7.6 Analisi granulometriche dei campioni R31A e R31B

Per completezza sono state eseguite anche le analisi granulometriche relative ai campioni R31A e R31B in modo da confrontarle con quelle relative ai campioni WP301A, WP301G e WP301 F già effettuate (Ribolini et al., 2014). La divisione in classi granulometriche viene eseguita tramite una serie di appositi setacci disposti l’uno sull’altro a formare una pila e con aperture delle maglie decrescenti andando dall’alto verso il basso. Il campione viene prima pesato e quindi versato a partire dal setaccio posto in alto a maglia più larga. Dopo aver scosso la pila per diversi minuti, sono stati pesati i vari trattenuti parziali da ogni setaccio e organizzati in una tabella (Tab. 7.4).

Tali valori sono stati trattati con un file Excel di calcolo chiamato GRADISTAT (Versione 8.0) (Blott, 2010) ) (Fig. 7.12). Una volta inseriti i dati e fatta partire la macro “Calculate Statistics”, viene restituita la curva granulometrica del sedimento correlata da un diagramma triangolare (in questo caso sand-clay-silt) e da una serie di parametri utili a caratterizzare il sedimento (Fig. 7.13 e 7.14) tra i quali, i più significativi, sono:

 moda (misura più rappresentativa del diametro delle particelle);

 deviazione standard (misura la cernita (sorting) o l’uniformità nella distribuzione del diametro delle particelle, ed è chiamata anche classazione);  asimmetria (misura l’asimmetria geometrica di una curva e ha un valore

R31A R31B

grossolane, al contrario è positiva se la curva è geometricamente spostata verso il campo delle frazioni più fini);

 curtosi (misura il valore ottenuto confrontando la cernita misurata in coincidenza delle estremità della curva di distribuzione rispetto alla cernita misurata sulla porzione centrale della stessa. Se la porzione centrale è meglio cernita rispetto alle estremità, la curva di frequenza risulta “ristretta” e viene detta leptocurtica mentre se le estremità della curva mostrano una migliore cernita del sedimento rispetto alla parte centrale, il risultato mostra una curva geometricamente più “svasata” che viene detta platicurtica).

00 05 10 15 20 -07 -05 -03 -01 01 03 05 07 Cla s s We ig ht (% ) Particle Diameter (f)