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CORROSIONE DELLE TUBAZIONI METALLICHE E DELLE BULLONERIE DEI GIUNTI

CAPITOLO 2 MECCANISMI DI ROTTURA

2.6. CORROSIONE DELLE TUBAZIONI METALLICHE E DELLE BULLONERIE DEI GIUNTI

Due metalli diversi immersi in una soluzione elettrolitica che garantisca la continuità elettrica tra di essi danno in genere origine a ossidazione (perdita di elettroni) dell’uno (anodo, o polo negativo) e a riduzione dell’altro (catodo, o polo positivo).

Un metallo che ha minor tendenza di un altro a cedere elettroni si dice nobile nei confronti del secondo. Per esempio il rame è nobile rispetto al ferro e questo lo è rispetto allo zinco.

Quasi tutte le reazioni di corrosione che avvengono in ambiente neutro sono sostenute da riduzione dell’ossigeno.

Restringiamo le osservazioni ai materiali ferrosi. Nel caso dell’acciaio il ferro va in soluzione e restano crateri visibili sulla superficie del metallo. Nel caso della ghisa (grigia e sferoidale) ossidi, idrossidi e sali originati dalla corrosione della ferrite rimangono in sede insieme alla grafite (grafitizzazione). Scarsa è la loro coesione.

Distinguiamo diversi tipi di grafitizzazione:

• di superficie, tipica di terreni uniformi ad alta resistività, consistente in una pellicola che lascia intatto il metallo sottostante;

• di tipo a cratere svasato verso l’interno, pieno di grafite e prodotti di corrosione, tipica di terreni eterogenei e di zone della tubazione ove essa è anodica;

• completa, in cui restano solo grafite e prodotti di corrosione.

Si ricorda che, in teoria, una corrente di 1A asporta annualmente 9 kg da un elettrodo di ferro puro immerso in un elettrolita (terreno, acqua, ecc.); per ghisa e acciaio i valori sono di poco inferiori.

Un tubo corroso può presentarsi integro all’aspetto e può anche non essere sede di perdite. Solo il suono sordo alla percussione e la facile scalfibilità ne rivelano lo stato reale. Sollecitazioni prolungate o improvvise possono comprometterli improvvisamente. Riportiamo un riassunto dei vari tipi di corrosione:

Si osserva poi (vedi figura seguente) che in caso di lesioni al rivestimento della tubazione, la corrosione è localizzata e rapida, ma non compromette l’integrità dell’intera tubazione.

Viceversa, in assenza di rivestimento, il fenomeno è diffuso e lento, ma mette fuori servizio un ampio tratto di condotta. Infine fenomeni di corrosione interna si possono verificare per aggressività delle acque trasportate.

Figura 40 - Corrosione esterna ed interna (da L. Da Deppo, et al., 2006).

La prima, che dà informazioni di massima anche sulla seconda, è esprimibile come attitudine ad asportare una certa quantità di metallo o a generare una lesione di una certa profondità; è ovviamente riferita ad un certo metallo.

La seconda misura l’attitudine del terreno a trasportare elettroni e quindi a favorire ulteriormente il processo corrosivo. E’ legata alla temperatura (terreni gelati sono ad alta resistività), all’umidità, alla natura del terreno (argillosi: bassa resistività) e alla presenza di ioni cloro o solforici (terreni impregnati di acqua di mare hanno resistività anche di soli 25 – 30 Ω·cm).

Figura 41 - Classificazione della corrosività dei terreni in funzione della resistività elettri ca (da L. Da Deppo, et al., 2006).

Una condotta di uno stesso materiale può subire l’attacco delle cosiddette pile geologiche, azioni di terreni diversi a bassa resistività sulla tubazione. Il principio è che il potenziale di uno stesso metallo in elettroliti diversi è a sua volta diverso, e questo genera il trasferimento di elettroni dall’anodo, a potenziale più basso, al catodo, a potenziale più alto. L’anodo dunque si corrode. Le pile, di dimensioni anche chilometriche, possono sovrapporsi concordemente, intensificando il fenomeno, o discordemente, riducendolo.

Figura 42 - Pila chimica e geologica (da L. Da Deppo, et al., 2006).

Un’altro fattore molto importante nella diffusione della corrosione è l’azione delle correnti vaganti, ossia di tutte quelle correnti disperse nel terreno da:

• impianti di trazione a corrente continua (ferrovie, tranvie, ecc.);

• impianti industriali utilizzanti le terre come conduttori di ritorno (elettrochimici, di saldatura, di trasporto, ecc.);

• alimentatori di protezione catodica di strutture di terzi.

Si riporta lo schema del caso classico di tratta ferroviaria: il ritorno della corrente si ripartisce in relazione con le resistenze elettriche delle rotaie, del terreno e della condotta. È quindi evidente come terreni ad alta resistività e condotte ad alta conduttanza longitudinale esaltino il fenomeno.

Si osserva inoltre che il percorso della corrente nella condotta possa anche invertirsi, in virtù delle mutate posizioni delle zone anodica e catodica (posizione della motrice rispetto alla tubazione e alla sottostazione).

Le correnti vaganti hanno in genere intensità molto superiore a quella delle pile galvaniche: raggiungono infatti anche decine di Ampère. Dispersioni a terra di impianti a corrente alternata (ferrovie, messe a terra di impianti elettrici) sono molto meno temibili, essendo l’asportazione di metallo valutabile intorno alla centesima parte di quella a pari condizioni in corrente continua.

CONTROLLO DELLA CORROS IONE

Per proteggere le tubazioni dalla corrosione, si possono adottare diversi provvedimenti. Distinguiamo innanzitutto tra protezioni passive ed attive: le passive sono tutte quelle che tendono ad isolare elettricamente la condotta.

Un primo esempio sono i giunti dielettrici (per interventi successivi di protezione catodica). Oltre a un grado di isolamento di almeno 4 M Ω e una rigidità dielettrica di almeno 3 kV, devono evitare cedimenti strutturali o isolamento in fase di esercizio e garantire perfetta tenuta idraulica.

Si hanno poi i vari rivestimenti delle condotte e degli organi di manovra, i cui requisiti essenziali sono:

Ai requisiti sopra elencati risponde bene il PE applicato in più strati aderenti.

Infine, si hanno i materiali e le tecniche di rinterro.

Veniamo alla protezione attiva (o catodica), che consiste nella diminuzione di potenziale della condotta al di sotto di un valore, detto di soglia o di protezione (per una struttura in acciaio è assunto convenzionalmente pari a -850 mV o -950 mV a seconda del terreno), facendo circolare una corrente elettrica continua dall’ambiente esterno alla condotta. Ciò implica una sufficiente conducibilità dell’ambiente.

E’ richiesto un corretto isolamento della condotta, sia longitudinale (giunti isolanti) che trasversale (rivestimento).

Le condotte di ghisa risentono meno di quelle di acciaio dei fenomeni corrosivi: ciò anzitutto per i giunti elastici tra le condotte, che aumentano molto la resistenza elettrica longitudinale, ostacolando l’azione di correnti vaganti e pile geologiche, ma non solo: vi è da considerare il maggior spessore dei tubi di ghisa rispetto a quelli di acciaio, il che allunga la vita utile del tubo, e la crosta di fusione dei tubi colati in forme fisse o centrifugati in forme di sabbia, crosta che ostacola parecchio il degrado del metallo. Tale crosta manca nelle condotte centrifugate in forme metalliche.

Per questi motivi e per l’onere, causato dalla presenza di guarnizioni sintetiche, di dover separare ogni giunto per realizzare un eventuale protezione catodica (necessaria per situazioni severe), la protezione tipica delle tubazioni in ghisa è passiva. In casi estremi è bene rinunciare a questo tipo di materiale.

COLLEGAMENTI

Con i dovuti adattamenti, quanto detto vale anche per la bulloneria di determinati giunti (flangia, Express, Gibault) e per giunti metallici tra condotte di materiali non metallici (vedi figura seguente).

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