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CORTE COSTITUZIONALE E CORTE DI CASSAZIONE MATERIA PREVIDENZIALE

Nel documento OSSERVATORI ONLINE N. 4/2020 (pagine 22-41)

PERIODO OTTOBRE 2019 - OTTOBRE 2020

Antonino Sgroi (*)

dell’azione di risarcimento danni, la Corte, con la sentenza n. 18661/2020, ha statuito che l’azione risarcitoria del lavoratore si prescrive nell’ordinario termine decennale, decorrente dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’Inps, senza che rilevi la conoscenza o meno da parte del lavoratore mede-simo dell’omissione contributiva.

1.2. — Retribuzione imponibile — Il giudice della nomofilachia, con l’ordi-nanza n. 8446/2020, ha affermato l’applicabilità alle cooperative del principio del cd. minimo retributivo imponibile. Principio, questo, in forza del quale la retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore a quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sinda-cali più rappresentative su base nazionale. Tale principio è applicabile in favore dei soci lavoratori subordinati della cooperativa, sia nel caso in cui il datore di lavoro paghi di meno la prestazione lavorativa a pieno orario, sia nel caso di prestazione a orario ridotto, rispondendo tale parificazione alla finalità costitu-zionale di assicurare comunque un minimo di contribuzione dei datori di la-voro al sistema della previdenza sociale.

Con riguardo poi ai datori di lavoro esercenti attività edile, la Corte, con la sentenza n. 8794/2020, afferma l’applicabilità dell’istituto del minimale con-tributivo, previsto dall’art. 29 del d.l. n. 244 del 1995, convertito in l. n. 341 del 1995, anche nell’ipotesi in cui siano stati conclusi contratti part-time in ec-cedenza rispetto al limite previsto da una disposizione del contratto collettivo applicabile, poiché la funzione della predetta disposizione è quella di individua-re il complessivo valoindividua-re economico delle individua-retribuzioni imponibili di una data impresa, che, in caso di violazione del divieto di assunzioni a tempo parziale in misura superiore a una determinata percentuale del totale dei lavoratori occu-pati a tempo indeterminato, va commisurato alla retribuzione dovuta per l’ora-rio normale di lavoro anche per i lavoratori assunti part-time in violazione del predetto divieto, a prescindere dalla circostanza che tali compensi siano stati ef-fettivamente corrisposti.

Sempre con riferimento ai datori di lavoro edile e alla concreta applicazione dell’istituto del minimale contributivo previsto dall’art. 29, cit., la Corte, con la sentenza n. 16859/2020, scinde le due ipotesi ivi previste, quella della so-spensione dell’attività, per la quale deve sussistere il presupposto dell’obbligo della retribuzione-corrispettivo, obbligo che non sussiste nelle ipotesi di sospen-sione debitamente comunicate all’Inps in via preventiva e oggettivamente ac-certabili, e quella della riduzione dell’attività, nella quale, sussistendo una retri-buzione, seppure parziale, esprime tutto il suo vigore la regola del minimale e della tassatività delle ipotesi di esclusione.

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Infine, con riguardo agli effetti in campo previdenziale della transazione in-tercorsa fra datore di lavoro e lavoratore, la Corte, con l’ordinanza n.

15411/2020, afferma che la transazione è estranea al rapporto di lavoro e agli obblighi contributivi, perché alla base del calcolo degli oneri previdenziali deve sempre essere posta la retribuzione prevista per legge o per contratto, individua-le o colindividua-lettivo. Con la conseguenza che individua-le somme pagate a titolo di transazione dipendono da quest’ultimo contratto e non dal diverso contratto di lavoro, sic-ché l’assoggettabilità a contribuzione delle poste contenute nell’accordo tran-sattivo è conseguenza dell’accertata natura retributiva delle stesse.

1.3. — Contratti di riallineamento — La Corte, con un gruppo di decisioni rese nel corso del periodo di rilevamento, è intervenuta a dirimere questioni connesse all’applicabilità dell’istituto del contratto di riallineamento disciplina-to dall’art. 5 del d.l. n. 510 del 1996, convertidisciplina-to con modificazioni dalla l. n.

608/1996.

Degna di menzione appare l’ordinanza n. 27503 del 2019, secondo la quale il riconoscimento dei benefìci contributivi di cui all’art. 5 della l. n. 608 del 1996 presuppone l’applicazione da parte dell’impresa, ai propri dipendenti, dei contratti collettivi nazionali vigenti per il settore di appartenenza e corrispon-dente all’attività concretamente svolta dall’azienda, ovvero del contratto collet-tivo previsto per un diverso settore in concreto applicato, se più vantaggioso per i lavoratori rispetto a quello che sarebbe applicabile in base all’inquadramento dell’azienda. Nel caso di specie la Corte ha cassato con rinvio la pronuncia di merito che, nel rigettare l’opposizione proposta da un’azienda tessile avverso la cartella esattoriale emessa a seguito del disconoscimento delle condizioni per il riallineamento contributivo di cui all’art. 5 della l. n. 608 del 1996, aveva omesso di accertare quale, tra i diversi contratti collettivi afferenti al settore, fos-se applicabile al caso di specie, limitandosi a un generico riferimento al contrat-to collettivo «per l’attività tessile».

Con riguardo poi alle concrete modalità di attuazione ed eventuale variazio-ne dei programmi di riallivariazio-neamento, la Corte, con l’ordinanza n. 30868 del 2019, ha affermato che il potere di variazione dei programmi di riallineamento retributivo, di qualunque contenuto e indipendentemente dalla tempestività dell’accordo o dall’identità delle parti sociali, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.l. n. 510 del 1996, convertito dalla l. n. 608 del 1996, può essere esercitato una sola volta, nel rispetto dei limiti temporali, oggettivi e soggettivi previsti dalle norme di riferimento.

1.4. — Lavoratori autonomi — Con riguardo alla tutela previdenziale dei lavoratori autonomi, da segnalare due decisioni in tema di tutela dei

coadiu-RGL N. 4/2020 • OSSERVATORI ONLINE 124

tori familiari e una decisione in tema di iscrizione alla gestione separata di pensionato.

La Corte ha affermato, con sentenza n. 31286 del 2019, in virtù dell’appli-cazione analogica dell’ambito di operatività di cui all’art. 1, commi 202, 203 e 206, della l. n. 662 del 1996, che l’assicurazione per gli esercenti attività com-merciali, che non opera nei confronti del socio o amministratore di Srl in di-fetto dei requisiti congiunti di abitualità e prevalenza dell’attività, di cui al detto comma 203, opera invece nei confronti dei coadiutori, familiari del sud-detto socio o amministratore della Srl titolare dell’impresa, in relazione alle at-tività gestorie agli stessi demandabili e nel concorso degli altri requisiti di legge relativi all’impresa, sicché la registrazione «virtuale» del titolare dell’impresa presso l’Inps, per l’attuazione dell’assicurazione dei suddetti coadiutori, non de-termina alcuna anomalia operativa.

Sulla medesima scia si pone la successiva ordinanza del 23.1.2020, n. 1559, ove la Corte afferma che i familiari coadiutori che, oltre a esercitare lavoro au-tonomo, per il quale vale l’obbligo della iscrizione presso la gestione separata, partecipino personalmente, con abitualità e prevalenza, al lavoro dell’azienda commerciale, nella specie società a responsabilità limitata, devono essere iscritti anche alla gestione commercianti, a cura del socio amministratore, onde evitare che la loro prestazione lavorativa venga sottratta alla contribuzione previdenzia-le, grazie allo schermo societario. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha con-fermato la sentenza di merito che ha ritenuto sussistente l’obbligo della doppia contribuzione per i figli del socio amministratore, consiglieri di amministrazio-ne e altresì coadiutori.

Infine, la Corte, chiamata a vagliare il sorgere della tutela previdenziale pres-so la Gestione separata da parte di pensionato che svolga abitualmente attività lavorativa libero professionale e non sia tenuto a versare il contributo soggettivo all’ente previdenziale di categoria, afferma, con la sentenza n. 7485/2020, che tale lavoratore soggiace all’obbligo di iscrizione alla gestione separata di cui al-l’art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995, come si evince a contrario dall’in-terpretazione autentica di tale disposizione, contenuta nell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 111 del 2011, il quale, nell’escludere dall’obbligo di iscrizione alla gestione separata «i soggetti di cui al comma 11», fa riferimento ai pensionati che versino il contributo sog-gettivo agli enti privati gestori delle forme di previdenza obbligatorie.

1.5. — Contribuzione figurativa — Plurimi sono stati gli interventi della Corte in tema di contribuzione non effettiva, ovverosia non connessa allo svolgimento del rapporto di lavoro: in specie contribuzione figurativa e ri-scatto.

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Con riguardo alla contribuzione figurativa, degne di menzione appaiono due decisioni che hanno affrontato il tema: l’una in fattispecie di aspettativa sindacale, e l’altra che atteneva al riconoscimento di periodi di servizio presso l’Accademia navale «Francesco Morosini».

La Corte, con la sentenza n. 7698/2020, ha ritenuto che, in tema di aspet-tativa sindacale ex art. 31 della l. n. 300 del 1970, la base di calcolo della con-tribuzione figurativa da prendere in esame a fini pensionistici è costituita dalla retribuzione prevista dal Ccnl per qualifica e anzianità di servizio del lavoratore, con esclusione degli emolumenti collegati all’effettiva prestazione dell’attività lavorativa, come si evince dall’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 564 del 1996, che, attraverso il chiaro riferimento alla contrattazione collettiva, esclude che possa-no avere valore di fonte regolativa della retribuzione figurativa gli usi aziendali, nonché eventuali pattuizioni individuali, avuto riguardo, da un lato, alle esi-genze di uniformità e prevedibilità cui risponde la tutela dell’attività sindacale, posta a carico della collettività, e, dall’altro, alla natura indisponibile della ma-teria previdenziale. Nel caso di specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto insussistente il diritto all’inclusione nella retribuzione figurativa del premio di produzione e di altri incentivi correlati allo svolgimen-to effettivo della prestazione lavorativa, nonostante gli emolumenti in questio-ne fossero stati riconosciuti per prassi aziendale alla gequestio-neralità dei dipendenti, a prescindere dalla loro presenza in servizio (1).

Con la precedente sentenza n. 7484 del 23.3.2020, la Corte ha affermato che il periodo trascorso presso l’Accademia navale, valorizzabile ai fini dell’ac-credito della contribuzione figurativa, non può essere superiore al periodo della durata della ferma di leva (nella specie pari a ventiquattro mesi, ai sensi dell’art.

81 del d.P.R. n. 237 del 1964), perché la ratio dell’art. 49 della l. n. 153 del 1969 è tesa a evitare che i soggetti protetti subiscano pregiudizio nella fruizione futura delle prestazioni previdenziali in relazione a eventi che ne impediscano l’attività lavorativa; esigenza evidentemente non configurabile in caso di cd. raf-ferma volontaria.

1.6. — Riscatto — L’intervento della Corte sulla disciplina del riscatto ri-guarda l’applicabilità o meno dell’istituto della decadenza, disciplinato dall’art.

47 del d.P.R. n. 639/1970.

La Corte ha consapevolmente mutato il proprio orientamento e ha afferma-to che il termine di decadenza di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 non si applica alla domanda amministrativa di riscatto del corso di laurea, atteso che

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(1) Si vd. la nota di V. Ferrari, in FI, 2020, n. 9, I, 2784 ss.

l’art. 47 concerne le controversie in materia di trattamenti pensionistici pro-priamente detti, nonché quelle che, pur riguardando il rapporto contributivo, mirano a ottenere lo specifico beneficio del riconoscimento di una contribuzio-ne figurativa in vista dell’incremento del trattamento pensionistico futuro, mentre l’istituto del riscatto, essendo finalizzato, mediante il pagamento della riserva matematica ex art. 13 della l. n. 1338 del 1962, alla copertura assicura-tiva di un periodo in cui l’interessato, per essersi dedicato allo studio, non ha potuto ottenere il versamento dei contributi che avrebbe invece conseguito se avesse lavorato, attiene a un rapporto preliminare e diverso rispetto a quello previdenziale.

1.7. — Ricongiunzione — La Corte è stata anche chiamata a individuare i confini fra la costituzione della posizione assicurativa presso il Fondo previden-za lavoratori dipendenti in favore di dipendente pubblico dimessosi senpreviden-za aver maturato il diritto a pensione e il trasferimento della contribuzione da un fon-do a un altro. Il giudice della nomofilachia ha individuato il discrimine nella decisione n. 17611/2020. Sentenza, questa, dove ha affermato che il dipenden-te civile o militare dello Stato che cessi dal servizio senza aver acquistato il di-ritto alla pensione per mancanza della necessaria anzianità e che abbia successi-vamente instaurato un rapporto di lavoro privato, può valorizzare la contribu-zione già versata utilizzando l’istituto della costitucontribu-zione di posicontribu-zione assicurativa presso il fondo di previdenza dei lavoratori subordinati, di cui all’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, che prevede il passaggio dei contributi senza applica-zione degli interessi, e non quello della ricongiunapplica-zione, operante solo quando la contribuzione accreditata è da sola sufficiente per il riconoscimento della pensione.

1.8. — Gestione ex Enpals — Con l’ordinanza n. 11375 del 12.6.2020, la Corte afferma il sorgere della tutela previdenziale in favore degli istruttori di tennis presso la Gestione dei lavoratori dello spettacolo istituita presso l’Inps dopo la soppressione dell’Enpals - Istruttori di tennis. Il Supremo Collegio giustifica tale approdo sulla constatazione che, a partire dalla l. n.

2388 del 1952 – con la quale è stata prevista l’obbligatoria iscrizione, tra gli altri, degli «addetti agli impianti sportivi» –, si è registrata un’estensione del-la tutedel-la al di fuori dello stretto limite deldel-la categoria dei del-lavoratori dello spettacolo, e, a seguito della modifica della legge fondamentale in materia (id est: il d.l. del Capo provvisorio dello Stato n. 708 del 1947) a opera della l. n. 289 del 2002, vi è stata, con il successivo d.m. 15 marzo 2005, l’espli-citazione della ricomprensione, nell’ambito della categoria di lavoratori as-soggettati alla predetta tutela, di figure emergenti nella pratica – quali, tra

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gli altri, istruttori e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere – che già in precedenza potevano esservi fatte rientrare.

1.9. — Responsabilità dell’ente previdenziale per l’erronea comunicazione della posizione contributiva — Una questione che, pare potersi dire, è divenuta una costante dell’intervento giurisprudenziale è costituita dall’individuazione degli elementi che legittimano il sorgere o meno in capo agli enti di previdenza ob-bligatoria, ovviamente per primo l’Inps, di una loro responsabilità, per erronea comunicazione all’assicurato dei contributi accreditati sulla sua posizione e va-lorizzabili ai fini dell’accesso alla prestazione e/o alla misura della stessa.

Con la sentenza n. 6643 del 9.3.2020, la Suprema Corte afferma che l’er-ronea certificazione resa dall’ente previdenziale all’assicurato, che sia lavoratore autonomo, circa la sua posizione contributiva, non comporta la responsabilità risarcitoria, di natura contrattuale, dell’ente, poiché il valore certificativo delle comunicazioni ex art. 54 della l. n. 88 del 1989 può logicamente predicarsi sol-tanto per quelle concernenti i dati di fatto della posizione previdenziale rilascia-te ad assicurati che, rispetto al rapporto contributivo sulla cui base è modulato il loro rapporto previdenziale, siano terzi, e, quindi, non possano avere cono-scenza alcuna dei predetti dati, ma non anche per le comunicazioni rilasciate ad assicurati che siano anche parte del rapporto contributivo stesso, i quali non possono fondare alcun affidamento meritevole di tutela su eventuali errori compiuti dall’ente nella comunicazione di notizie che rientrano nella loro di-retta sfera di conoscibilità.

2. — Prestazioni — La disamina, nel periodo di riferimento, delle decisioni rese dalla Corte evidenzia un intervento della stessa su plurimi istituti; ma l’isti-tuto a più alto tasso di intervento, come per gli anni precedenti, appare quello che disciplina l’intervento del Fondo di garanzia, a dimostrazione che la con-flittualità si accentua ogni qual volta la previdenza pubblica è chiamata a sup-plire a un inadempimento del datore di lavoro e a tutelare la posizione reddi-tuale del lavoratore.

2.1. — Malattia — L’intervento nel settore dell’indennità di malattia da parte della giurisprudenza è un intervento che ha riguardato fattispecie di as-senza a visita di controllo.

Con l’ordinanza n. 24492 del 1.10.2019, la Suprema Corte afferma che, ai sensi dell’art. 5, comma 14, del d.l. n. 463 del 1983, convertito con modifica-zioni dalla l. n. 638 del 1983, il giustificato motivo di esonero del lavoratore in stato di malattia dall’obbligo di reperibilità a visita domiciliare di controllo non ricorre solo nelle ipotesi di forza maggiore, ma corrisponde a ogni fatto che, alla

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stregua del giudizio medio e della comune esperienza, può rendere plausibile l’allontanamento del lavoratore dal proprio domicilio, senza peraltro potersi ravvisare in qualsiasi motivo di convenienza od opportunità, dovendo pur sem-pre consistere in un’improvvisa e cogente situazione di necessità che renda in-differibile la presenza del lavoratore in luogo diverso dal proprio domicilio du-rante le fasce orarie di reperibilità (nella specie, relativa all’allontanamento dal proprio domicilio di un lavoratore in malattia che aveva accompagnato il figlio al pronto soccorso, la sentenza ha escluso il nesso tra il momento dell’urgenza, effettivamente sussistente in orario notturno al primo accesso al Pronto soccor-so, ma non sussistente al tempo della visita di controllo avvenuta in tarda mat-tinata, quando nessuna urgenza era stata dimostrata dal lavoratore e idonea a giustificare l’allontanamento dal domicilio durante le fasce di reperibilità, non-ché il mancato previo avviso di allontanamento al proprio datore di lavoro).

Con la precedente ordinanza, resa dalla VI Sezione, n. 13980 del 2020, la Corte statuisce che, in tema di assenza dal lavoro per malattia e di conseguente decadenza del lavoratore dal diritto al relativo trattamento economico per l’in-tero periodo dei primi dieci giorni di assenza per ingiustificata sottrazione alla visita di controllo domiciliare, ai sensi dell’art. 5, comma 14, del d.l. n. 463 del 1983, convertito nella l. n. 638 del 1983 (norma dichiarata parzialmente ille-gittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 78 del 1988), l’effettuazione da parte del lavoratore di una successiva visita ambulatoriale confermativa dello stato di malattia, ancorché avvenuta prima della scadenza di tale periodo, non vale a escludere la perdita del diritto al trattamento economico ma ha la sola funzione di impedire la protrazione degli effetti della sanzione della decadenza per il periodo successivo ai suddetti primi dieci giorni, atteso che l’osservanza dell’onere posto a carico del lavoratore di rendersi reperibile presso la propria abitazione non ammette forme equivalenti di controllo.

2.2. — Disoccupazione — La Corte, con la sentenza n. 28295 del 2019, ha riconosciuto il diritto all’indennità di disoccupazione, sostegno al reddito per il caso di involontaria mancanza di lavoro, anche alla scadenza del contratto a ter-mine che sia stato convertito giudizialmente in rapporto di lavoro a tempo in-determinato, quando alla pronunzia non segua poi l’effettiva reintegra, e senza che rilevi la successiva risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a seguito di transazione posteriore alla sentenza favorevole, che il lavoratore non è obbli-gato a eseguire, in quanto lo stato di disoccupazione, provocato dall’atto dato-riale di risoluzione, e non dalla mancata esecuzione del provvedimento giudi-ziale, deve ritenersi comunque involontario (2).

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(2) Si vd. la nota di E. Fiata, in GI, 2020, n. 4, 900 ss.

Con la sentenza n. 10865 dell’8.6.2020, la Corte affronta il tema dell’indi-viduazione dei requisiti necessari e sufficienti per il riconoscimento della pre-stazione e afferma che l’indennità giornaliera di disoccupazione, di cui all’art.

19 del r.d.l. n. 636 del 1939, ha come presupposti il possesso di almeno due anni di assicurazione obbligatoria alla data di inizio della disoccupazione (re-quisito del minimo assicurativo), e di almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione (requisito del mini-mo contributivo); in assenza di espressa previsione, per il computo del biennio minimo assicurativo va applicato il criterio generale previsto dall’art. 2963, comma 2, c.c., integrato con quello secondo cui i termini si computano secon-do il calendario comune, ex nominatione dierum, sicché la scadenza si individua mediante il conteggio a ritroso fino all’ultimo istante del giorno, mese e anno corrispondente a quello da cui il termine decorre.

2.3. — Indennità di mobilità — La Corte, con la sentenza n. 10778 del 2020, afferma che l’indennità di mobilità non spetta ai soci lavoratori di società ed enti cooperativi esercenti le attività indicate nell’elenco allegato al d.P.R. n.

602 del 1970, atteso che l’art. 16 della citata l. n. 223 del 1991, nel testo vi-gente ratione temporis, prevedeva che la suddetta indennità fosse finanziata me-diante il versamento di un contributo percentuale da calcolarsi sulle retribuzio-ni assoggettate al contributo integrativo per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, mentre ai soci lavoratori degli organismi coo-perativi citati, prima del 2013, erano riconosciute dal d.lgs. n. 423 del 2001 so-lo alcune specifiche forme di previdenza e assistenza sociale, tra cui non rien-trava l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria.

Con la sentenza dell’11.3.2010, n. 6943, la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità fra svolgimento di attività di lavoro autonomo e indennità di mobilità di cui all’art. 7, l. n. 223 del 1991, la esclude. Ma tale regola gene-rale recede nel caso in cui il lavoratore già svolgesse, nella costanza del lavoro subordinato, anche un lavoro autonomo con esso compatibile, e quest’ultimo

Con la sentenza dell’11.3.2010, n. 6943, la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità fra svolgimento di attività di lavoro autonomo e indennità di mobilità di cui all’art. 7, l. n. 223 del 1991, la esclude. Ma tale regola gene-rale recede nel caso in cui il lavoratore già svolgesse, nella costanza del lavoro subordinato, anche un lavoro autonomo con esso compatibile, e quest’ultimo

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