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Creative Commons

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO (pagine 17-21)

Nel 2001 viene fondato negli Stati Uniti il progetto Creative Commons da un gruppo di esperti di diritto informatico e del tema della proprietà intellettuale.

Ispirandosi alla licenza Gnu/Gpl della Free Software Foundation, organizzazione senza scopo di lucro che opera in favore dello sviluppo del software libero, l’obiettivo del progetto è quello di rendere disponibile e più

15 Pagg. 184-185 de “Il nuovo diritto d’autore. La tutela della proprietà intellettuale nella società dell’informazione” - Andrea Sirotti Gaudenzi

semplice l’accesso a materiale informativo, didattico, documentaristico, artistico, culturale, che gli autori stessi vorrebbero veder divulgato e utilizzato da altri utenti, promuovendo un’etica della condivisione e della creatività propria dell’open source16.

Sono nate dunque delle licenze alternative con cui gli autori possono scegliere quali diritti proteggere e quali libertà concedere a terzi che volessero fare uso della loro opera. Queste licenze prendono il nome di Creative Commons Public Licenses (CCPL, o più semplicemente “CC”), sono accompagnate dallo slogan “alcuni diritti riservati” (contrapponendosi a quello classico del copyright “tutti i diritti riservati”) e comprendono quattro condizioni (indicate da apposite sigle) che combinate insieme generano diverse tipologie di licenze con le quali si comunicano al pubblico, per ogni opera, i diritti concessi:

Attribution (BY) “attribuzione”, va citato il nome dell’autore dell’opera

Non-Commercial (NC) “non commerciale”, non è consentito fare un uso commerciale dell’opera (rivendendola o noleggiandola per esempio)

No-Derivative Works (ND) “no opere derivate”, non è concesso modificare l’opera e generarne una versione alternativa Share Alike (SA) “condividi allo stesso modo”, chi produce

un’opera derivata è tenuto a ridistribuirla con la stessa licenza dell’opera che ha utilizzato

L’attribuzione è l’unica condizione che resta obbligatoria in tutte le licenze CC. La condizione SA include imprescindibilmente la possibilità di modificare l’opera producendone altre derivate, per cui in sostanza non può esistere una licenza che presenti allo stesso tempo le condizioni ND – SA.

Facciamo qualche esempio. Un brano rilasciato con licenza BY – NC – SA

16 http://www.creativecommons.it/node/15

potrà essere distribuito, pubblicato, utilizzato, modificato, purché in tutte queste operazioni non si consegua uno scopo di lucro e si citi sempre l’autore e il titolo e, nel caso di opere derivate da questo brano, si ricondividano tali opere sotto la stessa licenza, permettendone quindi la modifica ed escludendo lo scopo commerciale nel suo utilizzo. In sintesi, una licenza con la condizione Share Alike condannerà le future opere derivate ad essere condivise con gli stessi permessi, per cui un’opera derivata da un’altra sotto CC BY – NC – SA non potrà mai essere utilizzata per fini commerciali.

Diverso è il caso di una licenza che non presenta tale obbligo: un’opera sotto licenza Creative Commons BY – NC, per esempio, potrà vedere la nascita di un’opera derivata utilizzata a scopo commerciale ma non la possibilità di essere modificata a sua volta (BY – ND).

Il caso del lavoratore che, nella sua prestazione commissionata, perde i diritti di utilizzazione, di fatto vede generarsi sull’opera una licenza CC BY, cioè di sola attribuzione (poiché si ricorda ancora una volta che i diritti morali, tra cui quello di paternità, sono inalienabili).

Spesso il termine “copyright” viene usato come sinonimo per indicare il diritto d’autore. Sebbene nella pratica i due termini indichino la stessa disciplina, vi è una differenza: il diritto d’autore, come detto, viene acquisito al momento della nascita stessa dell’opera; il copyright invece si acquisisce solo una volta avvenuto il deposito dell’opera. Il primo è diffuso soprattutto nei paesi basati sul sistema di civil law che hanno origine dal diritto romano, come quelli europei e del sud America, mentre il secondo è radicato negli ordinamenti di common law di origine britannica come Regno Unito, America settentrionale e Australia. Tradotto letteralmente, “copyright”

significa “diritto di copia”, non a caso infatti nasce nel sedicesimo secolo in Inghilterra, sotto lo Statuto di Anna del 1709, per difendere il diritto di stampa degli editori, data la possibilità di stampare infinite copie di un’opera grazie all’invenzione di Gutenberg, garantendo loro una tutela di 14 anni sul diritto esclusivo di riproduzione e pubblicazione17.

17 https://pescara.unicusano.it/studiare-a-pescara/cose-il-copyright/

Inoltre, se vogliamo, il diritto d’autore comprende al suo interno diritti morali e patrimoniali ed è incentrato più sulla figura dell’autore, mentre il copyright si riferisce solo ai secondi, dunque alla parte strettamente legata all’opera e al suo utilizzo commerciale. Infine nel copyright, a differenza del diritto d’autore, è ammesso il fair use, ovvero la possibilità di fare uso di materiale protetto a scopo di critica, informazione o per uso didattico, senza necessità di un’autorizzazione da parte del detentore dei diritti. La riforma europea in questione potrebbe importare questa eccezione anche in Europa.

Ma allora perché tutti continuano a parlare di copyright?

Nell’ambiente digitale avviene prevalentemente una violazione del diritto di riproduzione, poiché copiando un file e ricaricandolo in rete si ha tecnicamente una moltiplicazione dell’opera (un utente avrà un “luogo” in più in cui poterla reperire, proprio come fosse un negozio). Ciò che interessa ad autori ed editori è ottenere la giusta remunerazione dall’utilizzo delle proprie opere da parte degli utenti, soprattutto online ma non solo. Non è mai stato un problema infatti la questione legata ai diritti morali, ovvero alla paternità dell’opera, poiché gli utenti che ricaricano contenuti protetti sono i primi a dichiarare esplicitamente le giuste attribuzioni. Se paradossalmente facessero passare per loro i contenuti ricaricati (ad esempio una canzone di un autore poco conosciuto, che è una situazione più probabile) si tratterebbe di plagio e andrebbero incontro ad una violazione del diritto d’autore, non solo del copyright, con conseguenti controversie penali. Raramente capitano casi simili, o almeno i nomi più noti difficilmente incontrano problemi di questo tipo. Per questo la direttiva si concentra principalmente sul copyright.

Nei paesi che adottano il diritto d’autore, depositare un’opera non è obbligatorio ma può servire per certificare ufficialmente la paternità dell’opera così da avere una registrazione ufficiale da opporre a terzi per eventuali casi di plagio o semplicemente per tutelare i diritti patrimoniali sull’opera.

Per esempio la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori) è un ente pubblico che agisce da intermediario tra autori/editori e pubblico per la concessione di licenze e autorizzazioni nell’utilizzazione economica dell’opera, per raccogliere e distribuire agli aventi diritto i compensi derivanti dal suo utilizzo. Può anche svolgere servizi di accertamento e riscossione di contributi e tasse per conto dello Stato o di altri enti pubblici e privati.

Se un autore desidera tutelare la propria opera deve iscriversi alla SIAE e seguire tutte le procedure necessarie per depositarla, ottenendo poi un attestato di deposito della validità di 5 anni, rinnovabile.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO (pagine 17-21)