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disfatta di Adua?

25) Dove crede si trovi la Somalia? *

in medio oriente

in Africa settentrionale

in Africa orientale

in Asia sud occidentale

non so

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Cosa ne pensa di questo sondaggio?

Completame nte in disaccordo Molto in disaccor do Non molto d'accor do Né d'accord o né in disaccor do Abbastan za d'accord o Molto d'accor do Completame nte d'accordo Se fossi nuovame nte invitato a partecipar e a questo tipo di sondaggi o, vi parteciper ei Le domande del sondaggi o erano chiare

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Conclusioni

Chiedeteci e vi sarà dato, soprattutto se non ne avete diritto. L'obelisco di Axum lo rivogliono in Etiopia, nonostante sia un dono alla città di Roma153

Il Tempo, quotidiano di Roma, così commentava, nel 2003, la restituzione della stele di Axum, avvenuta, comunque, dopo altri due anni. Una richiesta etiope che non riguardava affatto un dono, come affermato dal quotidiano, ma una restituzione di quello che fu un bottino di guerra fascista e, in quanto tale, già prevista dal trattato di pace del 1947, e che invece di suscitare il giusto scandalo per cotanto ritardo, aizzò la parte più nazionalista del paese. Il Tempo, non fu, infatti, una voce isolata, accompagnato dalle dichiarazioni del sottosegretario ai Beni Culturali dell’epoca, Vittorio Sgarbi, e di alcuni dei partiti politici italiani. Le motivazioni per rinnegare quanto stabilito nel dopoguerra furono le più varie, andando dall’incapacità tecnica degli etiopi di curare un tale monumento, alla mancata restituzione all’Italia delle opere trafugate da Napoleone. In pochi videro la restituzione come un atto doveroso, non tanto in virtù del trattato siglato per rientrare nel consesso internazionale, quanto per ripagare le colpe del fascismo e mostrare al mondo che anche da noi la decolonizzazione aveva dato frutti. Ancora più pochi guardarono con sguardo allarmato al riemergere di un sentimento neocolonialista, sprezzante verso gli altri e, in definitiva, autoassolutorio.

In effetti, una vera e propria decolonizzazione l’Italia non la visse mai, costretta come fu, proprio dalla guerra, a lasciare le sue colonie per mano di una sconfitta militare venuta da “altri bianchi”, e non sotto la spinta dei movimenti di liberazione africani. A mostrare l’arretratezza del discorso pubblico italiano sulle colonie concorse la vicenda dei documenti dell’Ministero dell’Africa Italiana. Proprio per far fronte alla chiusura del Ministero, nel 1952, venne istituito il Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia in Africa che, attraverso i

121 documenti del M.A.I. più significativi, avrebbe dovuto illustrare l’attività svolta dai governi nazionali nelle colonie. In realtà, però, il Comitato partiva da un forte pregiudizio di base, impostando in tal senso il proprio lavoro:

Gli italiani con il loro lavoro, in Africa come dovunque altrove, hanno servito soltanto la patria, non regimi, non governi o partiti al potere in quasi un secolo di vita nazionale. Meglio si raggiungerà, per tale modo, lo scopo che V.E. [Brusasca] ha proposto alla sua iniziativa: dimostrare, cioè, che l’Italia di sempre ha lavorato per l’Africa di domani154.

Che andasse diversamente, del resto, era quasi impossibile data la composizione del comitato, formato in larga parte da ex funzionari coloniali che diedero vita ad una lunga serie di volumi privi di qualsiasi valore scientifico, oltre ad impedire l’accesso ai documenti a studiosi esterni ed indipendenti.

Anche quando studi di decolonizzazione si fecero finalmente avanti in Italia, rimase il dubbio che non avessero un largo seguito nell’opinione pubblica, disinteressata al tema, lasciando il dibattito alla sola comunità di studiosi.

In questo quadro, la vicenda della stele di Axum, e delle polemiche che sollevò, non stupisce più di tanto, in una nazione che continuava a credere largamente al mito dell’italiano brava gente, quel mito che Hugo Pratt, nella sua autobiografia, liquidava così: <<Gli italiani dovevano essersi bruciati le suole delle scarpe a far tutte quelle strade su cui noi viaggiammo in pullman per raggiungere Addis Abeba>>155.

Questo, pur di fronte all'evidenza di fatti storici, di fronte ai massacri liberali e fascisti che le nostre truppe portarono nelle colonie. E pur di fronte alla crisi, se non quando addirittura al fallimento, degli Stati sorti dalle ex colonie italiane: la Libia investita prima dal colpo di stato di Gheddafi e poi dalla rivoluzione araba; l'Eritrea che, dopo aver scontato

154 A. M. Morone, I custodi della memoria, in “Zapruder. Rivista di storia della conflittualità

sociale”, 23, 2010.

155 H. Pratt, Le pulci penetranti, Alfieri Editore, Venezia 1971, in P. Zanotto, C. Chendi (a

cura di), Strisce d’Africa. Colonialismo e anticolonialismo nel fumetto d’ambiente africano, Provincia di Torino, Torino 1985, p. 25.

122 un conflitto decennale con l'Etiopia per ottenere l'indipendenza, è oggi governata da uno dei regimi più inumani e illiberali attualmente esistenti; la Somalia, addirittura piombata in quello che oggi viene definito Stato fallito, uno Stato nel quale cioè le istituzioni governative sono pressoché inesistenti o comunque prive di poteri. Paradossalmente ad aver avuto (relativamente) meno problemi sono stati i paesi toccati solo marginalmente dalla colonizzazione italiana, come l'Albania e l'Etiopia. Se da una parte sembra innegabile che le crisi dei vari paesi siano da attribuire principalmente a fattori di natura interna, altrettanto innegabili sono l’eredità e la responsabilità nelle vicende attuali della gestione coloniale italiana.

Se diversità vi è stata nel colonialismo italiano essa è semmai ritrovabile nella povertà dei domini stabiliti e nel ritardo con cui ci si affacciò all'esperienza imperialista. Ulteriore prova, giunge dal flusso migratorio di Somalia, Eritrea e Libia, che, con la sua enorme consistenza (soprattutto in proporzione alla popolazione), pone una volta di più il problema del fallimento dell’esperienza coloniale se rapportata a quella degli ex imperi di Gran Bretagna e Francia.

Questa tesi, attraverso l’analisi del lavorio diplomatico italiano nel dopoguerra che portò all’amministrazione fiduciaria della Somalia e dell’impegno svolto in questa, spera pertanto di poter fornire un piccolo contributo alla memoria di un poco encomiabile passato coloniale dell’Italia, nella speranza che una narrazione più veritiera si faccia sempre più largo all’interno della nazione, la cui opinione pubblica abbiamo, in piccolo, sondato.

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Si ringrazia inoltre l’Archivio Centrale dello Stato per la consultazione di svariati fascicoli relativi all’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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