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La crisi dei rilievi narrativi assiri

Nel documento Il linguaggio figurativo dei rilievi assiri (pagine 107-120)

Il rilievo narrativo, non sopravvive dopo la caduta di Ninive nel 612.

J.E. Reade offre due interpretazioni diverse della crisi dell'arte narrativa neo-assira: una funzionale, esemplificata dal carattere esclusivo del rilievo neo-assiro di arte ufficiale e di corte, legata quindi ai destini del regno e, una più complessa, fondata sulla differenza della valutazione ideologica del potere regale tra età neo-assira ed età successive (Mazzoni 1988: 111). Entrambe vedono nella crisi del rilievo un fattore largamente ideologico. La prima analisi chiama in causa il mutamento del contenuto dei messaggi espressi, che induce un cambiamento nella scelta dei temi del programma figurativo e sottolinea il passaggio dalla ostentazione della regalità trionfante nei suoi aspetti terrifici, dell'ideologia assira, ad una presentazione della regalità pacificatrice ed unificatrice, che si affida alla ritualità ed alla religione più che al terrore ed alla tirannia, dell'arte achemenide (Mazzoni 1988: 111).

I Gran Re achemenidi, depositari di un'ideologia imperiale specifica, ereditata in parte dalle origini indo-iraniche e che si distaccava in alcuni aspetti da quelli dell'impero Medo o del precedente Assiro, volevano esser visti dai sudditi secondo un ottica ben precisa; quindi il messaggio visivo esprime quella che è “una particolare relazione del re e dei sudditi del suo regno e nell'arte achemenide questa relazione è costantemente espressa come uno sforzo cooperativo della volontà di supporto del re dalle genti a lui soggette” (Root 1979: 131).

Con l'arte achemenide le tematiche cambiano e l'unica opera che celebra una vittoria è il rilievo di Behistun, dove si riprende il tema e l'impianto scenico statico della stele e dei rilievi di trionfo preassiri (Mazzoni 1988: 112). La tematica storica espressa in forma narrativa viene abbandonata.

Il distacco culturale richiesto dagli Achemenidi è netto ed ottenuto convogliando la simbologia locale verso quell'espressione del sentimento/desiderio di collaborazione dei sudditi a supportare il Gran Re. Quello che il programma figurativo achemenide vuole illustrare è la positività della realizzazione dell'impero senza la descrizione dei percorsi intrapresi a questo fine, tanto cari all'arte neo-assira.

CONSIDERAZIONI FINALI

Alla luce del lavoro svolto in questa sede, vi sono alcune osservazione da cui non si può prescindere per eventuali ulteriori approfondimenti. Occorre innanzitutto considerare che i rilievi presi in esame, pur mantenendo caratteristiche apparentemente connesse alla forme di propaganda politica, conservavano in realtà un tipo di fruizione che era prerogativa di una ristretta cerchia di persone. Questo dato non può essere secondario. Come già anticipato nel capitolo precedente, nel momento in cui la narrazione orale dei pochi osservatori si sovrapponeva a quella iconografica degli stessi rilievi, il rischio di perdita, se non del messaggio, restava decisamente alto.

Il tema del dominio sul nemico, del conflitto tra caos e civiltà, le forme di rappresentazione della sottomissione e della violenza descritte finanche nei loro dettagli più cruenti, seppur sembrino rimandare a forme strategiche di comunicazione per stabilire il consenso, in realtà sono collocabili piuttosto alla sfera dell'estremismo religioso misto a forme di esaltazione auto- celebrativa.

Quel che più mi preme sottolineare è che vi sia dunque qualcosa che scavalchi la sola ipotetica funzione politica dei rilievi, intesa per lo meno in un'accezione moderna del termine. Mi riferisco a qualcosa di squisitamente iconografico, di uno specifico della rappresentazione del dominio e della violenza destinato a fare storia nel corso dei secoli e che dunque affonda le sue radici in un contesto antico, violento ma anche dichiaratamente civilizzante. Le immagini dei rilievi, illuminate sotto questa prospettiva, si possono dunque leggere come lo specchio di una volontà di fermare nel tempo le pratiche celebrative del popolo assiro. Esse ci riportano alla mente

la risolutezza degli imperatori che vogliono rivelare a se stessi, ed è lecito ipotizzare anche ai posteri, la funzione dominante, civilizzante, ma anche legittimata in termini di carattere religioso, del proprio impero. Non è un caso che uno dei temi ricorrenti è quello della cerimonia, momento di confluenza di materie apparentemente anche opposte tra loro, tra cui la più rilevante è forse la dicotomia violenza e civiltà.

Il fulcro retorico di tali rappresentazioni procede quindi attraverso la messa in scena della resa e della sottomissione dell'estraneo, momento che non finisce di stupire per i suoi connotati pregni di una violenza che non conosce limiti nella sua raffigurazione del dettaglio macabro. Tale estremismo trova la sua più nobile legittimazione nei richiami alla mitologia mesopotamica e nel parallelo tra l'operato del sovrano e quello degli dèi, entrambi portatori di una civiltà destinata ad imporsi sul regno del caos.

Tra il brutale “realismo” della violenza ricorrente nell'iconografia assira e l'aspirazione a stabilire un contatto con le divinità si colloca la volontà auto-celebrativa e auto-legittimante del sovrano. Ciò che più stupisce è dunque la consapevolezza del mezzo espressivo in termini di rappresentazione iconografica. I rilievi assiri sono delle opere esemplari per la loro capacità di sintesi comunicativa. È come se lo scalpello eludesse il superfluo per incidere sulla pietra la sintesi assoluta delle immagini e dei concetti che gravitano attorno la figura del sovrano e del suo operato: dominio, sottomissione, violenza, civilizzazione, aspirazione al contatto divino. Pur correndo il rischio di forzare troppo la mano, potremmo oggi guardare ai palazzi regali che ospitano i rilievi come dei templi ante

litteram dell'iconografia della prepotenza nazionalistica e dell'estremismo

religioso. Di qui l'importanza di continuare a guardare ad essi sotto le angolature più differenti per tentare di mettere in luce quanto antichi, e

presumibilmente eterni, siano i nessi tra le forme di rappresentazione e delle forme di dominio nella storia dell'umanità.

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