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I criteri che ho seguito tendono a realizzare un’edizione di tipo interpreta- tivo, tale cioè da consentire la lettura corrente e la comprensione piena del testo, pur fornendo al tempo stesso un’idea esatta della forma in cui esso si presenta, così da renderne possibile la fruizione anche da parte degli storici della lingua.

Ho mantenuto l’alternanza tra -i- e -y-, dal momento che la -y- viene a essere in molti casi segno grafico indicante l’approssimante palatale alto408,

come per esempio in Gayeta. Ho anche rinunciato a trascrivere nel caso del

nesso -ti- la -i- con la -j-, benché nel contesto della lingua volgare esso rappre- senti le affricate dentali sorde e sonore [ts dz]409: infatti la contemporanea

presenza, sovente nello stesso contesto, della lingua volgare e del latino crea delle difficoltà di differenziazione dei due registri linguistici e della loro rispettiva fonetica. È stata conservata la -h- in ogni posizione, poiché è spesso discriminante nei rapporti tra grafia e pronuncia: ad esempio l’alternanza tra

dogana e dohana attesta la pronuncia non di una occlusiva velare, bensì della

fricativa corrispondente -ɣ-, e questa parola, dunque, pur provenendo dall’a- rabo diwan410, si sarebbe già in questo periodo uniformata, quanto alla

pronuncia, agli esiti meridionali della -g- intervocalica dinanzi ad -a-411. Ho

escluso insomma ogni ammodernamento grafico ad eccezione della distinzione operata tra -u- e -v-: ho usato infatti la prima per il vocoide velare alto e l’approssimante velare alto, la seconda per la fricativa labiodentale sonora. Ho inoltre uniformato la -j- alla -i-, in quanto la -j- ricorre sempre e soltanto come secondo elemento di una coppia di -i-, con funzione discriminante di tipo grafico. Visto l’uso parziale e non univoco, si è inoltre optato per l’omissione del segno grafico -ę- sostituito sempre con -e-.

Per quel che riguarda l’uso dell’iniziale maiuscola, l’ho limitato, oltre che all’inizio del testo e dopo ogni punto fermo, ai nomi di persona e di luogo, a

sanctus e beatus quando denotano luoghi e istituzioni individuate secondo il

luogo (per esempio: monasterio de Sancto Dominico de Napoli), a Re, Impe- ratore, Papa, Ecclesia, Regno, Contato, Ducato, Marchesato ecc., e agli organi

burocratici e amministrativi del regno (Sommaria, Regia Curia ecc.), in con-

formità agli usi degli scriventi e in quanto oggetto specifico di interesse. Allo stesso modo sono messe in risalto le serie dei registri: Privilegiorum, Partium, Comune, Curie.

408 Per la terminologia cui si ricorre in queste pagine cfr. Canepari, Fonetica.

409 Diversamente propongono Pratesi, Una questione, p. 319, a proposito di un grafema specifico

della scrittura beneventana; Tognetti, Criteri, p. 16. 410 Cfr. Cortellazzo-Zolli, Dizionario, 2, p. 358. 411 Cfr. Rohlfs, Grammatica, Fonetica, par. 218, p. 299.

Quanto ai segni ortografici, quali apostrofi e accenti, e alla punteggiatura, la cui distribuzione nel Repertorium, così come nei manoscritti ad esso con- temporanei, è quanto mai irregolare412, ho ritenuto necessario intervenire

regolarizzandone l’uso per suggerire quella che mi è sembrata di volta in volta l’intonazione di lettura più coerente con la situazione testuale e contestuale413.

L’assenza di una punteggiatura regolare si combina nel testo con l’unione grafica, cioè la mancata separazione di parole logicamente distinte ma non nella pronuncia. In questi casi ho staccato le due parole indicando con l’apo- strofo eventuali elisioni o aferesi avvenute. Sono ricorso inoltre all’accento per distinguere parole che nel testo divengono omografe quali faccia, terza perso- na del congiuntivo presente di un cosiddetto «verbo irregolare» che in quanto tale sopravvive quale «resto isolato di antiche forme congiuntive»414 che con la

fine del Medioevo sono andate perdendo gradualmente di vitalità, e faccìa, terza persona dell’imperfetto con desinenza in -ia diffusa nell’Italia meridio- nale415 e geminata -cc- dinanzi a vocale palatale416.

Ho inoltre utilizzato quale segno diacritico il punto in alto per indicare il raddoppiamento fonosintattico dell’iniziale di parola, e le alterazioni della consonante finale delle proclitiche per «avvicinamento al punto di articola- zione» della iniziale della parola seguente (im⋅ potere)417.

Le abbreviazioni, che sono state naturalmente sciolte “secondo le lettere” (buchstabengetreue) e non “secondo la pronuncia” (lautgetreue)418, nel caso di

dubbia “soluzione” sono state risolte tra parentesi tonde419. Ho sciolto il

titulus, quando sostituisce la vocale finale, nel modo più plausibile sulla base

del contesto, e non sempre come -e (dello ferro e non delle ferro da dell’ ferro,

Repertorium, c. 122): infatti piuttosto che introdurre ex novo elementi di

grafia incongrui, ho preferito correre il rischio di «regolarizzare una termina-

412 Per la storia dell’introduzione e della regolarizzazione di questi segni diacritici e della

punteggiatura cfr. Hartmann, Zur Geschichte; Migliorini, Saggi, pp. 221-223; idem, Storia, pp. 383- 385; Storia e teoria dell’interpunzione; Polara, Problemi; Mortara Garavelli, Storia; Cignetti,

Interpunzione. Tra l’altro titulus e apostrofo tendono ad esser confusi nella loro utilizzazione; cfr. a

questo riguardo almeno Ageno, Particolarità, p. 177: «Una lineetta verticale collocata a destra della lettera, in alto però rispetto ad essa (apice), prende il posto dell’antico titulus per indicare n, m; a fine di parola, a destra di l, m, n, e al di sopra di r, significa troncamento (è quindi un vero e proprio apostrofo)».

413 Di fronte a un problema analogo si trovano gli editori di fonti storiche bizantine. Gli editori del Corpus fontium historiae Byzantinae lo hanno tuttavia risolto diversamente, escludendo anche

dall’apparato accenti, spiriti e altre particolarità grafiche. Cfr. Richtlinien, p. 186: «Durch Orthogra- phie und Itazismen bedingte Schreibungen, Akzente, Spiritus, Interpunktionen, iota adscriptum, ny ephelkystikon und ähnliches scheinen im Apparat nicht auf».

414 Rohlfs, Storia, Morfologia, par. 559, p. 301. 415 Ibidem, par. 552, pp. 291-293.

416 Rohlfs, Storia, Fon., par. 231, p. 324. 417 Ibidem, par. 242, p. 341.

418 Per questa polemica cfr. Mayer, Zur Edition.

419 Per dubbia soluzione intendo anche la possibile alternanza tra litera e lettera, dove l’incertezza

zione finale contro le abitudini degli scriventi»420. Le abbreviazioni riguardanti

unità metriche e monetarie sono state riprodotte ripetendo le lettere effettiva- mente scritte e ponendo un punto dopo di esse. I numerali son stati trascritti con fedeltà al testo riproducendo le cifre romane e quelle indoarabiche, tanto sole che combinate fra di loro e con elementi alfabetici, questi ultimi riprodotti tanto con lettere sul rigo quanto con letterine in esponente. Le abbreviazioni di

folio (f°, fo.°, f.) sono state invece sempre regolarizzate in f.

In caso di elenco di merci, di città, funzionari ecc., disposti su due colonne, ho proceduto a riportarli di seguito, facendo sì che i termini contenuti nella seconda colonna seguissero quelli della prima.

Le rubricazioni sono state evidenziate in corsivo.

Non ho ritenuto opportuno segnalare il cambiamento di riga; mentre il cambiamento di foglio è indicato tra parentesi quadre in margine alla pagina.

Tra parentesi quadre sono collocate anche le integrazioni del testo dovute a guasto meccanico. Le integrazioni congetturali sono state poste tra parentesi uncinate. Gli spazi lasciati in bianco nel Repertorium sono riempiti con tanti asterischi quante approssimativamente sono le lettere mancanti. Le parole o le lettere espunte sono trasferite in nota. All’inizio o alla fine di passi irrimediabil- mente corrotti sono poste cruces. Le aggiunte interlineari e marginali, le corre- zioni fatte sul testo, tratti abbreviativi superflui, lettere non completate ecc., sono state segnalate in nota.

Le note sono naturalmente di due ordini: quelle che formano l’apparato critico e quelle di commento. Le prime vengono richiamate con lettere alfabeti- che, le seconde con numeri arabi.

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