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La critica al panpsichismo e la costituzione ontologica dell’ente finito

L’identità dell’essere per sé manifesto che si esprime in modo concretamente soggettivo è riscontrabile nella mente dell’uomo; tuttavia, tale soggettività è segnata da un limite ontologico. L’essere che la mente dell’uomo può intendere e che può esprimere nella propria attività pensante è quella dell’essere relativo. In altre parole, la manifestatività dell’essere relativo è il pensiero in quanto umano. Nel prosieguo del nostro lavoro cercheremo di evidenziare come la latenza del non essere, propria dell’essere relativo, sia da ricondursi alla sua contingenza. Per ora, ci basti sapere che l’essere relativo è un modo di manifestare l’identità ontologicamente limitato, poiché il pensiero (e l’essere) in quanto umano è altro dall’essere per sé manifesto. L’importante è tenere fermo che: 1) l’essere sé dell’uomo è limitato ontologicamente, ma non logicamente; 2) si dà continuità logica tra l’identità dell’uomo e l’identità dell’essere per sé manifesto; 3) per questa continuità logica, l’uomo può intendere l’essere per sé manifesto; 4) l’identità dell’uomo, il suo essere a sé stesso, è limitata poiché non è per sé manifesta e infine, 5) lo stesso essere a sé della mente accade nell’essere. Possiamo riassumere questi cinque punti dicendo che il pensiero in quanto umano è un’individuazione del proprio essere nell’essere per sé manifesto. Quest’ultima osservazione non ha un’impronta cripticamente gnostica. Abbiamo già rilevato che l’essere iniziale, l’inizialità del pensiero, lo stesso essere per sé manifesto sono delle strutture dialettiche: esprimono un’identità, ma non una personalità107. Che

queste entità siano dialettiche, significa che non operano come degli intermediari tra il pensiero in quanto umano e il pensiero assoluto e che, soprattutto, non hanno una propria sussistenza. Lo stesso principio riconosciuto come l’atto di tutti gli enti e di tutte le entità, ciò che regge il pensiero in quanto umano, è un’inizialità dialettica; la

107 La confusione tra soggettività e idealità dell’essere, secondo Rosmini «fu la causa del Panteismo che

guastò la filosofia specialmente in Germania e in fine la consunse. Poiché chi scambiasse per avventura l’essere iniziale di tutte le entità e comunissimo, con l’essere completo nella sua natura, ossia coll’essere assoluto e realissimo, che è Dio stesso, questi arriverebbe all’errore enorme e grossolano id fare che tutte le entità fossero predicati e però qualità di Dio, e così ne comporrebbe il mostro de’ Panteisti» (Cfr. Teosofia, Libro I, cit., n. 131).

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dialetticità non è però sinonimo di falsità o finizione, ma di imperfezione. Ma imperfezione di che cosa? ci domandiamo. L’imperfezione e la limitatezza con la quale l’essere si manifesta non distruggono l’evidenza con la quale esso si manifesta. Ma tale evidenza, per il nostro autore, non può essere scambiata con l’assoluto stesso, come, nel corso della storia della filosofia, hanno fatto molte scuole di orientamento neoplatonico108. La tendenza filosofica del neoplatonismo è quella, infatti, dell’ideoteismo o del panpsichismo, per cui tutto ciò che ha un’identità ha immediatamente un’esistenza propria, cioè un’anima. Per essere più precisi, secondo il nostro autore, l’auroralità dell’ideoteismo potrebbe essere fatta risalire a una ripresa Platonica del frammento di Empedocle:

«Πάντα γὰρ ἴσθι φρόνησιν ἔχειν καὶ νώματος αἶσαν»

noto a Rosmini attraverso l’opera del Karsten109, e da lui tradotta con «sappi che tutte le cose son consorti d’intelligenza e di pensiero»110. Secondo il nostro autore l’ideoteismo ha due volti a seconda di ciò che viene spiritualizzato; infatti,

«fino che si ammette la moltiplicità delle idee, l’errore in cui incappano le menti speculative è il politeismo idealistico: quando poi si raggiunse nelle idee l’unità subentra l’errore del monoteismo idealistico. L’uno e l’altro è un ideoteismo».

Se Empedocle è emblematico di un politeismo idealistico, Parmenide è, al contrario, la massima espressione di un unitarismo forte111, cioè di un monoteismo idealistico.

Ma entrambi gli orientamenti condividono lo stesso errore: quello di attribuire all’idea l’intelligenza. L’ideoteismo genera due problemi: 1) compromette l’unità dell’essere,

108 Sulla spiritualizzazione e personificazione delle idee che contrassegna il pensiero delle scuole

ideoteistiche, Rosmini scrive che: «La giustizia, la fortezza, la bellezza, la voluttà, i vizi e le virtù e cose simili non soddisfecero mai sotto la forma d’astrazioni che è la forma oggettiva, ma si convertirono in altrettante persone che il volgo prese financo ad adorare, e i pochi savi, riguardandole come simboli, trovarono però degna di lode, bella e necessaria questa simbolica. Che anzi questo fatto può annunziarsi da noi in un modo più generale ancora; perché di tutte le idee si parlò come di altrettanti Iddii; di che l’idolatria alessandrina delle idee; e Platone stesso paga questo tributo alla comune debolezza, e se ne compiace almeno come d’un ornamento del suo discorso; onde a ragion d’esempio Socrate nel Filebo che combatte la voluttà, si mostra nello stesso tempo tutto reverente alla Dea Afrodite con che volea significare l’idea del piacere. Allo stesso istinto di subiettivare l’oggetto si dee riferire l’origine d’ogni soggettivismo da quello del Condillac fino a quello dello Schelling e dell’Hegel che fa dell’idea il subietto universale» (cfr. Teosofia, Libro IV, cit., n. 1583, p. 1619 ).

109 Il riferimento bibliografico è: Karsten S., Philosophorum graecorum, 2 voll., Müller, Amsterdam 1830-

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110 Cfr. Teosofia, Libro IV, cit., n. 1583, p. 1619. 111 Cfr. Teosofia, Libro I, cit., n. 67.

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poiché in esso o ci sono tante forme d’essere quante sono le intelligenze (politeismo idealistico) o c’è un unico pensiero in atto per il quale le cose sono delle sue semplici determinazioni (monoteismo idealistico); 2) è un tipo di gnosticismo, per il quale la conoscenza di sé è sufficiente a riunificarsi al principio della propria esistenza ed intelligenza.

Per quanto riguarda il punto (1), la risposta generale del nostro autore all’ideoteismo è quella che c’è un solo principio di manifestatività dell’essere e che le intelligenze possono essere molteplici. L’essere è uno, ma tale unità è dialettica, ovvero non comporta la fusione dei diversi soggetti pensanti in un unico pensiero. L’unità alla quale l’uomo può ambire, vedremo, è semmai quella di vedere la concretezza dell’essere per sé manifesto.

Dal punto (2) dipende, forse, la diffidenza del nostro autore verso la metafisica di Plotino112 e degli autori «mistici della scuola di Alessandria»113, che cadendo in forme di soggettivismo, spiritualizzano e divinizzano l’intelligibilità dell’essere. Questo processo di spiritualizzazione, per il nostro autore, è una μετάβασις che confondendo

l’evidenza dell’essere con l’intelletto divino, non fa che divinizzare, illusoriamente, la stessa mente dell’uomo. Questa illusorietà, che scaturisce da una μετάβασις, in realtà non comporta la divinizzazione della mente, ma si rovescia in una forma di idolatria e, dunque, di completa eteronomia. Gli obiettivi teoretici del nostro autore, che differenziano l’impostazione teosofica da quella metafisica di scuola neoplatonica, consistono nel salvaguardare 1) la purezza del dato dell’intuizione, affinché non sia scambiato con Dio stesso; 2) l’autonomia e l’individualità dell’ente finito completo Questi obiettivi possono essere perseguiti rispettivamente: nella ricerca delle condizioni di concepibilità assoluta dell’essere iniziale; nella ricognizione di come il pensiero in quanto umano trovi la propria individualità nell’essere per sé manifesto. Dalla congiunzione del punto (1) e (2) deriva che l’atto degli enti e di tutte le entità non sia l’assoluto stesso, ma che tutta la sfera dell’essere relativo, compreso il pensiero in quanto umano, abbia una sussistenza propria ed ontologicamente limitata.

112 Cfr. Teosofia, Libro IV, cit., n. 1540. 113 Cfr. Teosofia, Libro III, cit., n. 884.

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