Anna Dolfi (a cura di), L’Ermetismo e Firenze. Atti del convegno internazionale di studi Firenze, 27-
31 ottobre 2014. Critici, traduttori, maestri, modelli. Volume I, ISBN 978-88-6655-963-4 (online),
© the Author(s), CC BY-SA 4.0, 2016, published by Firenze University Press
GLI ANNI DELL’ERMETISMO. UNA LETTURA POLITICA Stefano Passigli
Il XX secolo è stato come pochi altri secoli un’epoca di cambiamento. È oramai diffuso l’uso di indicarlo, sulla base della fortunata definizione di E.J. Hobsbawm, come «il secolo breve»: personalmente, non vedo cosa vi sia di «bre- ve» in un secolo che ha conosciuto genocidi, grandi rivoluzioni, due guerre mon- diali e molteplici conflitti regionali, ed altrettante guerre civili, alcuni dei peg- giori totalitarismi della storia, ma anche la decolonizzazione, il diffondersi della democrazia, lo sviluppo economico di grandi realtà statuali come India o Cina e il mutare delle ragioni di scambio nei rapporti economici internazionali, l’e- levarsi del reddito pro capite, un impressionante sviluppo scientifico e tecnolo- gico, il diffondersi dell’istruzione e della sanità di massa con il conseguente al- lungarsi delle aspettative di vita, e numerosi altri profondi fenomeni strutturali che hanno cambiato i rapporti tra stati e la vita delle persone. Non vedo come tutto questo possa contribuire a far definire «breve» un secolo i cui eventi fan- no ancora sentire tutti i loro effetti nelle nostre società.
Epoca di grande cambiamento dunque il secolo XX. Non certo l’unica: an- che la fine del XVIII secolo con il venir meno dell’Ancien Régime e il primo pie- no riconoscimento dei diritti civili e politici, e con il loro diffondersi in Europa al seguito delle armate napoleoniche, aveva rappresentato una rottura con la so- cietà precedente. Così come aveva rappresentato una grande rottura della cultu- ra sostanzialmente comune alle élites del Settecento, l’insorgere nel XIX secolo dei nazionalismi e lo svilupparsi della società borghese, che aveva avuto un qual- che timido precedente in Inghilterra ma che troverà piena diffusione sul conti- nente solo nell’Ottocento.
Le grandi tensioni dei primi settanta anni dell’Ottocento erano sembrate ricom- porsi nella Felix Europa della Belle Époque nei pochi decenni tra il 1870 e il 1914, ma un nuovo e profondo cambiamento si preparava per quell’Europa sancendo la definitiva fine del «Mondo di ieri». La Grande Guerra cancella infatti i tratti fondamentali delle società borghesi dei vecchi stati europei. Nulla sarà più eguale. Come si pose la cultura italiana davanti a questo punto di svolta della storia? La guerra spazza via definitivamente la cultura scientifica positivistica, e in lette-
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ratura il decadentismo intimista che aveva avuto fortuna nei decenni preceden- ti. Già agli inizi del Novecento, in Italia, le avanguardie ripudiano tali posizio- ni: riviste come «La Voce» o «Lacerba», movimenti come il futurismo, nascono come reazione alla cultura dominante nei decenni precedenti, e non a caso guar- dano anche alla politica come strumento di modifica dell’esistente; essi sono – potremmo dire – implicitamente engagés. Non deve sorprendere che proprio in questi contesti prenda forza, quando scoppierà la Grande Guerra, l’interventi- smo, in un singolare mix di tradizione risorgimentale e di attivismo nuovista. A guerra conclusa sarà proprio in seno a questi contesti che troverà cittadinanza e si alimenterà la parte intellettualmente più significativa del fascismo. Mentre gli altri due grandi totalitarismi del secolo (nazismo e comunismo sovietico) rifiu- teranno e perseguiteranno le avanguardie, artistiche e letterarie, il fascismo tro- verà in queste sostegno. Vi è un unico esempio di significativa sopravvivenza di una grande figura nel passaggio dall’Italia Umbertina e positivista all’Italia post bellica: D’Annunzio, e proprio perché in lui non vi è traccia di cultura positivi- sta, ma semmai di grandi presenze europee, dal simbolismo francese a Nietzsche. Questo è il quadro che si presenta in Italia a quanti vivranno il periodo dell’en- tre deux guerres. Mentre in Francia e in Germania si assiste ad una vivacissima vita intellettuale, con il nascere nelle arti e in letteratura dei grandi movimen- ti artistici del XX secolo (espressionismo, surrealismo, dadaismo, e così via), in Italia – con l’eccezione dell’architettura che vede durante il fascismo la nascita di validi esempi di razionalismo – arti e letteratura sembrano chiudersi in una prospettiva se non di strapaese sostanzialmente autarchica, anche se non man- cano nell’ermetismo echi e rinvii simbolisti e persino suggestioni surrealiste. In altre parole, mentre negli altri paesi la cultura non resta indifferente rispetto agli enormi cambiamenti sociali che la Grande Guerra ha determinato rispet- to alla società europea della Belle Époque, in Italia – complice forse il progressi- vo installarsi di una dittatura che scoraggiava i rapporti con il resto dell’Europa – la cultura, e la migliore letteratura in particolare, sembrano progressivamen- te ritirarsi in una torre d’avorio e rinunciare a qualsiasi forma di reale militan- za e di avvertibile presenza.
In Francia un’esplicita contrapposizione tra una cultura engagée ed una cul- tura ancora dedita a l’Art pour l’Art, o comunque lontana dalle tensioni della po- litica, si era apertamente manifestata agli inizi del secolo con l’affaire Dreyfus. Superfluo sottolineare in questa sede il grande impatto che l’affaire Dreyfus ebbe sull’opinione pubblica francese, grazie anche al ruolo di scrittori come Émile Zola o Charles Peguy. Non è azzardato affermare che la cultura dell’engagement che ha caratterizzato così tanta parte delle arti e delle lettere francesi trovi nell’affai- re Dreyfus se non la propria origine certo un motivo di risveglio e di fondamen- to. Questo processo andrà anzi così avanti da provocare di lì a poco una sinto- matica reazione: il libro La trahison des clercs di Julien Benda, bibbia di quanti in opposizione ad una concezione militante della cultura ne sottolineavano in- vece i valori di obiettività e neutralità.
35 GLI ANNI DELL’ERMETISMO. UNA LETTURA POLITICA In Italia alla cultura militante risorgimentale e post-risorgimentale, a sim- bolo della quale potremmo assumere Carducci, aveva fatto seguito il decaden- tismo intimista dei Gozzano o dei Pascoli. La Grande Guerra fu il detonatore che diede il via ad un inarrestabile cambiamento. Al D’Annunzio umbertino della «Cronaca Bizantina», o al fortunato romanziere e drammaturgo, fa seguito il D’Annunzio interventista e di lì a breve guerriero e militante. Anticipata dal movimento futurista la cultura italiana, o almeno le sue avanguardie, si muo- vono in una direzione di attivismo engagé che non può non simpatizzare per il fascismo. Come ho già detto, mentre sotto altri regimi le avanguardie vengono guardate con sospetto e perseguitate, tra il nascente fascismo e le avanguardie – da sempre critiche dell’Italia liberale e dei suoi valori – è tutto un corrispondere di amorosi sensi. Dinanzi al fascismo abbiamo insomma, in Italia, una cultura che lo accompagna e lo esalta come fattore di modernizzazione, e poche le per- sonalità che vi si oppongono, vuoi provenienti dalla cultura dell’Italia liberale (come Croce, o i due direttori dei principali quotidiani Albertini e Frassati, che verranno di lì a poco defenestrati e privati della proprietà de «Il Corriere» e de «La Stampa»), vuoi espressione di una cultura nuova e, ahimè, molto poco pre- sente in Italia: Gobetti, i Fratelli Rosselli, la cultura torinese e fiorentina da cui prenderà vita quel movimento non solo politico ma culturale e morale che fu l’azionismo. Fenomeni questi di opposizione al fascismo che furono nella cul- tura italiana largamente minoritari (e basti ricordare – siamo qui tra accademi- ci – che solo 12 dei nostri predecessori rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo, laddove, ad esempio in Germania, il rifiuto del nazismo e l’emigrazione intel- lettuale svuotò le cattedre delle principali università e contribuì notevolmente allo sviluppo scientifico degli Stati Uniti).
Di fronte al fascismo trionfante come si pose l’ermetismo? Come rivendica- zione di una «poesia pura», sostanzialmente priva di riferimenti spaziali e tempo- rali, come adesione ad una poetica programmaticamente estranea ad ogni com- promesso con la politica. Parafrasando, potremmo dire come teorizzazione della «poesia per la poesia». Credo dunque che si debba leggere l’ermetismo innanzi- tutto come un fenomeno di non partecipazione alla vita pubblica. «Letteratura come vita» – per riprendere la celebre espressione di Carlo Bo – al di là della querelle se la critica debba tenere conto della vita di uno scrittore oppure con- centrarsi solo sulla sua opera, è innanzitutto un invito a considerare la sfera del- la letteratura come – nelle parole di Bo – «una strada, e forse la strada più com- plessa per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra coscienza», e anco- ra «la letteratura è la vita stessa, e cioè la parte migliore e vera della vita […]». In Bo la letteratura è insomma una forma di riflessione sulla realtà, un richiamo quasi morale ed esistenziale ad una letteratura – di nuovo nelle parole di Bo – «non contaminata dagli umori e dalle passioni del momento». Non siamo lonta- ni dalla figura di «chierico» richiamato da Benda. E soprattutto non siamo lon- tani dal poter capovolgere «letteratura come vita» in «vita come e per la lettera- tura». All’engagement di una cultura militante l’ermetismo risponde con il riti-
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ro in sé e l’approfondimento del sé. Siamo al disimpegno come condizione per una vita più profonda. La torre d’avorio come difesa dal male esterno.
È questa la chiave di lettura che vi propongo per l’ermetismo: la dimensione della poesia come rifiuto del fascismo e della sua imperante retorica, un rifiu- to però che dall’iniziale ritiro nella torre d’avorio andrà facendosi, sotto la spin- ta degli eventi, sempre più attento alla storia che si avvia a travolgere il mondo esterno in una nuova e ancor più drammatica guerra mondiale, e in nuovi e an- cor più atroci genocidi. Di fronte al precipitare degli avvenimenti la posizione di quanti, come Prezzolini, «non la bevevano» è oramai inadeguata. E dal pun- to di vista morale si avvia a diventare inadeguato anche il ritiro nella torre d’a- vorio. Non è un caso che progressivamente i protagonisti dell’ermetismo fioren- tino, e prima ancora i suoi amici e compagni di strada, andranno avvicinandosi al giudizio politico e alla militanza: Bilenchi, Pratolini, Gatto, Fortini, assumo- no posizioni progressivamente antifasciste, ed è superfluo ricordare l’allontana- mento di Montale dalla direzione del Gabinetto Vieusseux da parte del regime. I «bigi» – come venivano chiamati a Firenze i non «neri» – che si riunivano pri- ma al Caffè San Marco e poi alle Giubbe Rosse sono ormai diventati vicini ai «rossi», o partecipano di un cattolicesimo impegnato. Il saggio di Bo Letteratura come vita è del 1938, ma afferma una visione morale della letteratura e del la- voro intellettuale che si accompagna ai suoi interessi per la grande poesia spa- gnola della generazione del ’27, i cui protagonisti si opporranno tutti al franchi- smo venendone uccisi o andando in esilio, e a quelle voci della cultura francese come Maritain o Claudel maggiormente impegnate, e accompagna dunque sen- za contraddizioni il crescente impegno di tutta la generazione dell’ermetismo.
Come già con il primo conflitto mondiale sarà nuovamente la guerra a ripor- tare definitivamente una generazione all’engagement, anche se – a mia conoscen- za – nessuno all’impegno attivo nella Resistenza e nella lotta per la Liberazione. Come non ricordare i famosi versi di Quasimodo, quasi una excusatio non peti- ta ma per questo non meno sincera: «E come potevamo noi cantare / con il pie- de straniero sopra il cuore / tra i morti abbandonati nelle piazze / sull’erba dura di ghiaccio, al lamento / d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero / della madre che andava incontro al figlio / crocifisso sul palo del telegrafo? / Alle fronde dei sali- ci, per voto anche le nostre cetre erano appese / oscillavano lievi al triste vento». Salvo però accompagnare a questi versi altri come: «E ora / che avete nascosto i cannoni fra le magnolie, / lasciateci un giorno senz’armi sopra l’erba / al rumo- re dell’acqua in movimento / delle foglie di canna fresche tra i capelli / mentre abbracciamo la donna che ci ama». Anche se le tragedie della guerra lasciano la loro traccia, si veda ad esempio Il mio paese è l’Italia, il tono di Quasimodo ri- mane sostanzialmente elegiaco. Quale diversità con l’ansia e il coinvolgimento del Sereni di Diario di Algeria o del Montale de La Bufera!
E Luzi? Con il passare del tempo la sua voce poetica muta, e da opere inte- ramente riconducibili al più puro ermetismo come La barca o Avvento notturno
37 GLI ANNI DELL’ERMETISMO. UNA LETTURA POLITICA giunge, attraverso la mediazione del suo profondo cattolicesimo, ad una progres- siva attenzione alla dimensione dell’umano che lo circonda. Nascono così rac- colte come Primizie del deserto e Dal fondo delle campagne, ove il linguaggio di Luzi è oramai lontano da quello degli anni dell’ermetismo. Con Onore del vero, e con Il giusto della vita o Nel magma, la discesa di Luzi nella realtà del mondo si fa sempre più piena. La nomina a senatore a vita che gli tributerà il Presidente Ciampi è un riconoscimento di questo suo avvicinarsi a Al fuoco della controver- sia. Nel poco tempo che la vita gli concederà in Senato – e fu per me un gran- de onore essergli vicino su quei banchi – la testimonianza del suo impegno non lascia dubbi. Il cammino della generazione dell’ermetismo, e di colui che ne fu forse il massimo esponente, dalla torre d’avorio alla presenza attiva nel mondo si è oramai compiuto.
Anna Dolfi (a cura di), L’Ermetismo e Firenze. Atti del convegno internazionale di studi Firenze, 27-
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© the Author(s), CC BY-SA 4.0, 2016, published by Firenze University Press LA VICENDA DEL TERMINE «ERMETISMO»
Massimo Fanfani
Se ancor oggi possiamo considerare come straordinaria e memorabile l’av- ventura umana e letteraria di Luzi, Bigongiari, Parronchi e dei loro compagni di strada, è anche perché circa settantacinque anni fa, quand’essi erano poco più che ventenni e avevano appena pubblicato i primi versi, furono bollati come “er- metici”, un termine che allora, diversamente da oggi, aveva connotazioni non del tutto neutrali, ma che servì a dar loro un immediato e imprevisto risalto. Quella insolita parola che si trasformò subito in un’etichetta, proprio per il suo tono più o meno polemico e per le discussioni che suscitava, contribuì infatti ad accomunarli in un movimento, nonostante le loro diverse personalità, e rese più marcati i tratti condivisi del loro linguaggio e della loro poetica, polarizzan- do attorno ad essi l’atteggiamento della critica e dei lettori.
Insomma, l’“ermetismo” divenne presto la bandiera dietro la quale – loro malgrado – si trovarono inquadrati: una bandiera che li rese riconoscibili sul fronte letterario e fece nascere una considerazione più equilibrata e aperta della loro poesia, non solo a livello cittadino – dalle aule universitarie e dal Caffè San Marco furono accolti senza indugio nella raffinata cerchia delle Giubbe Rosse – ma a livello nazionale, tanto che le principali riviste cominciarono a contender- si i loro versi. Anzi, proprio per Luzi, Bigongiari, Parronchi, Bo, Macrí e gli al- tri del gruppo, anche se venivano quasi tutti da fuori Firenze, si escogitò allora una denominazione più specifica, quella di “ermetismo fiorentino”, così da ca- ratterizzare meglio il loro sodalizio rappresentativo del più autentico verbo er- metico, distinguendolo sia da altre analoghe “scuole” ermetiche, sia da una con- cezione più generale dell’ermetismo, come quella elaborata da Francesco Flora nei saggi che aveva pubblicato a partire dal 1929 e poi nel volume laterziano del 1936, La poesia ermetica. Un volume che servì comunque a lanciare l’espressio- ne, anche se Flora aveva come bersagli la «poesia pura», Paul Valéry e l’Ungaret- ti del Sentimento del tempo, che tuttavia non era da lui ritenuto «né l’invento- re della tecnica analogica, né l’iniziatore o il profeta dell’ermetismo», ma la sua «vittima più candida e più onesta».
L’ermetismo è dunque un termine che, pur variamente usato in campo lette- rario e artistico nei primi decenni del Novecento, prende campo in modo sta-
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bile alla metà degli anni trenta, non più per indicare genericamente una delle caratteristiche della poesia moderna, ma come emblema di un movimento, ac- codandosi alla fitta schiera degli -ismi contemporanei: oltre a quelli ottocente- schi, si pensi a futurismo, orfismo, cubismo, dadaismo, espressionismo, novecenti- smo, surrealismo, e a tanti altri, la fortuna dei quali era data anche dalla pratica versatilità di quell’invadente modulo formativo, che consentiva di avere in un colpo solo, oltre all’astratto in -ismo, anche un -ista e un -istico.
Tuttavia la tessitura del nostro termine, vuoi per la sua semantica, vuoi per l’impiego che se ne era fatto, mostrava qualche smagliatura rispetto a ciò che rappresentavano i poeti fiorentini cui veniva attribuito. A cominciare dalla non perfetta aderenza al loro orizzonte poetico e culturale: essi, infatti, riprendendo stilemi e modi analogici dai simbolisti e da Ungaretti, nella loro intemperanza e, se si vuole, immaturità giovanile, potevano spesso risultare anche più oscuri e involuti dei modelli, ma aspiravano ad avere una loro autonomia e d’altra par- te va detto che, oltre a non essere tutti oscuri allo stesso modo, non vollero mai rinunciare, pur attraverso la ragnatela del loro particolare ermetismo, a farsi in- tendere, a comunicare ciò che davvero premeva e che, in larga misura, fu inteso.
Se dunque l’etichetta di ermetismo fu il segno distintivo del movimento dei fiorentini, essa a diversi di loro rimase sempre un po’ estranea e quasi nessuno mo- strò di andarne fiero e anzi tutti cercarono di scrollarsela di dosso appena poterono, ovvero quando, con la guerra e la caduta del Regime, si resero conto della finzione mistificante a cui quel marchio del loro chiuso gergo poetico li aveva come condan- nati e che la realtà drammatica del presente esigeva altre più lucide responsabilità e una poesia che mirasse direttamente e con maggior chiarezza al cuore delle cose. Va aggiunto poi che la stagione dell’ermetismo, considerato in senso più am- pio e nella sua effettiva rilevanza storiografica, fu piuttosto breve: dal Sentimento del tempo ungarettiano alla prima Bufera di Montale. E quella del cosiddetto “er- metismo fiorentino” – dal punto di vista dei suoi protagonisti – fu ancora più breve, svolgendosi tutta in un tempo concentrato, dalla metà degli anni tren- ta, quando si formò il sodalizio fra Luzi, Bigongiari e Macrí, compagni di stu- di nella Facoltà di Lettere, ai primi anni di guerra, quando emersero non po- chi contrasti e cominciò la diaspora morale e poetica del gruppo. Ma già prima, già subito dopo il 1938 – l’anno di Letteratura come vita di Carlo Bo che fu il loro manifesto, l’anno di «Campo di Marte» che fu la loro rivista – si manife- starono chiari segnali di sfaldamento, sebbene proprio allora gli ermetici fioren- tini venissero finalmente considerati per il loro valore e cominciassero a ottene- re i primi significativi riconoscimenti. Che in quel frangente la loro esperien- za come gruppo volgesse al termine lo si intravede dalle accorate considerazio- ni sugli sbocchi ambigui e irrazionali della poetica fin lì praticata che Macrí af- fidò alle due memorie Per l’ottavo anno (su «Termini» dell’aprile-maggio 1939) e Fogli per i compagni (su «Letteratura» del gennaio-febbraio 1941).
Ma fra i tanti, c’è un episodio che mi pare particolarmente rivelatore dello sfaldamento del gruppo e della crescente refrattarietà degli ermetici fiorentini
41 LA VICENDA DEL TERMINE «ERMETISMO» all’ermetismo. Nella primavera del 1940, quando anche per gli italiani la guerra era ormai incombente e agli intellettuali veniva richiesto un esplicito impegno personale, Giuseppe Bottai venne a Firenze per cercare di coinvolgere anche quei giovani poeti nel suo disegno di una nuova e organica politica culturale della na- zione. Tuttavia, come annota nel diario, li trovò indifferenti a ogni possibile col- laborazione: «In casa Vallecchi […] una folla di letterati e artisti: Papini, Rosai, Conti, Maraini, Carrà, Bargellini, De Robertis; e molti giovani. Sbatto, dappri- ma, nel circoletto degli “ermetici”: Fallacara, Luzi, Macrí, Landolfi, spalleggiati