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1. Il culto della personalità del leader

1.1 Definizione generale e tratti principali

1.1.4 Il culto in relazione al partito

Da una prima analisi del background storico e culturale del culto del leader risulta evidente come il fenomeno sia, nella maggioranza dei casi, legato al concetto di regime totalitario, definizione che viene generalmente applicata dagli storici ai governi di Stalin, di Hitler e di Mussolini. Il clima di controllo totale sulla popolazione tipico di questa forma di governo è strettamente connesso alla nascita di culti della personalità. Questa tipologia di gestione del potere crea l’ambiente ideale, che il leader sfrutta per sviluppare e istituire un culto della sua persona, come un massiccio controllo della popolazione e l’uso della violenza e della propaganda per diffondere l’ideologia.

Il termine “totalitarismo” genera però notevoli questioni nel campo delle scienze politiche, della storiografia e della filosofia, situazione che risulta evidente se si passano in rassegna le diverse interpretazioni e definizioni che sono state date a questo fenomeno nel corso del Novecento. Nonostante le diverse letture23 fornite, tra gli altri, da Giovanni Amendola24, Leonard Schapiro25, Herbert Marcuse26, Hannah Arendt27 e John Keegan28,

23 Le interpretazioni date al fenomeno dai teorici menzionati non verranno singolarmente approfondite in questo

lavoro in quanto non sono l’oggetto primario di questo studio, ma verranno brevemente delineate nelle note successive.

24 Giovanni Amendola, considerato il creatore di questo termine, utilizza per la prima volta il sostantivo

“totalitarismo” su un articolo del 1923 pubblicato su quotidiano Il Mondo e lo utilizza per riferirsi al caso fascista. In queste pagine Amendola definisce il sistema totalitario come una «promessa del dominio assoluto e dello spadroneggiamento completo ed incontrollato nel campo della vita politica ed amministrativa».

25 Leonard Schapiro nel corso dei suoi studi si è dedicato principalmente alla alla politica sovietica e russa. Nel

1973 pubblica l’opera Totalitarianism: Key Concepts in Political Science e scrive l’articolo “Totalitarianism in the Doghouse”, contenuto in Political Opposition in One-Party States, nel quale confronta il totalitarismo e la democrazia, sostenendo come queste due modalità di governo, che all’apparenza sono molto diverse, abbiano una certa affinità ideologica.

26 Herbert Marcuse studia il totalitarismo da un punto di vista filosofico. In testi come L'uomo a una dimensione.

L'ideologia della società industriale avanzata (1967) e La fine dell’utopia (1970), Marcuse applica l’aggettivo

totalitarista non solo al regime nazista e a quello sovietico, individuati anche dalla Arendt, ma anche al mondo capitalista, tipico delle democrazie occidentali. Queste infatti utilizzano la cultura di massa e l’industria sociale per omologare e uniformare i cittadini, instaurando un controllo totale sulla vita politica e culturale dell’individuo.

27 Le origini del totalitarismo, pubblicato da Hannah Arendt nel 1951, è considerato uno degli studi più completi

sull'argomento. All’interno dell’opera la Arendt delinea in modo approfondito le caratteristiche di un regime totalitario e analizza le similitudini e le differenze esistenti tra la Germania nazista e l'Unione Sovietica stalinista.

28 John Keegan, in La grande storia della guerra. Dalla Preistoria ai giorni nostri (1994), offre una lettura che si

discosta dalle precedenti. Alla base di questa interpretazione c’è l’idea del reggimento e Keegan sostiene che il totalitarismo non è altro che un processo che mira alla militarizzazione dell’intera società, nella quale i cittadini-

l’aspetto sul quale quasi tutti concordano è il riconoscimento del totalitarismo come un fenomeno strettamente legato all’imposizione di un’ideologia ufficiale, elaborata e diffusa dal partito unico guidato da un leader carismatico, attraverso un completo controllo dei canali artistici e di comunicazione. Il contesto del totalitarismo, come già sottolineato, risulta molto importante per il culto della personalità perché va a creare ciò che Lewis Mumford definisce la “megamacchina”29. Tale struttura invisibile, formata da elementi umani (i cittadini), nella quale

ciascuno ha il proprio ruolo e uno scopo ben preciso, permette la realizzazione di progetti grandiosi attraverso un’imponente organizzazione collettiva, guidata ed elaborata dal leader. Il culto della personalità si inserisce inevitabilmente in questo contesto perché si rivolge alle masse, alla totalità della società e questo può avvenire solamente in una comunità di tipo totalitario, nella quale l'assenza di qualsiasi forma di opposizione politica e ideologica ha reso possibile una celebrazione del leader senza limitazioni30.

In questa situazione di potere strettamente centralizzato, il culto della personalità è strettamente legato al partito unico e all’ideologia, che sta alla base dell’intero movimento. In generale nel culto della personalità, specialmente nei casi che verranno analizzati nel corso di questo studio, il leader si identifica totalmente con il partito, diventando l’uno l’espressione dell’altro. In questi casi il partito occupa l’intero spazio politico nazionale, diventando l’unica fonte autorevole in campo politico e ideologico e strumento utile per la diffusione del culto del capo. Talmente stretto è questo legame, che nell’immaginario comune si vengono a creare e assimilare delle associazioni di tipo ternario: leader - partito - ideologia. Il leader, essendo nella maggior parte dei casi portati come esempio il fondatore dell’ideologia sulla quale si basa poi lo stato totalitario, si fa portavoce e immagine del partito unico, che rappresenta un’entità impersonale e collettiva.

La Germania nazista rappresenta probabilmente il caso ideale: nel caso tedesco c’è una perfetta coincidenza tra la figura di Hitler e il concetto di nazismo, che si concretizza perfettamente nel partito. Come sottolineato da Ian Kershaw, la specificità del nazismo è data dallo stesso dittatore, per cui parlare del fenomeno dell’Hitlerismo equivale a discutere

soldati sono al servizio della nazione. Questo fenomeno sembra essersi sviluppato solamente nel contesto sovietico, con Lenin prima e poi consolidato con Stalin.

29 Il concetto di “megamacchina” (megamachine nell'originale inglese) viene definito e ampiamente analizzato nel

corso dell’opera Il mito della macchina di Lewis Mumford, la cui edizione italiana è stata pubblicata a Milano da il Saggiatore nel 1969.

dell’ideologia nazista31. Gli obiettivi del partito sono gli stessi che Hitler intende raggiungere e

non c’è in questo caso una disparità ideologica e valoriale tra il leader e lo schieramento: la lotta contro il nemico interno e la ricerca dello spazio vitale per la nazione tedesco (il cosiddetto Lebensraum) sono fasi della missione nazionale che Hitler ha già sviluppato ad inizio anni Venti32. In questo panorama lo sviluppo del culto del leader non diventa altro che una delle espressioni, attraverso le quali si esprima l’ideologia nazista.

La situazione ideale è quella nella quale c’è una quasi totale aderenza delle aspirazioni del leader agli obiettivi del partito, ma questo non è sempre possibile. Pur legando automaticamente le sorti del partito fascista a quelle del Duce, Stephen J. Lee sottolinea come Mussolini e il partito non condividano esattamente gli stessi obiettivi e segnala come l’obiettivo primario del Duce sia quello di creare un vuoto nel panorama politico italiano, spazio che intende colmare con la celebrazione del suo culto33. In questo frangente il caso fascista è esemplificativo: il culto del Duce, definito anche Mussolinismo34, si differenzia enormemente dal punto di vista valoriale dal fascismo in quanto non aspetto fondante dell’ideologia, ma fenomeno a sé stante. L’obiettivo primario del regime mussoliniano è l’esaltazione e celebrazione del mito del Duce, attraverso tutti i canali e tutti gli strumenti disponibili. Per raggiungere questo obiettivo Mussolini utilizza l’ascesa del fascismo, creando lo spazio sociale per edificare il suo culto e in questo aspetto si differenzia sensibilmente dal caso hitleriano e da quello staliniano. Analizzando dunque il suo caso, è evidente come si sia persa la sovrapposizione valoriale tra i due elementi, pur mantenendo nell’immaginario comune l’associazione diretta tra Mussolini e il fascismo.

La sovrapposizione tra leader e obiettivi del partito avviene anche nel caso in cui il leader non sia l’effettivo fondatore dell’ideologia, sulla quale si basa la dittatura: pur non essendone i fondatori Stalin, Tito e Gottwald vengano comunque ricondotti al partito e all’ideologia comunista. Questo è possibile perché questi leader rappresentano i massimi esponenti e delle versioni nazionali, diventandone il simbolo e l’incarnazione. Pur sapendo che l’instaurazione del comunismo in Unione Sovietica sia dovuta soprattutto alle azioni di Lenin, nell’immaginario collettivo è nella figura di Stalin che si esprime perfettamente la fase

31 KERSHAW I., “Hitler and the Uniqueness of Nazism” in Journal of Contemporary History, Vol. 39, No. 2,

Understanding Nazi Germany (Apr., 2004), pp. 239-254, Sage Publications, Ltd.

32 Ivi, pag. 250.

33 LEE S.J., European dictatorships, 1918-1945, Routledge, London, 1987.

34 MELOGRANI P., “The Cult of the Duce in Mussolini's Italy” in Journal of Contemporary History, Vol. 11,

comunista del Paese. In Jugoslavia l’identificazione tra la figura del dittatore e l'ideologia comunista trova l’apice in quanto avvenuto nel 1948: la ricerca di una via nazionale jugoslava al comunismo porta il Paese ad allontanarsi definitivamente dallo stalinismo e ad essere espulso dal Cominform35. Il desiderio di indipendenza e la decisiva presa di posizione della Jugoslavia nei confronti della potenza sovietica ha un ruolo decisivo nell’accrescere la popolarità di Tito e nel legare saldamente il destino del maresciallo a quello dell’ideologia. Allo stesso modo Gottwald non è il fondatore dell’ideologia, ma è colui che porta il partito comunista cecoslovacco alla ribalta sin dal 1929 e ne è il massimo esponente fino al 1953. Sotto la sua guida il partito comunista nel periodo interbellico assume prestigio e potere, diventando nel 1946 il partito con il maggior numero di iscritti tra i Paesi del blocco comunista, escluso il colosso sovietico36.

Il legame tra culto e ideologia è dunque una costante di tutti i casi: il leader si fa portavoce e/o personificazione del partito e dell’ideologia. Il pericolo che si rischia di correre è però che l’associazione leader - partito si sbilanci troppo a favore dello schieramento: come avviene nel caso cecoslovacco Gottwald finisce per essere fagocitato dal partito e di fatto scompare nell’ideologia. Le motivazioni, che hanno portato il leader a scomparire progressivamente tra le file dei tesserati del partito verranno poi esplicitate e analizzate nel corso dei capitoli successivi, ma sicuramente ha influito la mancanza di carisma di Gottwald e la sua difficoltà nel mantenere un ruolo rilevante sulla scena politica nazionale.