Fino ad ora si è seguita l’evoluzione dell’immaginario macabro sino all’analisi dei suoi significati politici attuali, ma a questo punto occorre capire, se la morte è diventata il simbolo primario del manifestarsi di una cultura nazionale messicana, in che grado sia possibile definire univocamente il concetto di cultura nazionale, in particolare nel suo rapporto con quella che invece è considerata cultura popolare.
La calavera, all’interno di tale immaginario, diventa l’elemento iconografico centrale intorno al quale ruotano le differenti definizioni di manifestazione culturale, e perciò l’espressione artistica, attraverso riferimenti ad un’iconografia ormai assimilata e interiorizzata, può instaurare un rapporto di dialogo più o meno diretto con tutto quel pubblico che decide di identificarsi all’interno di un’immaginario nazionale codificato.
Si è parlato di identità nazionale, ma che significato può avere nel Messico contemporaneo questo termine? Se si considera che il Messico è ancora un paese fortemente eterogeneo e socialmente problematico, è ancora possibile parlare di identità nazionale in un senso univoco, comprendente quindi l’elemento indigeno, rurale e urbano, e le differenze di classe, sempre più marcate?
Risulta importante sottolineare come nello studio di una cultura nazionale costruita volontariamente attraverso l’immaginario e le arti, non si debba prescindere né della sua parte popolare (convenzionalmente associata all’elemento indigeno e rurale) né di quella dominante (associata all’elemento urbano e di derivazione europea), poiché la loro definizione nasce da una relazione differenziale (Dei 2011; Cirese 1973). In uno scenario come quello contemporaneo di mondo globalizzato, a queste due istanze se ne deve aggiungere un’altra di valore universale, che è la cultura di massa, e che nelle specifiche situazioni assume aspetti distinti: in particolare la “riscoperta” moderna delle forme folkloriche e la loro valorizzazione comporta che esse siano assorbite dal mercato e quindi decontestualizzate, entrando a tutti gli effetti nei meccanismi della cultura industriale per le masse (Dei 2011).
È evidente come nella costruzione dell’identità nazionale abbiano assunto un ruolo fondamentale sia le dinamiche storiche e le strategie politiche di relazione con l’“esterno”, sia lo sviluppo di un sistema di produzione industrializzato, mentre il potere dei mass media è diventato determinante nella diffusione e nel rafforzamento di alcuni caratteri di tale identità (Monsisváis 1981: 33-52). Si assiste infatti ad un’appropriazione, da parte dell’industria culturale, di tutte quelle forme di cultura definite popolari, ed è la stessa industria ad individuarne la definizione codificandole all’interno dell’immaginario legato all’identità nazionale. D’altra parte, la cultura rurale viene inserita nella categoria del “tradizionale” come istanza passiva da proteggere: la pratica statale diventa essenzialmente quella di inserire all’interno del contesto museale, sia l’elemento indigeno che quello contadino. La cultura urbana, invece, in quanto più propensa al cambiamento e soggetta alle pressioni del mercato capitalista diventa materiale plasmabile dall’industria culturale del cinema e dei mass-media.
Già da questi elementi si evidenzia l’immagine di un’identità divisa, che lo Stato non è riuscito a rendere omogenea, contribuendo semmai alla sua stessa schizofrenia: da una parte la tradizione, nelle sue componenti rurali e indigene, restaurata ed esposta ad hoc per il mercato turistico, dall’altra l’immagine della “mexicanidad” autentica, costruita sulle dinamiche di un dialogo con l’esterno, ovvero l’immagine che il Messico ha di sé, attraverso lo sguardo europeo e statunitense.
“Qué cosa es ser mexicano? La industria transforma las repuestas en fórmulas, y hace del espectáculo una culminación patriótica. Lo nacional desiste de sus arreos más ostentosos y se mide por la limitación: mexicano es aquel que no puede ser sino mexicano” (Monsisváis 1981: 33-52)74.
La Santa Muerte
In un contesto politico così frammentato ed eterogeneo, come quello messicano, le immagini assunte a simbolo nazionale si interpongono come mediatrici tra il popolo e le autorità: ovvero assumono le veci delle istituzioni nel consolidare il senso di unione comunitaria e di riconoscimento nazionale, che lo Stato non riesce a garantire.
Di questo processo di scambio di valori tra autorità legittima e immagine legittimata diviene un caso esemplificativo il culto della Santa Muerte (cf. Figura L).
Tale culto ha visto crescere il proprio numero di fedeli soprattutto negli ultimi anni, è solo a partire dal XX secolo che infatti esso ha elaborato un linguaggio proprio e definito. Sebbene la Chiesa Cattolica Apostolica Romana ne abbia da sempre condannato la credenza, le pratiche rituali relative alla Santa si sono ampiamente diffuse e radicate nel tessuto sociale messicano, in particolare nell’area del Distretto Federale di Città del Messico all’interno del quale si trovano diversi altari e santuari, uno dei più importanti è quello di Tepito, un quartiere popolare e con il più alto tasso di criminalità dell’area urbana.
Nei primi anni Novanta, l’arcivescovo della scismatica Iglesia católica tradicional Mex USA, David Romo Gullén, formalizzò il culto della Santa Muerte, diventando una figura molto importante nella divulgazione di questa religione. L’intenzione dell’arcivescovo è quella di ottenere lo status di associazione religiosa e la possibilità di costruire delle vere e proprie chiese per il culto. Il governo messicano si è però sempre mostrato reticente ad incoraggiare questa nuova fede, soprattutto a causa dell’associazione della Santa Muerte con le organizzazioni criminali, per cui un riconoscimento ufficiale di tale culto comporterebbe lo stesso riconoscimento dei narcos e delle loro istituzioni.
Il culto della Santa Muerte è diventato ormai un fenomeno talmente esteso da suscitare l’interesse e la curiosità dell’opinione pubblica straniera (cf.Figura LI): nel 2004 la stampa statunitense cominciò a occuparsi del caso, prima a livello locale, poi addirittura in reti rinomate quali la CNN. Tale attenzione aumentò in seguito alla manifestazione organizzata il 4 aprile del 2005 dal sopracitato arcivescovo, per rivendicare pubblicamente il diritto dei fedeli della Santa ad ottenere un riconoscimento formale, una manifestazione che vide 30. 000 persone sfilare nelle strade di Città del Messico.
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“Che significa essere messicano? L’industria trasforma le risposte in formule, e fa dello spettacolo una manifestazione patriottica. Ciò che è nazionale si spoglia degli accessori più fastosi e si misura attraverso la
Le origini del culto non sono ancora certe: dalle fonti è possibile individuare almeno quattro casi storici, non tutti limitati al territorio messicano, che possono essere considerati come forme originali del culto alla morte, che consiste nella venerazione della sua immagine e nell’adempimento di alcune pratiche rituali necessarie a conquistarsi la benevolenza della Santa (elemento totalmente estraneo alla tradizione del Dia de Muertos). La venerazione dell’immagine della Morte avviene infatti principalmente a scopo di ottenere dei favori dalla Santa, che possono riguardare la protezione, la salute, il denaro o l’amore.
Il primo caso riguarda lo studio effettuato dall’archeologo Carlos Navarrete sul culto di San Pascualito Rey, in Gautemala: esso spiega come verso l’anno 1650 si iniziarono a venerare immagini di scheletri rappresentanti lo stesso Santo, che con un miracolo era riuscito a sconfiggere una terribile peste nella regione. Il secondo caso ci è pervenuto tramite gli archivi inquisitoriali, nei quali si legge di un editto reale del 1775 per l’eliminazione di un culto riscontrato tra alcuni sciamani indigeni, che nelle loro pratiche magiche utilizzavano tavole con immagini della morte incise. Un terzo caso è riferito da un documento del 1673, che registra un giudizio emesso dall’inquisizione contro un gruppo di indigeni insieme ad un frate francescano, che nel paese di Querataro adoravano uno scheletro di dimensioni naturali, incoronato e armato di arco e frecce, chiamato Justo Juez (Giusto Giudice) (Fragoso 2011: 5-16). Infine, tra le comunità ispaniche del Nuovo Messico troviamo l’esempio della Confradía de los Hermanos de la Santa Sangre, nella quale i fedeli dovevano subire un’innumerevole serie di penitenze basando il loro culto sull’immagine del Cristo flagellato, mentre tra le loro processioni figurava quella destinata al trasporto di Donna Sebastiana, armata di arco e frecce e con l’aspetto di uno scheletro (Severi 2004: 268-300).
A queste fonti verificabili attraverso la documentazione storica, si aggiungono leggende e mitologie sull’origine della Santa Muerte trasmesse oralmente, che riguardano casi di apparizione della Morte a sciamani, maghi e curanderos (guaritori).
Intorno al culto si sono sviluppate pratiche e rituali molto diversi, che possono essere messi in relazione con elementi derivanti dalla santeria cubana e il vudù haitiano75 (anche se in Messico la limitata importazione di schiavi dall’Africa non ha permesso un’ampia diffusione di tali pratiche
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Cf. supra, p.13, nota 17.
religiose), e perciò gli studi sul fenomeno concordano che esso sia una forma di sincretismo derivato dall’integrazione di credenze di origine differente (Gaytán Alcalá, 2008: 42-43): si riscontrano delle similarità nei feticci, negli altari, e nella formulazione di alcune orazioni, con elementi della religione afro-cubana yoruba; così come altri elementi provengono dalla tradizione mariana cattolica, in particolare la Virgen del Carmen (soprattutto nella rappresentazione iconografica dove lo scheletro spesso viene abbigliata come una Madonna, (cf.Errore. L'origine
riferimento non è stata trovata.).
Questa eterogeneità nelle radici del culto si traduce in un repertorio iconografico molto vario: la rappresentazione principale della Santa è quella di uno scheletro coperto da un lungo mantello col cappuccio, e il colore dell’abbigliamento determina il motivo per cui si fa ricorso alla sua preghiera (per esempio rosso per amore, verde per il lavoro, gialla per i soldi). In una mano impugna una falce, mentre nell’altra può sostenere un globo terrestre, una bilancia, una marionetta (nelle versioni più esoteriche) oppure una clessidra.
Si può inoltre fare un’ulteriore distinzione nelle diverse rappresentazioni: da una parte l’immagine femminile della morte, principalmente vestita di bianco, più spesso con una bilancia in mano, viene invocata come protezione dal male ed è quindi una figura benevola e compassionevole; dall’altra l’immagine maschile, vestita di nero, sostiene invece la falce sulle spalle, ed è invocata per augurare il male a qualcuno. Tra questi due poli, si inseriscono le differenze cromatiche a cui si è accennato in precedenza.
Si può vedere come parzialmente l’immagine della Santa Muerte sia familiare all’iconografia cattolica della morte: la clessidra, il globo terrestre, la falce, rappresentano il carattere di destino
Figura LIII: l'abito verginale nuziale è lo stesso dei culti mariani Figura LII: la rappresentazione iconografica riprende quella classica della Virgen del Carmen
inevitabile e comune a tutti. Ma alcuni elementi derivanti dalle rappresentazioni della Vergine Maria (in particolare la Virgen del Carmen, vedi supra), come gli scapolari e l’abito nuziale bianco (per questo viene anche chiamata niňa blanca, bambina bianca), aggiungono nuovi significati all’immagine, che diventa portatrice di purezza e redenzione (Lomnitz 2006: 463).
L’iconografia della Santa Muerte si pone in continuità con l’immaginario macabro e le calaveras del Dia de Muertos che si sono evoluti in Messico negli ultimi secoli, ma nei suoi significati se ne discosta profondamente.
Secondo l’immagine diffusa dai mass media, si tratterebbe di un culto di matrice violenta e principalmente relazionato con le classi popolari più disagiate e disperate. In realtà la Santa Muerte conta un gran numero di fedeli di differenti classi sociali e origine etnica, e attualmente sta diventando un fenomeno sempre più esteso in tutto il paese.
Considerando la relazione esistente tra l’immagine della Santa Muerte e l’iconografia macabra del Dia de Muertos analizzata precedentemente, bisogna fare delle importanti distinzioni: innanzitutto, la Santa Muerte non è la Morte, ma una sua reificazione, come avviene con le calaveras del giorno dei defunti: in questo caso l’aspetto ironico è però messo in secondo piano, mentre sono enfatizzati i suoi poteri di azione sul mondo dei viventi, poteri che cambiano in base all’abbigliamento indossato dallo scheletro che la rappresenta o dagli oggetti che esso tiene tra le mani.
La Santa Muerte mantiene invece alcuni significati attribuiti all’iconografia della morte già dalle caricature di fine Ottocento: il potere sociale di rendere le individualità indifferenziate di fronte al suo giudizio, e quello di porre fine alle miserie della vita (in quest’ultimo caso, più che di indifferenza alla morte si può parlare di paura nei confronti delle sofferenze e dell’oppressione: Castells Ballarin 2008: 15). Bisogna quindi considerare come la calavera deridente, che da Posada fa la sua apparizione anche nel Dia de Muertos attuale, si trasformi in un’entità compassionevole attraverso il culto della Santa Muerte.
Un altro aspetto fondamentale della Santa è la sua mancanza di giudizio morale: renderle culto può significare trasformarsi in un una persona più retta, ma è anche possibile onorarla attraverso attività criminali e omicidi. Il suo culto non esclude altri, anche se “ la Santa es muy celosa76”, e il suo potere è solo inferiore a quello di Dio o di Satana.
Infine, la complessità e molteplicità dei rituali che attraverso il culto vengono praticati è promossa e accompagnata da interessi commerciali: in prossimità dei santuari si possono trovare numerose bancarelle per la vendita di articoli dedicati al rito e all’allestimento degli altari domestici, dalle candele di diversi colori in base alle petizioni dei fedeli, ai sigari usati per purificare l’ambiente o da offrire alla Santa, dai dolci, alla bigiotteria e alle immagini sacre (Reyes Ruiz 2011: 51-57).
La preghiera di inizio del rosario dedicato alla Santa Muerte rende evidente come il culto si sia sviluppato come forma sincretica tra elementi derivanti dal cattolicesimo e altri di origine esoterica popolare:
“En el nombre del Padre, del Hijo y del Espíritu Santo, amén. Dios todopoderoso, Padre, Hijo y Espíritu Santo, te pido permiso para invocar a la Santísima Muerte , mi Niña Blanca. Quiero pedirte de todo corazón que rompas y destruyas todo hechizo, encantamiento y oscuridad que se presente en mi persona , casa trabajo y camino. Santísima Muerte, quita todas las envidias, pobreza, desamor y desempleo, y te pido de todo corazón y de caridad me concedas con tu
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bendita presencia, alumbres mi casa y trabajo y le des a mis seres queridos amor. Bendita y alabada sea tu caridad, Santísima Muerte” (Reyes Ruiz 2011: 56)77.
Ma l’importanza del culto della Santa Muerte, o Niña Blanca, non è da limitarsi alla fede nei suoi poteri immortali78: le sue ragioni e significati sono principalmente di tipo sociale.
Innanzitutto, da una prima analisi iconografica dell’immagine si può capire come nonostante lo scheletro sia la rappresentazione della decadenza materiale del corpo, la sua stessa corporeità, accentuata dall’abbigliamento e dagli oggetti che esso porta con sé, come la falce, il globo terrestre, o la bilancia (tutti elementi che derivano dall’iconografia macabra europea del medioevo), si presenta come principio organizzatore contro il caos e la decomposizione (Castells Ballarin 2008: 16). In breve, essa rappresenta una difesa contro l’incertezza della morte, ma soprattutto contro l’incertezza della vita, poiché la questione sorge dalla mancanza di un potere statale autoritario forte, garante dei diritti civili, soprattutto in un paese dove, dalla Guerra d’Indipendenza, ogni conflitto è stato combattuto nel nome degli stessi.
La Santa Muerte serve perciò a correggere una condizione di insicurezza sociale e politica che da sempre caratterizza il paese: le richieste che dovrebbero essere fatte allo Stato, come il lavoro, la casa, l’educazione, la sanità, ecc, vengono trasferite nel culto e ritualizzate attraverso le preghiere alla Santa.
Ma non solo, la Niña Blanca si pone come marchio di controllo sociale, attraverso la protezione che promette ai fedeli: infatti avere la morte alleata presuppone per i propri nemici il rischio di doverla affrontare, bisogna infatti considerare anche il carattere violento del culto, che effettivamente legittima e tutela le attività criminali poiché in quest’ambito il confine vita/morte è molto sottile e instabile.
Da questo punto di vista è importante comprendere il ruolo inclusivo, all’interno di un contesto esclusivo, che tale culto assume (Gaytán Alcalá, 2008: 48-50): se il sistema sociale messicano è evidentemente e fortemente esclusivo nei confronti di chi non può, per ragioni etniche o economiche, raggiungere lo status sociale delle classi sociali più privilegiate, la Santa Muerte, nel suo valore simbolico e religioso, attua come una struttura inclusiva tra fedeli, delinquenti, poliziotti e politici, creando una rete di fratellanza intorno alla Santa, molto più potente di qualsiasi gerarchia sociale o burocratica. L’illegalità si trova così protetta nell’agire all’interno di un sistema legale.
Ciò che risulta particolarmente interessante è comunque come l’immagine della Morte, sebbene con delle varianti, sia assunta a protettrice di trafficanti, assassini e delinquenti, ma contemporaneamente sia anche usata come difesa dalle pressioni della globalizzazione economica e culturale, di fronte alla quale il Messico si trova in una posizione di svantaggio.
I programmi politici attuati non sono riusciti ad ottenere la costruzione di uno Stato realmente garante dei diritti civili, mentre si sono preoccupati dell’instaurazione di un sistema economico e politico capace di adattarsi alla concorrenza globale: la scissione tra la portata teorica di un’ideale politico conquistato attraverso la rivoluzione, e promosso all’estero come carattere identificativo di una nazione, e la messa in pratica di un sistema neoliberale di impronta capitalista, si rende così più evidente, e il culto nasce proprio dove si è creato un vuoto centrale(Castells Ballarin 2008: 17- 25).
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“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, amén. Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, ti chiedo il permesso di invocare la Santissima Morte, la mia Bambina Bianca. Voglio chiederti di tutto cuore, che tu spezzi e distrugga ogni sortilegio, incantesimo e oscurità che si presenti nel mio cammino. Santissima Morte, elimina ogni invidia, povertà, disamore e disoccupazione, e ti chiedo con tutto il cuore e con carità che tu mi conceda con la tua benedetta presenza, illumini la mia casa e il mio lavoro e gli dia ai miei cari amore. Benedetta e lodata sia la tua carità, Santissima Morte”.
L’immagine della Morte quindi, attraverso il repertorio iconografico del teschio e dello scheletro diventa emblema unificatore di una nazione disgregata, e si manifesta attraverso il culto della Santa Muerte nella sua capacità di riorganizzare i pezzi di uno Stato frammentato e di sostituirsi ad un sistema inefficiente.
Nonostante questo, il culto religioso non può sostituirsi alla politica, ed è evidente come il sistema di valori promosso dalla Santa sia alla base di un circolo vizioso, motore di disuguaglianze e oppressioni sociali: in effetti esso legittima la violenza, il controllo sociale attraverso la paura, la gerarchia all’origine delle differenze, e le ambizioni individuali, limitate solo dalla volontà della Muerte.
Se la calavera in origine aveva assunto un importante valore di critica sociale (cf. supra, Il ruolo della stampa e Le rappresentazioni nel Messico contemporaneo) , nell’evoluzione a forma di culto la sua carica sovversiva non può indirizzarsi a favore di quei diritti civili che lo stato non garantisce: l’immaginario resta comunque fondamentalmente utile come forza propulsiva per progetti creativi, in quanto custode di un’identità collettivamente interiorizzata e assimilata, ma la soluzione è da cercare altrove. Per questo motivo è importante analizzare il ruolo che l’arte può assumere in tale contesto.
Le calaveras nella tradizione
Si osserva una prima grande contraddizione nello sviluppo e successiva promozione dell’iconografia della calavera come simbolo di un immaginario nazionale: la linea di continuità che dovrebbe mantenere con le antiche tradizioni precolombiane e che viene fortemente rimarcata nel settore della promozione turistica non può essere dimostrata con assoluta certezza, ma solo teorizzata a livello ipotetico. Emerge con molta più chiarezza, invece, la connessione con una tradizione culturale popolare e urbana, dove per cultura popolare si intende quella destinata al consumo di massa e perfettamente inserita nel sistema di produzione capitalista.
Da un punto di vista iconografico, le calaveras hanno origine dunque nell’espressione artistica popolare e nell’artigianato rivolti alla celebrazione del Dia de muertos, ma sebbene la produzione artistica a tematica macabra venga normalmente considerata come un fenomeno unitario e omogeneo, naturale espressione di un’identità nazionale matura, in realtà bisogna individuare al suo interno due tradizioni creative differenti: una prima strettamente relazionata alle regioni rurali