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Cura dei legami come risanamento di un’unità perduta

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In questo intervento vorrei prendere l’avvio da alcune mie personali riflessioni che ho esposto l’anno precedente, nelle quali ho voluto porre l’accento sulla radicale e intrinseca duplicità che lo straniero inevitabilmente porta con sé, non solamente per la diversità estetica, ma anche e forse soprattutto, per l’innegabile diversità culturale o semplicemente per differenti punti di vista sul reale che ogni individuo in quanto tale porta con sé. Basti pensare alla diversità di vedute che un figlio sottolinea al proprio padre, o più semplicemente di questa diversità ne facciamo esperienza ogni giorno quando ci ritroviamo a dover scambiare quattro chiacchiere con chi riteniamo senza ombra di dubbio “uguale” a noi, penso ai nostri amici o ai nostri famigliari con i quali condividiamo molta parte del nostro tempo. Nonostante l’uguaglianza che a un’analisi più approfondita scorgeremo essere una forma di somiglianza, l’altro è altresì il portatore di elementi di estraneità che pur tuttavia non impediscono la cura di quei legami che riteniamo fondamentali per la nostra esistenza, basti pensare ai legami famigliari o amicali. L’alterità non pare quindi essere il tratto esclusivo di colui che proviene da un paese diverso dal mio, bensì il tratto distintivo dell’individualità che si caratterizza in quanto tale.

Nel racconto antropogenetico del simposio platonico

, l’uomo ori-

. Svariati sono gli aspetti problematici che potrebbero qui essere toccati, ma in queste mie riflessioni ho voluto cogliere alcune suggestioni platoniche al fine di mettere in luce il particolare legame, non necessariamente di tipo amoroso, che viene a instaurarsi tra due o più soggetti. Ritengo che a tal proposito non potremmo lasciar da parte le riflessioni platoniche le quali hanno cercato di fornire argomentazioni utili a render ragione del legame presente in una relazione. Cosciente dei punti di forza e di debolezza della sua argomentazione, prenderò il suo racconto antropogenetico come punto di partenza e non di arrivo per le mie personali considerazioni che non hanno la pretesa di essere esaustive sulla problematica, bensì di fornire suggestioni a riguardo.

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ginario viene presentato come un tutto armonico e bastante a se stesso, e proprio questa sua caratteristica peculiare di autosufficienza lo aveva condotto a un atteggiamento di sfida e superbia nei confronti degli dei i quali hanno deciso di dividere il tutto umano in due parti solo apparentemente indipendenti. La divisione operata dal divino, riguarda solo in apparenza la dimensione fisica dell’uomo, poiché la separazione ha condotto alla creazione di un nuovo essere vivente in perenne tensione verso ciò che è simile a lui nella ricerca di ciò che è uguale a lui, di ciò che unito a lui lo riporti all’unità originaria, non solo di corpo ma anche di sentire. Ma non solo. La separazione dell’unità indifferenziata ha creato differenze tra i nuovi esseri viventi, differenze che non hanno condotto le due alterità alla fuga di fronte al diverso bensì alla continua tensione nella diversità di ciò che col- ma la mancanza del proprio io, di una somiglianza ritrovabile solo nella differenza. L’altra metà nonostante vada ricercata nella schiera dei propri simili, in ultima analisi si mostrerà essere il diverso da se medesimo: quasi come in un puzzle in cui tessere diverse si possono perfettamente incastrare una nell’altra, mentre tessere uguali non trovano un’apertura per poter formare un pezzetto di quadro ben definito. Stiamo parlando di una disuguaglianza non riducibile a un piano meramente sostanziale, bensì formale, stiamo parlando di una disuguaglianza necessaria affinché il nuovo io nato dalla separazione diventi un noi, in cui le singole parti rimangano singoli io con una propria autonomia ma strettamente legati e dipendenti all’interno di una relazione, all’interno di un noi. L’uguaglianza dei nuovi esseri non avrebbe avuto quella forza pulsionale necessaria affinché la mancanza venga colmata, solo la loro reciproca e necessaria alterità ricongiunge i due esseri all’interno di una nuova unità che accoglie le differenze in quanto tali e le accorda in un tutto armonico.

Dunque, da così tanto tempo è connaturato negli uomini il reciproco amore degli uni per gli altri che ci riporta all’antica natura e cerca di fare di due uno e di risanare l’umana natura. Ciascuno di noi, pertanto, è come una contromarca di uomo, diviso com’è da uno in due, come le sogliole.

In questo passo, Aristofane mette in luce come la tensione di una

. P, Simposio, in Platone tutti gli scritti, a cura di G. R, Bompiani, Milano , p. .

Cura dei legami come risanamento di un’unità perduta 

continua ricerca dell’altro sia spinta da un sentimento nato dalla divi- sione dell’uomo originario, questo sentimento che nel testo platonico viene definito come amore, permette non solo la ricerca della tesse- ra mancante ma soprattutto funge da legante affinché le due parti rimangano in unità, è il collante del nuovo legame che è venutosi a creare nella singolarità dell’individualità. Ma non solo. L’amore, ol- tre a essere la pietra fondante e costitutiva del mantenimento del legame tra gli individui, diviene essere, inoltre la “coscienza della costitutiva diffettività”

dell’individuo in quanto tale. La ricerca del- l’altro ha inizio, nella presa di consapevolezza del soggetto di essere un’individualità e in quanto tale di essere altro, uscendo quindi dalla propria soggettività e paradossalmente acquistando la consapevolezza di essere semplicemente singolo.

Il nuovo modo d’essere dell’uomo, grazie al suo stato deficitario, sperimenta il desiderio e la necessità di alimentare il legame che lo unisce a ciò che è diverso da lui e che in quanto tale costituente la sua parte mancante; nonostante il diviso sia in sé autosufficiente, sono presenti in lui i germi di quel legame che lo spingeranno al di fuori del suo e privato io verso un altro io privato e autosufficiente.

La condizione umana attuale, quale effetto di una punizione suscitata da una colpa antica, è una condizione meramente simbolica. Pur non essendone sempre consapevoli, noi viviamo secondo le modalità della mutilazione della mancanza: da uno siamo diventati due, da tutto siamo diventati parti, dall’essere una sola e medesima cosa siamo diventati altri, estranei uno all’altro, ma proprio per questo attirati uno dall’altro, perennemente alla ricerca nostalgica del nostro altro io.

L’autosufficienza pare essere rappresentata dall’unità del diverso che non essendo nella condizione del bisogno e dell’indigenza gli ap- pare estranea la categoria della necessità. Con la divisione all’umano si apre una nuova condizione di esistenza rappresentata dalla categoria della mancanza che disvela un nuovo orizzonte di significato a ciò che in precedenza era rappresentato dal concetto di autosufficienza. In questo nuovo modo d’essere l’autosufficienza pare essere estranea al soggetto desiderante, ma in realtà, quest’ultimo diviene il paradigma

. U. C, Straniero, Raffaello Cortina Editore, Milano , p. . . Ivi, p. .

 Silvia Maron

per eccellenza dell’autosufficienza, il paradigma di quell’essere che autonomamente e indipendentemente da altro tende all’autocomple- tamento di sé nella relazione con ciò che sta al di fuori di se medesimo, con ciò che si presenta con i tratti della somiglianza ma che in ultima istanza risulta essere il diverso. In questa continua e incessante ricerca si manifesta e si struttura il modo d’essere dell’uomo.

L’unità perduta non pare essere riconquistata esclusivamente nel “possesso” della parte mancante, ma l’originarietà del nuovo esse- re umano, dell’attuale condizione di esseri umani, pare riferirsi alla tensione della ricerca dell’altro, a quella pulsione che caratterizza l’in- dividuo in quanto tale. « E la ragione di ciò sta nel fatto che questa era la nostra antica natura, che noi eravamo tutti interi. Perciò al desiderio e all’aspirazione dell’intero si riferisce il nome di Eros »

.

L’amore, quindi, « esprime la struttura essenziale dell’essere uma- no, ovvero si offre come “una caratteristica strutturale permanente della nostra anima” e mostra la nostra apertura al mondo e agli altri »

. Un’apertura che si fa ricerca incessante e incessante desiderio che alimenta la ricerca medesima connotando il nuovo essere umano co- me ente che desidera e che nel desiderio ritrova la propria costitutiva natura o meglio si struttura il nuovo essere umano altro rispetto a ciò che era in origine.

Lo stato d’essere dell’uomo pare essere caratterizzato da questa mera pulsione che il vecchio uomo, che l’uomo primitivo non aveva perché bastava a se stesso, il desiderio e il sentimento di pulsione e di conservazione di uno stato di benessere acquisito con il raggiungimen- to della metà mancante. Mi piace marcare un aspetto che personal- mente ritengo importante in questo dibattito, ovvero l’identificazione dell’alterità con ciò che si rende necessario affinché l’io singolo possa dirsi tale. Il riconoscimento dell’altro come ciò che è diverso da me avviene nel momento in cui l’io diviene oggetto conosciuto e rico- noscibile dal soggetto, io che si differenzia da altri io ma dei quali ne avverte la necessità intrinseca in quanto costituenti della sua propria identità. In ultima istanza l’alterità pare essere elemento costitutivo e

. P, Simposio, p. .

. D. P, La famiglia: esperienza di promozione umana e sociale, in L. S (ed.,), La struttura dei legami. Forme e luoghi della relazione, « Anthropologica. Annuario di studi filosofici », , Editrice La Scuola, Brescia, , p. .

Cura dei legami come risanamento di un’unità perduta 

costituente dell’io soggettivo.

Essendo due le individualità chiamate a incontrarsi accioché il desiderio di ricerca dell’uomo venga a placarsi, un elemento diviene indispensabile affinché l’incontro non diventi un mero possesso e che l’unione non diventi una prigione piuttosto che una forma di libertà. Mi spiego meglio. Essendo due i soggetti dell’incontro ben distinti e definiti, due sono anche le volontà e i vissuti che vengono a intrecciarsi, per cui, componente essenziale dell’incontro diviene il concetto di dono. Ogni individualità deve essere dono esclusivo e gratuito per l’altro in quanto, come sottolinea Pagliacci,

L’amare è continuamente alimentato dalla donazione reciproca e disinteres- sata: nel mio esserci totalmente e gratuitamente per l’altro e nel suo donarsi [. . . ] si compie una perfetta armonia che sconfigge ogni spinta individuali- stica, che vorrebbe ridurre l’altro ad una preda da esibire per permettermi tutta la mia potenza d’essere.

L’unità, in tal modo, viene ricostituita, ma non ci troviamo più al- l’interno di un orizzonte dettato da un’unità che si fonde integralmen- te con l’altra metà, ma ci troviamo all’interno di un’unità costituita e mantenuta a partire dal legame pulsionale che denota l’uomo in quanto essere amante e in quanto tale, come essere donante se stes- so pur permanendo nella propria intrinseca individualità. Il legame relazionale di unità non si fonda sull’oscuramento del proprio io in funzione dell’altro, ma si costituisce sulle singole individualità che in quanto singolarità ricercano l’altro non per annullare la propria soggettività ma, contrariamente, per potenziare e strutturare la pro- pria individualità. Solo in quanto individualità l’uomo ricerca e tende a un’altra individualità e unito ad essa ritrova la propria unitarietà radicalmente differente dall’unità primitiva nella quale le singolarità che la componevano erano indivise. In tale prospettiva, quindi, l’altro può essere colto come dono affinché gratuitamente e spontaneamente l’altro si doni e contemporaneamente accolga l’altra singolarità.

Emblematica a tal proposito è la seguente affermazione di Zanardo « Il dono è una relazione che sostiene e rafforza il legame fra le in- tenzionalità coinvolte »

, l’uomo quindi non più come essere vivente

. Ivi, p. .

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in perenne tensione che trova quiete solo nel raggiungimento del proprio oggetto desiderato, ma essere vivente inteso come essere in- tenzionale. In altre parole, l’altra metà della quale l’uomo è in perenne ricerca diviene dono per sé e per l’altro, dono che in quanto tale ri- chiede solo di essere accolto in modo gratuito e totale alimentando la ricerca continua poiché la sua infinita ricchezza non si dis–vela in modo immediato ma richiede la mediazione del sentimento che lega le due metà. Attraverso il processo del reciproco riconoscimento che non conosce nel suo statuto la parola “fine”, permette il congiungimento completo e pieno delle due metà.

L’unione delle due tessere originariamente perdute, si pone in essere in questo punto: nel perpetuo donarsi e nel costante processo di riconoscimento che continuamente disvela una parte mancante di sé portando alla luce il totalmente altro.