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Cura del diabete negli istituti di correzione 131

Nel documento 2009-2010 (pagine 133-137)

r a c c o m a n d a z i o n i

Al momento dell’entrata nell’istituto di correzione i pazienti diabetici dovrebbero, in modo tempestivo, avere una valutazione anamnestica completa ed essere sottoposti a una visita completa da parte del personale sanitario. (Livello della prova VI, Forza

della raccomandazione B)

Devono essere identificati i pazienti con diabete tipo 1 per l’alto rischio di chetoacidosi diabetica.

I pazienti in terapia con insulina dovrebbero, comun-que, avere una determinazione della glicemia capil-lare entro 1-2 ore dall’arrivo. (Livello della prova VI,

Forza della raccomandazione B)

La terapia farmacologia deve essere continuata senza interruzione. (Livello della prova VI, Forza

della raccomandazione B)

Il medico penitenziario dovrebbe stabilire in ogni paziente il fabbisogno calorico e la composizione della dieta. A tale scopo è necessario fornire mate-riale informativo sulle raccomandazioni nutrizionali nel diabete e nelle patologie metaboliche. (Livello

della prova VI, Forza della raccomandazione B)

I menù forniti devono essere bilanciati, basati sulle raccomandazioni per una sana alimentazione ita-liana. È opportuno, pertanto, fornire protocolli proce-durali specifici (preferibilmente elaborati da esperti in Terapia Medica Nutrizionale), riguardanti numero, tipologia e orari dei pasti. (Livello della prova VI,

Forza della raccomandazione B)

Il controllo glicemico capillare deve essere impostato secondo protocolli formali ben definiti in relazione al tipo di diabete, alla terapia e alla dieta. (Livello della

prova VI, Forza della raccomandazione B)

Se il paziente si trova recluso in un istituto peniten-ziario non provvisto di servizio infermieristico con-tinuativo, dovrebbe essere trasferito in un istituto penitenziario di secondo livello, al fine di poter fron-teggiare adeguatamente le necessità cliniche legate al diabete e l’eventuale somministrazione di insulina. (Livello della prova VI, Forza della raccomanda‑

zione B)

Particolare attenzione deve essere prestata nei con-fronti dei detenuti in terapia con ipoglicemizzanti orali e/o insulina che manifestino propositi autole-sionistici o con turbe psichiatriche. (Livello della

prova VI, Forza della raccomandazione B)

È necessario fornire al paziente una fonte di zuccheri a rapido assorbimento da assumere ai primi sintomi di crisi ipoglicemica. (Livello della prova VI, Forza

della raccomandazione B)

Deve essere incoraggiata un’attività fisica regolare e continuativa (almeno 30 minuti) per 3-4 giorni la set-timana; dove non esistano strutture adeguate, può essere concordato con il paziente stesso un piano di attività giornaliera da svolgersi durante l’ora d’aria. (Livello della prova VI, Forza della raccomanda‑

zione B)

Devono essere elaborati e diffusi protocolli procedu-rali per assicurare a tutto lo staff di cura conoscenze adeguate al trattamento delle emergenze

metaboli-che (ipo- e iperglicemia); inoltre, deve essere fornita adeguata educazione al paziente diabetico. (Livello

della prova VI, Forza della raccomandazione B)

Devono essere individuate strutture di riferimento all’interno (o eventualmente all’esterno) dei prin-cipali centri clinici penitenziari, per la diagnosi e la periodica stadiazione delle complicanze croniche, oltre che per la gestione degli episodi di scompenso metabolico acuto. (Livello della prova VI, Forza

della raccomandazione B)

In caso di trasferimento di un diabetico fra istituti di correzione, deve essere compilata una sintetica rela-zione medica, che accompagni il paziente durante il tragitto. (Livello della prova VI, Forza della racco‑

mandazione B)

I presìdi e i farmaci necessari alla cura del diabete devono accompagnare il paziente durante il trasfe-rimento. (Livello della prova VI, Forza della racco‑

mandazione B)

Il piano di dimissione deve essere impostato con un adeguato anticipo, per consentire la continuità della cura e, in caso di scarcerazione, facilitare la presa in carico da parte delle strutture sanitarie esterne. (Livello della prova VI, Forza della raccomanda‑

zione B)

COMMENTO

L’Associazione Medici Amministrazione Penitenziaria Italiana (AMAPI) e la Società Italiana di Medicina Penitenziaria (SIMPe) hanno prodotto nel 2005 un documento su La gestione del dia‑

bete in carcere (1).

Dimensioni del problema

Secondo dati recenti derivanti da un’indagine promossa dai medici dell’amministrazione penitenziaria, il 4,5% dei detenuti in Italia risulta affetto da diabete mellito, su una popolazione car-ceraria di circa 60.000 unità (per oltre il 95% di sesso maschile) al 31 dicembre 2005; di questi, il 30% è in terapia con insulina. La percentuale è analoga a quella degli USA, dove su oltre 2 milioni di detenuti si stima che circa 80.000 siano diabetici (2-3). Considerazioni sull’assistenza

L’ingresso in carcere e la permanenza in un ambiente “ostile” − con la conseguente perdita della libertà personale e le riper-cussioni sullo stato emotivo e sull’autostima − rappresentano condizioni di stress prolungato potenzialmente capaci di inter-ferire sull’equilibrio metabolico del soggetto affetto o a rischio di diabete. Inoltre, in pazienti in condizioni di restrizione della libertà, l’impossibilità di svolgere un programma seppure minimo di attività fisica (specie laddove non esistono strutture idonee) e un’alimentazione spesso squilibrata, costituiscono ostacoli al raggiungimento di un buon controllo glicemico. Per quanto riguarda l’alimentazione, è utile sottolineare che le tabelle vit-tuarie ministeriali non consentono una personalizzazione della dieta − così come auspicabile per la cura del diabete − prevedendo

per ogni detenuto diabetico un introito di 1800 kcal giorna-liere, spesso a elevato contenuto di grassi e proteine e modesto apporto di fibre. Le stesse tabelle dispongono per un adulto sano un introito calorico di circa 3500 kcal. Queste condizioni, uni-tamente a quelle derivanti dalla gestione della terapia ipoglice-mizzante, dalla difficoltà ad affrontare situazioni di emergenze metaboliche e dall’impossibilità di eseguire periodicamente il controllo delle complicanze, devono essere attentamente con-siderate fin dall’entrata nell’istituto di correzione, affinché gli standard di cura nazionali per il diabete siano raggiunti anche in queste strutture. Allo scopo di stabilire in ogni paziente il fabbisogno calorico e la composizione della dieta, il medico penitenziario dovrebbe disporre di materiale informativo sulle raccomandazioni nutrizionali nel diabete e nelle patologie meta-boliche. I menù forniti devono essere bilanciati, basati sulle raccomandazioni per una sana alimentazione italiana: a questo scopo é opportuno fornire protocolli procedurali specifici (prefe-ribilmente elaborati da esperti in Terapia Medica Nutrizionale), riguardanti numero, tipologia e orari dei pasti.

La valutazione al momento dell’entrata in carcere dovrebbe garantire al massimo la sicurezza del paziente. In particolare, l’identificazione immediata di tutti i pazienti insulino-trattati è essenziale per identificare quelli a maggior rischio di complica-zioni metaboliche acute (ipo- e iperglicemia, chetoacidosi). La terapia farmacologica deve essere continuata senza interruzione, e le caratteristiche della dieta (contenuto calorico e composizione) dovrebbero essere stabilite in modo individualizzato. Quando sia ritenuto necessario, il controllo glicemico capillare deve essere impostato secondo protocolli ben definiti in relazione al tipo di diabete, alla terapia e alla dieta.

L’approccio terapeutico deve essere personalizzato: nei diabe-tici tipo 1 la terapia insulinica deve essere ottimizzata, orientati-vamente con 4 somministrazioni giornaliere; in casi particolari, si può prevedere la semplificazione dello schema insulinico, con 3 somministrazioni giornaliere. Nei diabetici tipo 2 gli ipogli-cemizzanti orali devono essere somministrati correttamente in relazione ai pasti, evitando quelli a più lunga emivita; partico-lare attenzione deve essere prestata nei confronti dei detenuti in terapia con ipoglicemizzanti orali che manifestino propositi autolesionistici o con turbe psichiatriche.

Particolare attenzione deve essere dedicata agli aspetti educa-tivi e formaeduca-tivi, sia del paziente sia del personale intramurario. A questo scopo, è importante che si stabilisca fin dai primi giorni un rapporto di collaborazione tra il personale sanitario (medico e non medico) e il paziente diabetico. Ove possibile, va program-mata un’attività educativa strutturata, con corsi di istruzione ed educazione rivolti al paziente diabetico. Sono indicati periodici corsi di aggiornamento in diabetologia per il personale medico e di assistenza intramurario.

Una precisa definizione delle procedure per il trattamento delle emergenze metaboliche deve prevedere l’elaborazione di protocolli facilmente accessibili a tutto lo staff di cura, e al per-sonale comunque in contatto con il paziente diabetico. Bibliografia

Guarente L, Cerando F. La Gestione del diabete in carcere. Asso-1.

ciazione Medici Amministrazione Penitenziaria Italiana (AMAPI), Società Italiana di Medicina Penitenziaria (SIMPe), 2005. American Diabetes Association. Diabetes management in cor-2.

Cerando F. Principi fondamentali di Medicina Penitenziaria. 3.

Servizio Editoriale Università degli Studi di Pisa, 1989. e. diabete e cure palliatiVe

r a c c o m a n d a z i o n i

L’approccio al paziente diabetico in fase terminale deve essere differenziato in funzione delle prospet-tive di sopravvivenza:

Prognosi di poche settimane o mesi:

I valori glicemici vanno mantenuti in un range com-preso fra 180 e 360 mg/dl, al fine di ridurre al minimo il rischio di ipoglicemia; l’approccio va personalizzato nel caso di iperglicemia sintomatica. (Livello della

prova VI, Forza della raccomandazione B)

Possono essere evitate indicazioni dietetiche restrit-tive (Livello della prova VI, Forza della raccoman‑

dazione B)

La frequenza del monitoraggio glicemico deve essere ridotta al minimo accettabile. (Livello della prova VI,

Forza della raccomandazione B)

Con la riduzione dell’appetito, nel diabete tipo 2 la dose di ipoglicemizzanti orali deve essere ridotta, dando la preferenza a sulfoniluree a breve durata di azione o glinidi, ed evitando la metformina. Nel paziente tipo 1 la dose di insulina può essere ridotta a causa dell’anoressia o del vomito; anche in assenza di alimentazione una dose minima di insulina è comunque necessaria per evitare la che-toacidosi. (Livello della prova VI, Forza della rac‑

comandazione B) Prognosi di pochi giorni:

Se il paziente è cosciente e presenta sintomi di iperglicemia, si può somministrare insulina rapida quando la glicemia è   360 mg/dl. (Livello della

prova VI, Forza della raccomandazione B)

Se il paziente non è cosciente, è opportuno sospen-dere la terapia ipoglicemizzante e il monitoraggio gli-cemico condividendo con i familiari questa scelta. (Livello della prova VI, Forza della raccomanda‑

zione B)

COMMENTO

Definizione di cure palliative

Il termine “palliativo” non significa “inutile”; la sua definizione esatta deriva dalla parola latina pallium: mantello, protezione.

In letteratura compaiono diverse definizioni di cure palliative. Riportiamo quelle più comunemente utilizzate:

Una prima definizione che si può citare è quella data dall’OMS. In un technical report del 1990 (1) viene detto che “le cure pal-liative si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti

da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta conseguenza è la morte. Il controllo del dolore, di altri sintomi e degli aspetti psicologici, sociali e spirituali è di fonda-mentale importanza. Lo scopo delle cure palliative è il raggiun-gimento della miglior qualità di vita possibile per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni interventi palliativi sono applicabili anche più precocemente nel decorso della malattia, in aggiunta al trat-tamento oncologico”.

Quasi sovrapponibile è quanto riportato, a livello europeo, dalla European Association for Palliative Care (EAPC) (2), secondo la quale le cure palliative sono “la cura attiva e globale prestata al paziente quando la malattia non risponde più alle terapie aventi come scopo la guarigione”. In questo caso, il con-trollo del dolore e degli altri sintomi, dei problemi psicologici, sociali e spirituali assume importanza primaria.

Nel nostro paese ci si può rifare a quanto riportato nel 2003 dalla Conferenza Stato-Regioni (3). In questo documento si afferma che “le cure palliative costituiscono una serie di inter-venti terapeutici e assistenziali finalizzati alla cura attiva, totale, di malati la cui malattia di base non risponde più a trattamenti specifici”.

Diabete e cure palliative

La revisione della letteratura non ha permesso di individuare evidenze e linee-guida specifiche per la gestione del diabete nel contesto delle cure palliative (4).

I pochi articoli che trattano in maniera specifica di questo argomento sono basati esclusivamente su parere di esperti e sull’esperienza clinica, attraverso analisi retrospettive, interventi di focus group su familiari e personale di assistenza coinvolto. Quasi tutti i dati sono relativi a pazienti terminali affetti da pato-logia neoplastica (5).

Il problema prevalente, ancora senza risposta certa, è se il con-trollo della glicemia in fase terminale possa migliorare il com-fort del paziente attraverso la prevenzione dei sintomi di ipo- e iperglicemia, o se gli svantaggi e il disagio derivanti dalla pro-secuzione del monitoraggio glicemico e della terapia insulinica possano superare questo eventuale beneficio (6).

A questo proposito si possono riconoscere due posizioni con-trastanti. La prima posizione sostiene che in una situazione clinica gravemente compromessa l’iperglicemia è condizione ulterior-mente invalidante con sintomi di sete, disidratazione, poliuria, dolore addominale, confusione e sonnolenza. Nei pazienti ter-minali essa è anche più frequente a causa della risposta allo stress acuto proprio delle gravi malattie, e della frequente presenza di infezioni (ad esempio broncopolmonite). L’uso di insulina per via sottocutanea in tali pazienti sarebbe pertanto giustificato, nonostante la necessità di sottoporli al disagio del monitorag-gio glicemico.

La seconda posizione sostiene invece che durante le fasi ter-minali un’iperglicemia clinicamente rilevante è in realtà impro-babile, a causa della scarsa o assente assunzione orale di cibo da parte del paziente. Proseguire la terapia ipoglicemizzante espor-rebbe anzi i pazienti alla comparsa di ipoglicemia (con tutti i fastidiosi sintomi di accompagnamento), favorita dall’insuf-ficienza epatica e renale, spesso presenti nei pazienti terminali. Inoltre, questa scelta comporterebbe la necessità di continuare il monitoraggio della glicemia, pratica disagevole e spesso mal tollerata dai pazienti.

Particolarmente in pazienti con diabete tipo 1, la gestione della fase terminale crea diversi interrogativi medici ed etici.

L’insulina in questi pazienti è un farmaco “salvavita” e la sua sospensione potrebbe essere confusa con una forma di eutana-sia. Tuttavia, molti pazienti terminali rifiutano tutte le terapie farmacologiche in grado di prolungare loro la vita e tale scelta deve essere rispettata (7).

Bibliografia

WHO 1990. Cancer pain relief and palliative care. Technical 1.

report series 804. World Health Organization, Geneva. European Association for Palliative care. Definition of palliative 2.

care. Accessibile al: http://www.eapcnet.org/about/definition.html (visitato il 07/12/2009).

Presidenza del Consiglio dei Ministri. Repertorio Atti n. 1665 3.

del 13 marzo 2003. Conferenza Stato-Regioni – Seduta del 13/03/2003.

Quinn K, Hudson P, Dunning T. Diabetes Management in 4.

Patients Receiving Palliative Care. J Pain Symptom Manage 2006;32:275-286.

McCoubrie R, Jeffrey D, Paton C, Dawes L. Managing diabetes 5.

mellitus in patients with advanced cancer: a case note audit and guidelines. European Journal of Cancer Care 2005;14:244-248. Ford-Dunn S, Quin J. Management of diabetes in the terminal 6.

phase of life. Pract Diab Int 2004;21:175-176. Poulson J.

7. The management of diabetes in patients with advanced

DIABETE MELLITO E NORMATIVE

IX.

a. certiFicazione per la patente

Nel documento 2009-2010 (pagine 133-137)

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