• Non ci sono risultati.

a cura dI gIulIa de florIo e alessIo lega

il concerto al premio tenco 1985

Il pubblico di Bulat Okudžava è il pubblico dell’immensa Russia, quello delle Republiche dell’ex URSS oggi indipendenti, degli Stati che appartennero al blocco sovietico e quello di altre nazioni slave non allineate, dove lui fu popo- lare, con delle punte di vero culto in Polonia e in Repubblica Ceca (dove il cantore tutt’oggi più celebre, Jaromír Nohavica, gli ha dedicato un intero reci- tal e delle versioni in lingua ceca). Poi vi è un altro pubblico piccolo, batta- gliero e tenace sparso per il Mondo, in particolare in Francia, dove Bulat inci- se i suoi dischi e tenne l’ultimo concerto, ma anche altrove, fino ad arrivare alla nostra Italia, dove sappiamo con precisione che Okudžava ha cantato almeno tre volte, a Sanremo, Roma e Torino.

Ebbene ciò che presentiamo qui, in questo libro volto alla conoscenza e all’ap- profondimento dell’opera di Bulat, o meglio nel CD allegato, è un inedito assoluto, non solo per il pubblico italiano, ma per tutti coloro che sono inte- ressati a questo artista. Si tratta dei nastri del breve (35 minuti) concerto che Bulat Okudžava tenne al Premio Tenco del 1985. È un ritrovamento fenome- nale per il quale non ringrazieremo mai abbastanza gli amici del Tenco, mani- polo di preziosi appassionati, indomiti precursori, che hanno costituito quello che è al contempo la migliore formula di valorizzazione, proposta e archivio della canzone d’autore attiva nel nostro Paese.

Proprio a un mio articolo su Bulat Okudžava, uscito nel 2002 sulla Rivista Anarchica per la quale tutt’ora scrivo, devo la prima mail che l’allora direttore artistico e colonna portante del Tenco, Enrico de Angelis, mi scrisse. Poi i nostri rapporti sarebbero divenuti intensi, soprattutto per quel che riguarda la mia attività di autore-cantante.

Per questo non vi nascondo che quando Mimmo Ferraro ha accettato di pub- blicare questo folle progetto, sdoppiandolo addirittura in un progetto editoriale gemellare (il CD di versioni italiane più il libro) ho subito pensato all’opportu- nità di arricchire il libro con un documento sonoro nel quale proporre la voce originale di Bulat e mi sono ricordato che il Tenco ha sempre tendenzialmente

all’epoca erano impossibili) nel 1965 Michele L. Straniero e Clara Strada com- posero l’EP Un nastro da Mosca 1960-1967. Canzoni del disgelo cantate da

Bulat Okudžava. Abbiamo ottenuto l’autorizzazione a pubblicarlo direttamen-

te della vedova di Bulat Okudžava (che ringraziamo una volta di più). Se i nastri del concerto sanremese sono un tesoro inedito di grande valore, lo stes- so onestamente non possiamo dire per questi altri, malfermi e usurati. Hanno però un valore di documento storico, furono le prime canzoni che il pubblico italiano poté sentire di Bulat – e per lungo tempo le uniche. Oltretutto, se que- ste registrazioni ci restituiscono poco della nostalgia e della tenerezza del tim- bro inconfondibile del poeta, quanto meno colmano certe lacune con canzoni che in una sua antologia per quanto minima non possono mancare: La canzo-

ne dell’Arbat, L’ultimo Filobus, Gli scarponi militari.

“Canzoni magnetofoniche” è la definizione che sceglie Clara Janovic Strada per introdurre le canzoni di Okudžava presenti nel disco. In effetti si deve pro- prio alla tecnologia, cioè all’avvento e alla diffusione repentina dei primi rudi- mentali registratori, l’ondata di musica nuova che si abbatté su tutta l’URSS, totalmente fuori dal controllo del governo e del KGB.

La canzone aveva da sempre svolto un ruolo centrale nella vita sociale dell’Unione Sovietica: le canzoni tzigane, della malavita, del lager, degli stu- denti, delle madri, delle miniere – ogni momento comunitario del Paese veni- va fissato e raccontato in musica. Per non parlare della canzone sovietica tout

court, autorizzata e diffusa in ogni singola strada e piazza di qualsiasi città.

Ma quando alcuni giovani artisti, che fossero di mestiere letterati, insegnanti, attori o drammaturghi, imbracciarono la chitarra e iniziarono a cantare le pro- prie poesie era chiaro che qualcosa stava cambiando. Quel “qualcosa” venne da subito inciso e passato di nastro in nastro, iniziò a inondare senza freni né lacci censori le case della sterminata Unione Sovietica: si trattava di un’“alleanza di chitarra e magnetofono al servizio di uno stuolo di autori […] e di una folla di ascoltatori, gli uni e gli altri insoddisfatti, evidentemente, della canzone che l’organizzazione dei divertimenti di massa produceva e divulgava”2.

Il mondo poetico di Bulat Okudžava fa dunque breccia tra le fanfare roboan- ti e mette a nudo, ma senza rassegnazione, il dolore in ogni sua sfaccettatura: “In primo luogo c’è il dolore di una guerra patita e di un’altra, ancor più ter- ribile, paventata: una guerra che Okudžava nelle sue canzoni […] vede senza

2

Le citazioni sono tratte dalle note di copertina di C. Janovic Strada a Un nastro da Mosca. 1960-1967, a cura di M. L. Straniero, I Dischi del Sole, 33 giri DS-63, 1965.

registrato quanto avveniva sul palco, all’inizio in modo piuttosto precario, poi via via sempre meglio. Il 1985 poteva essere già un buon anno e così ho ricevu- to copia dei preziosi nastri e li ho aperti, vi assicuro, con il cuore in gola. Splendidi! Vi si ritrova intatto Okudžava, timido, quasi impacciato – si impap- pina sull’inizio della terza strofa di Canzone per Mosca di notte, uno dei brani che più ha eseguito nella vita – ma anche concentrato, intenso, limpido. Insolitamente misurato, percepibilmente emozionato sentiamo anche il presen- tatore Antonio Silva che introduce l’artista. L’inaspettata ciliegina sulla torta è la presenza di Duilio Del Prete, uno dei grandi attori del teatro italiano, ma parti- colarmente a suo agio al Tenco, perché – pochi lo sanno – Duilio era un gran cantautore sin dai pionieristici tempi di Cantacronache, con all’attivo due album che sono pietre miliari e le più belle versioni italiane da Brel mai cantate nella nostra lingua. In quell’occasione si presta a leggere le traduzioni prima che Bulat esegua i brani. Forse la straordinaria simpatia di Duilio confligge un po’ con la sobrietà di Okudžava... ma questo era anche il Tenco, una permanente afferma- zione del precetto di Vinicius de Moraes “la vita è l’arte dell’incontro”.

Ascoltate dunque con attenzione questa scaletta che Bulat mise assieme per il pubblico italiano, e che ha sorpreso molto noi curatori: vi si trovano pochissi- mi dei brani feticcio (Canzone Georgiana, Preghiera di François Villon), qual- cuna delle prime folgoranti canzoni-miniatura (Il palloncino azzurro, Il solda-

tino di carta), una dedica personale quasi intima (Augurio agli amici) – che ci

ricorda la passione tutta russa per gli interminabili brindisi – e infine una perla rara, assente dalle sue scalette consuete (il brano scelto per bis Gli ussari). Incredibilmente non ricorre nemmeno una volta il nome dell’Arbat.

Nonostante la presenza delle traduzioni “dette” da Del Prete, abbiamo deciso di riprodurre le traduzioni di Gian Piero Piretto e Sergio Secondiano Sacchi pubblicate nell’antologia Arbat, mio Arbat del 1989, per permettere di seguire meglio le esecuzioni1.

un nastro Da mosca. 1960-1967

Nella nostra intenzione di rendere merito a chi si adoperò pionieristicamente nel presentare al pubblico italiano quest’artista tanto schivo quanto rivoluzio- nario, siamo partiti alla ricerca delle registrazioni clandestine – il cosiddetto

magnitizdat – sulla base delle quali (senza contratti e accordi, che d’altronde

Documenti correlati