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Curve algebriche

Nel documento Appunti per il corso di Metodi Algebrici (pagine 24-36)

3.1. Polinomi in pi`u indeterminate e curve

Se A `e un anello commutativo, possiamo costruire l’anello dei polinomi in una indeterminata A[x]. A partire da questo possiamo ancora costruire l’anello dei polinomi in una indeterminata, chiamiamola questa volta y. Gli elementi di questo nuovo anello sono allora le espressioni

f0+ f1y + f2y2+ · · · + fnyn,

dove f0, f1, . . . , fn ∈ A[x]. Un modo diverso e pi`u informale di presentare questo anello `e di considerare le combinazioni lineari a coefficienti in A dei monomi xiyj al variare di i e j nei numeri naturali. La moltiplicazione si esegue usando le propriet`a di anello e la commutativit`a.

Ovviamente il procedimento si pu`o ripetere induttivamente:

A[x1, x2] = A[x1][x2], A[x1, x2, . . . , xn−1, xn] = A[x1, x2, . . . , xn−1][xn].

Chiameremo A[x1, x2, . . . , xn−1, xn] anello dei polinomi in n indeterminate a coefficienti in A. Anche questo `e l’insieme delle combinazioni lineari a coefficienti in A dei monomi xi1

1xi2

2 . . . xin

n. Il grado totale di un monomio `e la somma degli esponenti; il grado totale di un polinomio `e il massimo dei gradi totali dei monomi con coefficienti non nulli. Il grado del polinomio nullo `

e −∞.

Come per l’anello dei polinomi in una indeterminata vale una propriet`a importante che riguarda la sostituzione.

Proposizione 3.1.1. Se A `e un sottoanello dell’anello commutativo B e b1, b2, . . . , bn∈ B, allora esiste un unico omomorfismo di anelli

vb1,b2,...,bn: A[x1, x2, . . . , xn] → B tale che

vb1,b2,...,bn(xi) = bi (i = 1, 2, . . . , n) e vb1,b2,...,bn(a) = a per ogni a ∈ A.

Non dimostreremo il teorema seguente, che tuttavia `e intuitivamente plausibile.

Teorema 3.1.2. Se F `e un campo, ogni polinomio non costante in F [x1, x2, . . . , xn] pu`o essere scritto in modo essenzialmente unico come prodotto di polinomi irriducibili.

3.2. Curve algebriche

Se F `e un campo e n > 0 denoteremo con Fn l’insieme delle n-uple di elementi di F ; questo `

e lo spazio affine di dimensione n su F . Di particolare importanza `e il caso di n = 2, per il quale parleremo del piano affine su F .

Definizione 3.2.1. Dato un polinomio non nullo f ∈ F [x, y], la curva algebrica definita da f `e l’insieme

C(f ) = { (a, b) ∈ F2| f (a, b) = 0 }.

Il grado totale di f si dice anche grado di C(f ). Una curva algebrica di grado due `e una conica, una di grado tre `e una cubica. Nel caso in cui il grado totale di f sia 1, C(f ) `e una retta.

Useremo la solita terminologia geometrica: gli elementi del piano affine sono chiamati punti ; si parla di retta o curva passante per un punto, eccetera. Cerchiamo allora di stabilire quanti punti possono avere in comune una curva algebrica e una retta. Il caso di due rette `e facile: possono essere coincidenti, avere in comune un punto o nessuno; in questo caso si diranno parallele.

Consideriamo ora una retta C(αx + βy + γ). Esiste un altro modo di scriverne i punti: se (a, b) appartiene alla retta, avremo γ = −αa − βb. Quindi i punti della retta sono tutti e soli quelli della forma

(a + βt, b − αt)

al variare di t ∈ F (esercizio). Chiameremo x = a + λt, y = b + µt le equazioni parametriche di una retta. Dobbiamo ovviamente avere λ e µ non entrambi nulli. Dalla forma parametrica otteniamo anche quella “polinomiale” come µx − λy + (λb − µa).

Sia ora data una curva C(f ). Un punto in comune tra curva e retta dovr`a allora essere della forma (a + λt, b + µt) con

f (a + λt, b + µt) = 0.

L’espressione f (a + λt, b + µt) `e un polinomio in t che ha grado non maggiore del grado totale di f . Ci sono due casi: il primo `e quando esso `e non nullo, in cui la retta e la curva hanno al massimo n punti in comune, dove n `e il grado di f ; il secondo `e quando f (a + λt, b + µt) `e il polinomio nullo.

Questo caso succede se e solo se il polinomio µx − λy + (λb − µa) `e un divisore di f . Distinguiamo anche qui due casi. Se λ 6= 0, possiamo scrivere la retta come C(y − mx − q). Consideriamo poi A = F [x] e in A[y] eseguiamo la divisione di f per y − (mx + q); questo `e possibile perch´e y − (mx + q) `e monico. Possiamo allora scrivere

f = (y − (mx + q))g + r

dove r ∈ A, cio`e `e un polinomio nella sola x. Il fatto che f (x, mx + q) = 0 dice che r = 0. Nel caso in cui λ = 0, la retta pu`o essere scritta come x − a; se f (a, y) = 0, abbiamo che x − c `e un divisore di f (esercizio).

Quando tutti i punti di una retta fanno parte anche di una curva data, diremo che la retta `

e una componente della curva.

Proposizione 3.2.2. Una curva di grado n e una retta che non sia una sua componente possono avere al massimo n punti in comune.

Saremo interessati principalmente a curve di grado > 1 che siano definite da un polinomio irriducibile. In questo caso una retta non pu`o essere una componente della curva. Diremo allora che la curva `e F -irriducibile.

Analizziamo un esempio molto importante, la curva in R2definita da f = x3− x2+ y2. Non `

e difficile dimostrare che questo polinomio `e irriducibile (esercizio). Il grafico di questa curva `e illustrato nella figura 1.

Se consideriamo una retta passante per un punto della curva diverso dall’origine, questa interseca la curva in vari punti. Prendiamo ad esempio una retta x = 1 + λt, y = µt:

f (1 + λt, µt) = t(λ3t2+ (2λ2+ µ2)t + λ).

Questo polinomio `e di grado 2 se λ = 0 e, in tal caso, ha la radice zero di molteplicit`a 2. Altrimenti ha grado 3 e non ha radici multiple se non quando µ = 0; in effetti 0 non `e radice del fattore di grado 2, il quale ha discriminante µ2(4λ2+ µ2).

Diverso `e il caso delle rette passanti per l’origine, che hanno equazioni x = λt, y = µt. Si ha infatti

f (λt, µt) = t23t + (µ2− λ2))

che ha 0 come radice almeno doppia. `E addirittura tripla quando µ = ±λ. Il grado si abbassa quando λ = 0.

3.2. CURVE ALGEBRICHE 25

Figura 1. Folium di Cartesio

Dovrebbe essere evidente il motivo di questo comportamento: la curva “passa due volte” per l’origine. Le rette x + y e x − y sono “tangenti” ai due rami della curva. Nel punto (1, 0) la tangente `e la retta verticale, per la quale la radice 0 `e multipla.

Definizione 3.2.3. Un punto (a, b) di una curva C(f ) si dice multiplo o singolare se, per ogni retta x = a + λt, y = b + µt passante per (a, b), il polinomio f (a + λt, b + µt) ha zero come radice multipla.

Esiste una semplice caratterizzazione dei punti singolari. Dato un polinomio f ∈ F [x], definiamo la sua derivata tramite l’usuale regola nxn−1: perci`o, se f = a0+ a1x + · · · + anxn, la derivata `e f0 = a1+ 2a2x + · · · + nanxn. Le usuali regole di derivazione sono valide. Se invece f ∈ F [x, y], possiamo definirne le derivate parziali eseguendo le derivate rispetto a x e a y. Le indicheremo con D1f e D2f rispettivamente.

Teorema 3.2.4. Un punto (a, b) della curva C(f ) `e multiplo se e solo se D1f (a, b) = 0 e D2f (a, b) = 0.

Dimostrazione. Proviamo a valutare il monomio g = xiyj in (a + λt, b + µt): otteniamo g(a + λt, b + µt) = aibj+ iai−1bjλt + jaibj−1µt + (. . . )t2.

Diventa allora evidente che

f (a + λt, b + µt) = f (a, b) + λD1f (a, b) + µD2f (a, b)t + (. . . )t2.

Se vogliamo che la radice 0 sia doppia per ogni retta, dobbiamo necessariamente avere D1f (a, b) = D2f (a, b) = 0. Ovviamente la condizione `e anche sufficiente. 

Possiamo anche definire la molteplicit`a di un punto: ne daremo solo una versione operativa, che si pu`o giustificare proseguendo nello sviluppo indicato nella dimostrazione precedente. Un punto (a, b) della curva C(f ) si dice di molteplicit`a m se tutte le derivate parziali di f fino all’ordine m si annullano in (a, b), ma una di ordine m + 1 non si annulla.

La verifica `e facile quando il punto da considerare `e l’origine (0, 0): essa `e un punto m-uplo per C(f ) se in f non compaiono monomi di grado totale minore di m.

Ad esempio, la curva di f = x5− y(x2− y2)(x2− 4y2) ha un punto quadruplo nell’origine. Il suo grafico nel caso in cui F = R `e indicato nella figura 2. Nella figura 3 `e disegnato il grafico della curva di x5− y(x2− y2)2.

Figura 2. Curva con punto quadruplo x5− y(x2− y2)(x2− 4y2)

Figura 3. Curva con punto quadruplo x5− y(x2− y2)2

Se un punto (a, b) della curva C(f ) `e semplice, esiste sempre una retta x = a + λt, y = b + µt tale che 0 sia una radice doppia del polinomio f (a + λt, b + µt). Infatti basta scrivere che λD1f (a, b) + µD2f (a, b) = 0 e una soluzione (ed `e l’unica come retta) si trova.

Definizione 3.2.5. Una retta di equazioni parametriche x = a + λt, y = b + µt `e tangente alla curva C(f ) nel punto m-uplo (a, b) se 0 `e radice di molteplicit`a almeno m + 1 del polinomio f (a + λt, b + µt).

Non sempre `e possibile invece determinare le tangenti in un punto multiplo: ad esempio, se F = GF(3), la cubica x3+ x2+ xy + 2y2 ha un punto doppio nell’origine; se consideriamo una retta x = λt, y = µt, il polinomio che ne risulta `e λ3t3+ (λ2+ λµ + 2µ2)t2 e non esistono λ, µ ∈ GF(3), non entrambi nulli, tali che λ2+ λµ + 2µ2= 0. La situazione ovviamente non si presenta in un campo algebricamente chiuso.

Come ogni polinomio a coefficienti in F si pu`o considerare come a coefficienti in ogni estensione di F , cos`ı per le curve.

Definizione 3.2.6. Una curva C(f ) sul campo F si dice irriducibile se non esiste un’esten-sione algebrica K di F in cui f sia un polinomio irriducibile. Diremo che la curva `e non-singolare se non esiste un’estensione algebrica K di F in cui la curva C(f ) ammette punti multipli.

3.3. COORDINATE OMOGENEE 27

`

E chiaro che come estensione si pu`o prendere la chiusura algebrica di F ed eseguire i calcoli in essa. Ad esempio, la curva x2+ y2 sarebbe irriducibile in R, ma non lo `e, visto che nei complessi possiamo scrivere x2+ y2= (x + iy)(x − iy).

Come esempio, determiniamo quali curve f = x3+ αx + β − y2sono non-singolari. Abbiamo D1f = 3x2+ α e D2f = −2y. Supponiamo che la caratteristica di F sia diversa da 2 e da 3. Un punto multiplo deve avere allora la forma (t, 0), dove

(

t3+ αt + β = 0 3t2+ α = 0

Affinch´e il sistema ammetta soluzione in una opportuna estensione algebrica di F `e necessario e sufficiente che 4a3+ 27b3= 0, condizione che vediamo dipendere solo da F .

3.3. Coordinate omogenee

Consideriamo di nuovo la cubica f = x3+ αx + β − y2, che avr`a particolare importanza nel seguito. Se la intersechiamo con una retta x = a + λt, y = b + µt, otteniamo

f (a + λt, b + µt) = λ3t3+ (3λ2a − µ2)t2+ (3λa2+ λα − 2µb)t + a3+ αa + β − b2. Vediamo allora che le rette con λ 6= 0 incontrano la curva in tre punti (con le loro molteplicit`a, ovviamente). Invece quelle con λ = 0 la incontrano al pi`u due punti. Questa asimmetria `e poco piacevole, ma `e nella natura delle cose.

Ancora pi`u spiacevole `e il caso della cubica x2y − y + 1, il cui grafico `e nella figura 4; ad esempio, le rette parallele all’asse y la incontrano solo in un punto.

Figura 4. Curva x3− (y − 1)x2+ (y − 1) `

E possibile trovare qualcosa in comune fra questa cubica e il Folium di Cartesio? La risposta `e che queste due curve sono la stessa curva, da due punti di vista diversi. Per vedere la somiglianza, per`o, `e necessario introdurre il piano proiettivo.

(1) nell’insieme F3\ {(0, 0, 0)} delle terne ordinate di elementi di F esclusa (0, 0, 0) si definisce la relazione di equivalenza

(a, b, c) ∼ (a0, b0, c0) se e solo se esiste ρ ∈ F , ρ 6= 0 con (a0, b0, c0) = (ρa, ρb, ρc). (2) P2(F ) = (F3\ {(0, 0, 0)})/∼.

La classe di equivalenza di (a, b, c) sar`a indicata con (a : b : c), un punto di P2(F ). `

E chiaro come generalizzare il tutto a “spazi” di dimensione maggiore, ma non lo useremo. Piuttosto cerchiamo di scoprire perch´e P2(F ) si chiama “piano”. Abbiamo punti e vogliamo definire le “rette”.

Definizione 3.3.2. Dati α, β, γ ∈ F non tutti nulli, la retta αx1+ βx2+ γx3`e l’insieme dei punti (a : b : c) ∈ P2(F ) tali che

αa + βb + γc = 0.

Notiamo che questa `e una buona definizione, perch´e non dipende dalla particolare terna che rappresenta il punto. Due rette sono uguali se hanno gli stessi punti.

Proposizione 3.3.3. Due rette αx1+ βx2+ γx3 e α0x1+ β0x2+ γ0x3 sono uguali se e solo se esiste ρ ∈ F , ρ 6= 0, tale che

α0= ρα, β0= ρβ, γ0= ργ.

Dimostrazione. Il punto (a : b : c) appartiene alla retta αx1+ βx2+ γx3 se e solo se il vettore [a b c]T `e soluzione del sistema

α β γ   x y z  = 0.

Il sottospazio delle soluzioni di questo sistema ha dimensione 2, perch´e la matrice [α β γ] ha rango 1. Dire che le due rette hanno gli stessi punti equivale allora a dire che il sistema

 α β γ α0 β0 γ0    x y z  = 0.

ha come insieme delle soluzioni un sottospazio di dimensione 2, cio`e che la matrice  α β γ

α0 β0 γ0 

ha rango 1. Completare la dimostrazione per esercizio.  Proposizione 3.3.4. Due rette distinte in P2(F ) hanno esattamente un punto in comune. Dimostrazione. Dire che le rette sono distinte significa che, usando le stesse notazioni di prima, la matrice

 α β γ α0 β0 γ0 

ha rango 2. Il sistema associato ha allora come spazio delle soluzioni un sottospazio di dimen-sione 1, che quindi ha una base formata da un vettore non nullo [a b c]T. Il punto (a : b : c) `e allora l’unico punto comune alle due rette.  Proposizione 3.3.5. Dati due punti distinti di P2(F ), esiste una ed una sola retta che passa per i due punti.

3.3. COORDINATE OMOGENEE 29

Dimostrazione. Se i punti sono (a : b : c) e (a0: b0: c0), una retta per essi deve essere della forma αx1+ βx2+ γx3. Dunque [α β γ]T deve essere soluzione del sistema che ha come matrice associata

 a b c a0 b0 c0 

che ha, per ipotesi, rango 2. L’insieme delle soluzioni `e allora un sottospazio di dimensione 1,

ci`o che determina una retta. 

Il fatto che parliamo di punti e rette dovrebbe indurci a pensare di trattare oggetti che hanno qualcosa a che fare con gli enti geometrici tradizionali, almeno nel caso in cui F = R.

Se consideriamo i punti (a : b : c) ∈ P2(F ) tali che c 6= 0, abbiamo (a : b : c) = (a/c : b/c : 1), quindi possiamo definire un’applicazione j : F2→ P2(F ) con l’assegnazione (a, b) 7→ (a : b : 1) e questa `e iniettiva. Decidiamo di chiamare propri i punti di P2(F ) per i quali c 6= 0 e impropri gli altri. Identificheremo i punti propri con i corrispondenti punti di F2tramite j.

Supponiamo sia data una retta αx1+ βx2+ γx3 in P2(F ). I punti propri della retta sono quelli (a : b : 1) per i quali αa + βb + γ = 0, cio`e costituiscono una retta di F2. Su ogni retta αx1+ βx2+ γx3 in cui uno fra α e β `e non nullo esiste uno ed un solo punto improprio.

Sappiamo poi che la condizione affinch´e due rette del piano affine αx + βy + γ e α0x + β0y + γ0 siano parallele `e che il sistema che ha come matrice completa

α β γ α0 β0 γ0



non abbia soluzioni, cio`e, per il teorema di Rouch´e-Capelli, che la matrice completa abbia rango 2, mentre quella dei coefficienti abbia rango 1. E facile verificare allora che le rette del piano` proiettivo αx1+ βx2+ γx3e α0x1+ β0x2+ γ0x3hanno in comune uno ed un solo punto improprio. Quello che succede `e allora la realizzazione dell’intuizione di Desargues: abbiamo aggiunto ad ogni retta un punto improprio, in modo che due rette parallele abbiano in comune esattamente il loro punto improprio. La totalit`a dei punti impropri forma una retta (del piano proiettivo), che ha come polinomio x3.

Mettiamoci ora nello spazio (affine) tridimensionale. Sia C il punto di coordinate (0, 0, 1) e sia π il piano di equazione y = −1. Associamo ai punti di π un punto del piano xy nel modo seguente:

(1) dato il punto P di coordinate (ξ, −1, η) si prende la retta rP che passa per questo punto e C;

(2) si associa a P il punto ˜P di intersezione della retta rP con il piano xy. `

E facile vedere che le coordinate del punto ˜P sono  ξ η − 1, 1 η − 1, 0  .

Notiamo che non ad ogni punto di π corrisponde un punto del piano xy, infatti i punti della retta y = −1, z = 1 non hanno un corrispondente. Possiamo anche scrivere la corrispondenza “inversa”: al punto Q di coordinate (x, y, 0) associamo il punto ˜Q di coordinate

 x y, −1, 1 y + 1  .

Non hanno corrispondente solo i punti della retta y = 0, z = 0. Se escludiamo i punti che non hanno corrispondente, le due applicazioni sono una l’inversa dell’altra, cio`eP = P e˜˜ Q = Q.˜˜

Abbiamo ottenuto una corrispondenza fra punti di due piani. Un sistema di coordinate sul piano π `e dato dalle coordinate “prima” e “terza”. Vogliamo vedere quali punti di π sono

mandati in punti del Folium di Cartesio sul piano xy; saranno quelli di coordinate (locali) (ξ, η) per i quali  ξ η − 1 3 −  ξ η − 1 2 +  1 η − 1 2 = 0

cio`e quelli per cui ξ3− (η − 1)ξ2+ (η − 1) = 0. L’immagine del Folium di Cartesio sul piano π `e proprio la cubica che abbiamo descritto nella figura 4.

Proviamo a estendere la corrispondenza a una fra piani proiettivi. Al punto P di coordi-nate (a : b : c) associamo il punto ˜P di coordinate (a : c : b − c). Abbiamo in altre parole un’applicazione

Φ : P2(F ) → P2(F ) (a : b : c) 7→ (a : c : b − c) la cui inversa `e l’applicazione

Ψ : P2(F ) → P2(F ) (a : b : c) 7→ (a : b + c : b)

Ora le due applicazioni sono definite ovunque e sono una l’inversa dell’altra. Sui punti propri coincidono con le funzioni definite parzialmente di cui sopra; in effetti un punto della retta propria y − 1, cio`e un punto della forma (a : 1 : 1) ha come corrispondente tramite Φ il punto (a : 1 : 0) che `e un punto improprio. Analogamente un punto (a : 0 : 1) ha come corrispondente tramite Ψ il punto (a : 1 : 0), che `e improprio.

Possiamo anche scrivere le due applicazioni per mezzo di matrici:   1 0 0 0 0 1 0 1 −1     a b c  =   a c b − c  ,   1 0 0 0 1 1 0 1 0     a b c  =   a b + c b  .

Le due matrici sono precisamente una inversa dell’altra.

Se abbiamo una matrice 3×3, chiamiamola A, possiamo associare ad essa una trasformazione del piano proiettivo, purch´e A sia non-singolare; infatti, in tal caso, Av 6= 0 se v 6= 0. Al vettore v = [a b c]T possiamo associare il punto ˜v = (a : b : c); questo modo di procedere definisce effettivamente un’applicazione ˜A : P2(F ) → P2(F ). Infatti, se ˜u = ˜v, avremo u = ρv e quindi

Au = A(ρv) = ρ(Av). Perci`o

˜

A(˜u) = fAu = ^ρ(Av) = fAv = ˜A(˜v).

L’applicazione ˜A `e biiettiva, perch´e la sua inversa `e gA−1. Se poi B = ρA, per ρ ∈ F , ρ 6= 0, abbiamo che ˜B = ˜A.

Definizione 3.3.6. Una proiettivit`a del piano proiettivo su F `e un’applicazione del tipo ˜A, dove A `e una matrice 3 × 3 non-singolare. L’insieme delle proiettivit`a del piano proiettivo `e un gruppo rispetto all’operazione di composizione, denotato con PGL(2, F ).

Come esercizio, cerchiamo di studiare meglio il gruppo delle proiettivit`a. Partiamo dal gruppo GL(3, F ) delle matrici 3 × 3 non-singolari. Le matrici scalari

Sρ=   ρ 0 0 0 ρ 0 0 0 ρ  

con ρ 6= 0 formano un sottogruppo normale H. Sappiamo che ρA = SρA, quindi abbiamo proprio che

PGL(2, F ) = GL(3, F )/H.

Esercizio: determinare l’ordine dei gruppi PGL(2, F ) quando F `e il campo GF(2), GF(4), GF(3) e GF(9).

3.3. COORDINATE OMOGENEE 31

Vogliamo studiare anche i punti uniti di una proiettivit`a: un punto ˜v `e unito per ˜A quando ˜

v = ˜A(˜v). La condizione necessaria e sufficiente `e che esista uno scalare non nullo ρ tale che Av = ρv,

cio`e che ρ sia un autovalore di A e che v ne sia un autovettore.

Supponiamo che ρ sia un autovalore di A di molteplicit`a geometrica 2; quindi esistono due autovettori u e v relativi a ρ linearmente indipendenti. La retta per i due punti ˜u e ˜v consiste dei punti della forma λu + µv, dove λ e µ sono scalari non entrambi nulli. I vettori λu + µv^ sono allora autovettori relativi a ρ, quindi sono tutti punti uniti.

Il linguaggio dei vettori permette di scrivere facilmente la retta passante per due punti. Infatti una retta r `e data dal suo polinomio αx1+ βx2+ γx3. Sia allora a il vettore riga [α β γ]. Di nuovo il vettore riga determina la retta a meno di multipli scalari non nulli. Il punto ˜v appartiene a r se e solo se av = 0. Una retta `e determinata da due suoi punti distinti: infatti, se ˜

u e ˜v appartengono alla retta r, ogni vettore della forma λu + µv (con λ e µ non entrambi nulli) definisce un punto della retta r. Viceversa, dato w tale che ˜w ∈ r, abbiamo che u, v, w ∈ N (a). Ma lo spazio nullo di a ha dimensione 2, quindi i tre vettori sono linearmente dipendenti, cosicch´e esistono λ, µ, ν non tutti nulli con

λu + µv + νw = 0.

Ora necessariamente ν 6= 0, visto che u e v sono linearmente indipendenti, quindi possiamo scrivere

w = (−λ/ν)u + (−µ/ν)v.

Dunque la retta per due punti distinti ˜u e ˜v `e definita da un qualunque vettore riga non nullo a che appartiene allo spazio nullo sinistro della matrice [u v]. Inoltre un punto appartiene alla retta se e solo se il vettore che lo definisce `e combinazione lineare di due vettori che rappresentano punti distinti della retta.

Sia ora data una proiettivit`a ˜A e siano ˜u e ˜v punti distinti. Vogliamo vedere che un punto ˜

w appartiene alla retta r per ˜u e ˜v se e solo se ˜A( ˜w) appartiene alla retta per ˜A(˜u) e ˜A(˜v). Se ˜w appartiene alla retta r per ˜u e ˜v, allora w = λu + µv. Allora Aw = λAu + µAv, come volevamo. Il viceversa `e analogo, usando A−1.

Ci interessa scoprire qual `e il vettore riga che definisce la retta trasformata. Se a `e il vettore riga della retta r e b quello della retta trasformata, dobbiamo avere

bAu = 0 = bAv.

Dunque bA `e un vettore riga non nullo nello spazio nullo sinistro della matrice [u v] e quindi `e un multiplo scalare di a. Ne segue che possiamo anche prendere bA = a, cio`e che b = aA−1.

Proposizione 3.3.7. Una proiettivit`a trasforma rette in rette e conserva l’incidenza.

Dimostrazione. La prima parte `e gi`a fatta: l’immagine diretta tramite ˜A di una retta `e una retta. La seconda parte dice che, se due rette hanno in comune un punto, le loro immagini dirette hanno in comune l’immagine di quello stesso punto.

Infatti se ˜v appartiene alle rette definite dai vettori riga a e b, abbiamo av = 0 e bv = 0. Ma allora

aA−1Av = av = 0

e analogamente per b. 

Vogliamo stabilire se in una proiettivit`a ˜A esista una retta unita, cio`e una retta r tale che ˜

A(˜v) ∈ r, per ogni ˜v ∈ r. Ci`o ovviamente significa che aA−1= ρa, per quanto visto prima, dove il vettore riga a determina r. Prendendo le trasposte la cosa diventa chiara:

cio`e aT `e un autovettore per AT. Se il campo F `e algebricamente chiuso, allora, ogni proiettivit`a ammette un punto unito e una retta unita.

Definizione 3.3.8. Una affinit`a del piano proiettivo su F `e una proiettivit`a ˜A tale che la retta impropria sia unita.

In altre parole ˜A `e un’affinit`a se e solo se l’immagine di tutti i punti impropri (a : b : 0) `e ancora un punto improprio. In particolare ci`o deve valere per i punti ˜e1 e ˜e2. La condizione sulla matrice A = [aij] `e dunque a31= a32= 0. Perci`o a336= 0, altrimenti A sarebbe singolare. Possiamo perci`o prendere a33 = 1. Il punto di coordinate (a : b : 1) viene allora mandato in quello definito dal vettore

  a11 a12 a13 a21 a22 a23 0 0 1     a b 1  =   a11a + a12b + a13 a21a + a22b + a23 1  

e quindi un’affinit`a `e ci`o a cui siamo abituati nel piano affine.

3.4. Polinomi omogenei

Come le rette affini possono essere viste come rette del piano proiettivo private del punto improprio, anche le curve algebriche affini possono essere viste come curve del piano proiettivo private di punti impropri. Ma quali?

Ad esempio, la cubica della figura 4 ha tre asintoti: due verticali, di equazioni x − 1 e x + 1 rispettivamente, e uno obliquo, di equazione x − y + 1. Sembra ragionevole dire che la cubica passa per i punti impropri di queste rette, che hanno coordinate (0 : 1 : 0) quello delle prime due e (1 : 1 : 0) per la terza. Di pi`u: il fatto che queste rette siano asintoti dice intuitivamente che esse sono tangenti alla cubica nei punti impropri. Per il punto (0 : 1 : 0) passano due tangenti, infatti questo punto `e l’immagine del punto doppio del Folium di Cartesio. La retta impropria allora ha tre punti in comune con la cubica: due coincidenti (il punto doppio) e uno semplice.

Prendiamo il Folium di Cartesio: le rette che lo incontrano in due soli punti sono le rette parallele all’asse delle ordinate; sembra ragionevole assumere che il punto improprio da aggiun-gere sia allora (0 : 1 : 0), che `e il punto improprio di queste rette. Infatti le rette di quel tipo hanno la forma x + γz.

Come si passa da una retta nel piano affine a quella corrispondente nel piano proiettivo? Se la prima `e definita dal polinomio αx + βy + γ, la seconda `e definita da αx + βy + γz. Abbiamo semplicemente reso omogeneo il polinomio. Cerchiamo di dare una definizione pi`u precisa.

Definizione 3.4.1. Un polinomio f ∈ F [x1, . . . , xn] `e omogeneo se tutti i monomi che compaiono con coefficiente diverso da zero in f hanno lo stesso grado totale. Per convenzione il polinomio nullo `e considerato omogeneo di qualunque grado (questo serve per rendere l’insieme dei polinomi omogenei di grado n uno spazio vettoriale su F ).

Indichiamo con Di la derivata parziale rispetto alla i-esima indeterminata. Eulero dimostr`o un importante fatto sui polinomi omogenei.

Teorema 3.4.2. Sia f ∈ F [x1, . . . , xn] un polinomio omogeneo di grado k. Allora, come polinomi in F [x1, . . . , xn][t] si ha

f (tx1, . . . , txn) = tkf (x1, . . . , xn); inoltre kf =Pn

i=1xiDif .

Dimostrazione. La prima propriet`a si verifica facilmente sui monomi e quella generale `e una conseguenza immediata.

3.4. POLINOMI OMOGENEI 33

Non `e troppo complicato verificare che la derivata rispetto a t del primo membro `e

Nel documento Appunti per il corso di Metodi Algebrici (pagine 24-36)

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