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2. La danzaterapia

2.2. Dalla danza alla danzaterapia

La Modern Dance, come abbiamo visto, dà alla danza una nuova vita, cambiandone l’assetto e allontanandola dalla tradizione, in questo modo ne permette il rinnovamento e la crescita; è in questo clima di scoperta che, negli anni Quaranta, alcune danzatrici americane si rendono conto che la danza ha degli effetti terapeutici. Le prime danzatrici a portare avanti questa convinzione sono Marian Chase e Trudi Schoop.

Marian Chase si forma alla Denishawn School e in seguito diventa insegnante di danza. Durante la sua esperienza come insegnante lavora spesso con i bambini e si rende conto di come il movimento possa esternare le loro difficoltà. Nonostante lavori anche con bambini non particolarmente propensi alla danza, si accorge di come attraverso il corpo essi riescano a esprimere quello che con il linguaggio verbale non riescono a rivelare46. Queste osservazioni la portano, nel 1942, ad avviare un progetto educativo e riabilitativo all’ospedale Saint Elizabeth di Washington, dove Chase ha modo di applicare il suo metodo a pazienti con disturbi mentali, incapaci di esprimersi attraverso l’uso del linguaggio verbale. I pazienti con cui la Chase lavora sono nella maggior parte soldati tornati dalla guerra, militari di ritorno dal fronte che presentano gravi difficoltà come smarrimento, confusione, sensi di colpa, disturbi della personalità. La Chase, quindi, applica diverse tipologie di intervento in base al tipo di patologia del paziente. Gli elementi che caratterizzano il metodo da lei applicato sono: la risocializzazione, che ha l’obiettivo di ridurre l’isolamento attraverso lavori fatti in gruppo; il gruppo, che favorisce la libera circolazione delle emozioni e il potenziamento delle capacità espressive; la relazione terapeutica, strumento che favorisce l’inserimento nel gruppo e la collaborazione; il dialogo motorio, caratterizzato dal rispecchiamento, che permette alla danzaterapeuta di entrare in empatia con il paziente; la voce e la parola, possibili modalità di rispecchiamento che il danzaterapeuta può utilizzare e la musica, strumento utile per aumentare la coesione del gruppo e per rispecchiare gli umori e le emozioni dei pazienti.

Il contributo di Marian Chase alla danzaterapia non termina qui, infatti, nel 1966 fonda

46 Cfr. MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, Milano, Xenia, 1999, pp.

42-43.

l’American Dance Therapy Association, organismo che cura gli aspetti formativi dei danzaterapeuti47.

Anche a Trudi Schoop, danzatrice e insegnante, possiamo attribuire il merito di essere stata tra le prime a riconoscere nella danza uno strumento di cura. Trudi Schoop inizia fin da piccola a praticare la danza per sfogare ansie e paure, questo avviene a Zurigo, luogo della sua nascita, la sua formazione comprende studi di danza classica e successivamente di danza moderna48. Dopo la Seconda guerra mondiale si trasferisce in America dove comincia a lavorare con pazienti psichiatrici nonostante non possieda una formazione in campo psicologico o psicoanalitico. Malgrado la sua disinformazione in campo psichiatrico, la Schoop elabora una strategia d’intervento basata sulle sue conoscenze artistiche e personali. La sua metodologia si basa sull’uso psicoterapeutico del movimento e sull’presupposto che «mente e corpo sono in costante relazione reciproca»49.

La Schoop struttura il suo lavoro attorno ad alcuni elementi cardine, uno tra questi è la divisione dei pazienti in piccoli gruppi omogenei in base alle patologie, o la strutturazione di un setting individuale in casi di fobia sociale o pazienti particolarmente gravi, in questo modo il lavoro non rischia di essere dispersivo o inefficace. Durante il percorso la Schoop attua delle particolari modalità d’intervento, basate sul lavorare lentamente, sull’uso di immagini. Inoltre, applica una strategia della danzaterapia, quella che prevede di partire dal corpo per arrivare all’emozione. Un altro elemento della sua metodologia è la struttura della seduta, che è divisa in tre fasi: l’apertura, che prevede un riscaldamento; la fase del lavoro espressivo dove si da libero sfogo all’improvvisazione per mezzo della danza e la chiusura, caratterizzata dal rilassamento o da altra attività motoria50.

Il contributo di Trudi Schoop non si limita a questa esperienza, si dedica anche alla formazione artistica di professionisti quali medici e psicologi51.

47 Cfr. PESERICO Manuela (a cura di), Danzaterapia: il metodo Fux, Roma, Carrocci Faber, 2004, pp. 124-125.

48 Cfr. MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, cit., p. 43.

49 SCHOOP Trudi, Vuoi danzare con me? Il trattamento delle psicosi attraverso la danzaterapia, trad. di Jiulian Sachs, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 2007, p. 15 (ed. or. SCHOOP Trudi, Won’t you join the dance?: a dancer essay into the treatment of psychosis, Palo Alto, Mayfield, 1974).

50 Cfr. PESERICO Manuela (a cura di), Danzaterapia: il metodo Fux, cit., pp. 125-126.

51 Cfr. MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, cit., p. 43.

La nascita della disciplina

La danzaterapia inizia a diffondersi negli anni Quaranta in America, grazie al contributo di artiste quali Marian Chase e Trudi Schoop, in Europa arriva negli anni Cinquanta, nello specifico in Gran Bretagna, mentre in Francia si diffonde negli anni Sessanta. È difficile dare una definizione di danzaterapia, possiamo dire che questa sia una «possibilità terapeutica orientata ad unificare corpo e spirito, conscio e inconscio»52, e ancora «una tecnica che utilizza […] il corpo e l’espressività corporea, resa possibile dalla danza, come strumenti di cambiamento»53. Mentre per la danzaterapia non ci è possibile arrivare ad una definizione univoca, per gli obiettivi della disciplina il compito è meno arduo. Gli obiettivi della danzaterapia in parte rispecchiano quelli della psicoterapia e comprendono una maggior consapevolezza dell’Io, una visione più chiara del gruppo, rapporti più stabili con i componenti e una percezione più positiva delle proprie capacità. Questi obiettivi però, all’interno della pratica della danzaterapia, si intrecciano con delle pratiche focalizzate sul corpo, che tendono ad una comprensione e rimozione delle emozioni bloccate e allo sviluppo di un corpo sano, in termini di tensioni e conflitti54. Anche Vincenzo Puxeddu, danzaterapeuta francese, si esprime in merito agli obiettivi della danzaterapia e ritiene che questi debbano «far ritrovare al paziente il piacere funzionale del proprio corpo, di lavorare sull’affinamento delle funzioni psicomotorie, sull’unità psico-corporea, sulla simbolizzazione corporea, sull’immagine corporea e la stima di sé»55. Per quanto riguarda il tendere allo sviluppo del piacere funzionale del corpo del paziente, anche Lapierre e Aucouturier si trovano concordi, affermano infatti che «c’è un piacere del movimento in sé stesso e per sé stesso al di fuori di ogni finalità, […] il contenuto emozionale del gesto, poiché è in rapporto con le strutture più arcaiche del cervello […] risveglia le sensazioni del piacere più primitive e più profonde»56. L’individuo, quindi, ricava dal movimento una sensazione di piacere, mentre ciò accade il danzaterapeuta ha il compito di fargli affinare varie funzioni

52 Ivi, p. 2.

53 PESERICO Manuela (a cura di), Danzaterapia: il metodo Fux, cit., p. 14.

54 Cfr. MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, cit., p. 47.

55 PUXEDDU Vincenzo, Danzaterapia e riabilitazione, in BIANCONI Roberto - DE GREGORIO Attilio - MANAROLO Gerardo - PUXEDDU Vincenzo (a cura di), Le Arti Terapia in Italia, Roma, Edizioni Tecnostampa, 1994, pp. 127-134: p. 131, citato in MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, cit., p. 48.

56 LAPIERRE André – AUCOUTURIER Bernard, La simbologia del movimento, Cremona, Edipsicologiche, 1984, pp. 46-47, citato in MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, cit., p. 48.

psicomotorie, come la precisione del movimento o la rapidità. È un intervento volto allo sviluppo di una capacità motoria globale. Inoltre, il danzaterapeuta parte dalla consapevolezza che il movimento sia un fattore unificante per le diverse parti del nostro corpo e lavora quindi sulle emozioni in relazione alle strutture muscolari e al movimento attraverso cui gli individui si esprimono, esternando l’emozione e rielaborandola. Un altro elemento importante della danzaterapia è la simbolizzazione a livello corporeo. La disciplina è concepita come una forma di gioco, un momento simbolico dove esprimere sentimenti e conflitti, esprimendo le istanze più profonde, nonostante la capacità verbale non venga per forza usata. Inoltre, la danzaterapia influisce sull’immagine corporea e sulla stima di sé in maniera positiva, grazie al lavoro di gruppo e al rapporto tra paziente e danzaterapeuta57.

I principali orientamenti della danzaterapia

È difficile attribuire alla danzaterapia una definizione chiara perché essa racchiude più approcci diversi tra loro. Tra questi ne riconosciamo tre particolarmente importanti che hanno dato le linee guida per gli sviluppi futuri della disciplina: l’approccio analitico di impostazione junghiana; il metodo francese dell’Expression Primitive; il metodo di Maria Fux.

Il primo approccio che trattiamo prende vita dal lavoro e dalla metodologia di Mary Stark Whitehouse, danzaterapeuta che oltre a formarsi con artiste quali Mary Wigman e Martha Graham, ha anche una formazione psicoanalitica di tipo junghiano. La sua tecnica prende il nome di movimento autentico, «un movimento spontaneo e intrinsecamente legato alla persona, che si manifesta in un momento di improvvisazione.

[…] Attraverso il movimento autentico si entra in contatto con i contenuti più nascosti del nostro inconscio»58. Questo concetto trova le sue basi nell’immaginazione attiva, metodo di psicoterapia analitica definito da Jung e che consiste nel focalizzare le attenzioni sulle emozioni inconsce. La Whitehouse utilizza questo concetto applicato al movimento e lo sviluppa attraverso tre fasi: la liberazione del movimento che viene dall’inconscio, dove il soggetto si lascia andare agli impulsi interiori; l’integrazione tra i

57 Cfr. MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, cit., pp. 48-51.

58 Ivi, p. 53.

due diversi tipi di movimento, ovvero tra il movimento consapevole e quello dettato dall’inconscio e l’acquisizione di un equilibrio dinamico tra i due movimenti59.

A questo orientamento aderirono anche altri professionisti e professioniste, tra cui un’allieva della Whitehouse, Nancy Chodorow, danzaterapeuta, analista junghiana ed ex presidente dell’American Dance Therapy Association e la danzaterapeuta Anna Haplrin, fondatrice del metodo Life Art, del San Francisco Dancer’s Workshop e, nel 1978, del Tamalpa Institute60.

Un altro approccio della danzaterapia è l’Expression Primitive, un orientamento elaborato da Herns Duplan, danzatore haitiano che nell’elaborare la sua metodologia di danza prende spunto dagli insegnamenti di Katherin Dunham, una coreografa ed etnologa che studia i rituali delle società tribali. Duplan utilizza quindi elementi come il ritmo, la pulsazione, il suono, per elaborare una tecnica di danza che permetta la crescita personale e collettiva dell’essere umano61. Secondo Bellia nel termine Expression Primitive, primitive è una parola a cui Duplan attribuisce più significati: in primo luogo rimanda all’universale; in secondo luogo, si riferisce all’eredità lasciataci dall’uomo preistorico;

infine, fa riferimento alle strutture psichiche primarie62.

Secondo Duplan, attraverso la ricerca di movimenti, gesti, riti presenti universalmente nelle culture, si può mettere in atto un lavoro che porti a considerare la persona nella sua globalità e a fare un lavoro su di sé.

Non è semplice attribuire all’Expression Primitive una definizione chiara poiché, oltre a Duplan, sono stati molti gli studiosi che si sono avvicinati a questo approccio e che gli hanno attribuito nuovi obiettivi e tecniche, più orientati alla terapia, alla riabilitazione, alla psicologia. È il caso di studiosi quali Claude Lévi-Srauss o France Schott-Billmann. Quest’ultima, danzaterapeuta e psicoanalista, si pone in un’ottica di ricerca psicoanalitica e antropologica, unendo così la tradizione sciamanica dell’Expression Primitive con la psicoanalisi. Questa integrazione permette il crearsi di una relazione terapeutica con strumenti simbolici verbali e non verbali. La Schott-Billmann, inoltre, individua nell’Expression Primitive degli elementi costantemente

59 Cfr. PESERICO Manuela (a cura di), Danzaterapia: il metodo Fux, cit., pp. 126-130.

60 Cfr. MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, cit., pp. 54-55.

61 Cfr. ivi, p. 57.

62 Cfr. BELLIA Vincenzo, Danzare le origini. Expression Primitive, oltre la Danzaterapia, Catania, C.u.e.c.m., 1995, citato in MACALUSO Claudia - ZERBELONI Silvia, La danzaterapia, cit., p.

57.

presenti come: il gruppo; la voce; il minimalismo dei gesti; il rapporto con la terra; il ritmo63.

L’ultimo grande orientamento è quello scaturito dal metodo elaborato da Maria Fux, metodo che approfondiremo nel dettaglio nel prossimo capitolo.

2.3. La danzamovimentoterapia (DMT)

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