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Dalla punteggiatura lato sensu al punto e virgola

3. Punto e virgola

3.1 Dalla punteggiatura lato sensu al punto e virgola

La punteggiatura è le punteggiature: dimolte, dislocate, differenziate.

L’autonomizzazione della sua facies canonica, quella scritta, ci è utile al postutto per verificare che, in ballo, vi è forse un’autonomia ben più sostanziale: quella della punteggiatura lato sensu dal canale diamesico in cui compare. La medesima assolutizzazione del puntema, sfruttando gli agganci all’oralità consentitegli dal codice, ha dimostrato retroattivamente l’esistenza di un’interpunzione parlata altrettanto assolutizzabile: il che, va da sé, disinnesca le coordinate tradizionali con le quali si è soliti accomodare il fenomeno. Ritorna la domanda: che cos’è la punteggiatura, quella autentica? Se è vero, come dice Rossana Curreri, che «la punteggiatura è un elemento significante»228, noi, operando una lievissima modificazione consentitaci dal vocabolario lacaniano, potremmo asserire che essa è significante anche senza l’intermediazione dell’«elemento»: la punteggiatura è un significante229. Ma significante di che? Forti dell’interpretazione francese che vede nel puntema il negativo di un segno, e dunque un anti-segno, potremmo azzardarci a scorgere nell’interpunzione il significante di codesto negativo: del negativo della parola. Si tratta forse di un’attribuzione lessicale indebita? Forse; frattanto, però, se sciogliessimo cotesta capziosa dicitura, troveremmo probabilmente che essa nient’altro vuol significare se non lo specifico dello stile: è lo stile, il binario semovente su cui il discorso scorre in direzione contraria. Il qual discorso, formandosi nell’anzidetto tragitto, consentirà all’osservatore di individuare nei suoi vuoti il controcanto fondamentale: a prescindere dal canale. La punteggiatura, pertanto, significando l’assolutezza di essi vuoti, assurgerà a significante più accreditato dello stile: e, forse, di ogni stile.

A questo punto, una volta individuato il significante, qualora risolvessimo di condurre sino agli estremi l’anzidetta prospettiva – magari avvalendoci del lessico lacaniano -, varrebbe la pena soffermarsi sul suo Vorstellungreprasentänz230.

228 CURRERI, Ponctuation e punteggiatura allo specchio, p. 71. La stessa Curreri, parlando di «universalità artistica dei segni interpuntori», cita il seguente passo di Drillon: «On pourrait aussi bien leur trouver des équivalents transparents dans les autres arts, architecture et musique, notamment. N’importe quel musicien sait qu’une “phrase” de Mozart possède virgules, points-virgules, point d’interrogation, de suspension, d’exclamation, et même des tirets, des guillemets, qui en fixent la construction; de même les architectes savent que les fenêtres sont les virgules d’une façade, les colonnes les points-virgules d’un édifice, un fronton le point final…» (Ivi, pp. 78-79). Mentre nel caso della musica i segni interpuntivi avrebbero consistenza impalpabile, in architettura costituirebbe letteralmente le colonne portanti della costruzione. Materiale, immateriale: la punteggiatura pare possedere tutte le consistenze…

229 Consapevoli delle innumerevoli definizioni che ad esso sono state affibbiate, ci limitiamo a ricordare la concezione che vede nel «non essere qualcos’altro» l’essenza più propria del significante. La qual peculiarità, peraltro, fa sì che il segno «rappresenti sempre qualcosa per qualcos’altro» (vedi DI CIACCIA

A.,RECALCATI M., Jacques Lacan, Milano, Bruno Mondadori, 2000).

230 La nozione di «représentant de la représentation», che Lacan mutua da Freud, è per lo psicanalista parigino «strictement équivalent à la notion et au terme de signifiant» (LACAN, Le Séminaire VI, p. 66).

Ma come individuarlo? Al fine di affrontare più metodicamente la questione, ci svestiremo ora dell’abito psicanalitico per inoltrarci nello studio di un argomento che, sprovvisti del lessico adeguato, avremmo forse mancato di individuare.

In effetti, ricollegandoci al capitolo precedente, notiamo che la rassegna perseguita ha illustrato una fenomenologia longeva e sfaccettata, pregna di potenzialità e generosa in fatto di rimaneggiamenti. Nascendo secoli orsono ma rinnovantesi a tutt’oggi, la pratica dell’interpunzione assoluta ha il pregio di gettare luce su di un seme che, quand’anche non fatto germogliare, resta nondimeno presente al cuore della struttura paragrafematica. Conducendo alle sue estreme possibilità performative il nucleo di uno strumento, siamo in grado di rilevare tutto ciò che, pure non agendo in condizioni normali, è verosimile che riposi in profondità, presenziando impercettibile al dispiegamento regolare di una prassi.

Epperò non si tratta di assumere la ricorrenza del fenomeno in nome d’un’elevazione a sistema; né c’azzarderemo ora a privilegiare le connotazioni più dirompenti di un evento a scapito della sua destinazione abitudinaria. Se abbiamo estrapolato le potenzialità del corpo interpuntivo verificandone la condotta “sul campo”, l’ufficio è stato svolto con l’intento propedeutico di reindirizzare un discorso che, affrontato in linea retta, avrebbe forse difettato del genio dialettico. Piegando entro binari più canonici, avremo imperò la possibilità di riconsiderare il fenomeno alla luce di energie in esso sopite e purtuttavia vigenti: la traccia delle forze sprigionate in precedenza, nonostante il ripristino dello stato di quiete, non cesserà così di esercitare la sua influenza.

Intendendo riconsiderare la punteggiatura mercé la ricognizione effettuata, dovremo focalizzarci ora su di un aspetto che, pur descrivendola, rimane tuttavia circoscritto: pertanto, trattandosi di uno schieramento piuttosto nutrito, dovremo eleggere a rappresentante del gruppo un punto in particolare. Attraverso lo studio di un segno in ispecie, l’obiettivo è di mettere in evidenza caratteri tipici del complesso, tensioni cioè che circolano nella struttura di cui il singolo fa parte. La scelta del delegato, essendosi da scongiurare l’affidamento all’alea, assume perciò una rilevanza decisiva.

Nel corso del capitolo primo, di tanto in tanto231, è affiorata la presenza baffuta232di un punto che non ci siamo peritati di connotare ambiguamente. La coloritura attributiva non è di nostro conio233, né l’affacciarsi intermittente del puntema, come a singulti, ci pare casuale; sicché, anche a non considerare la sua natura ibrida, la sola discontinuità di cui parliamo potrebbe giustificare l’elezione del segno a luogotenente dell’insieme.

Senza farne il nome direttamente, affidiamo l’onere della presentazione all’ultima opera verbo-visiva che riproduciamo, sigillo della precedente rassegna iconica e overture della sezione presente234:

231 Si considerino, in particolare, le pagine 19 e 38.

232 Vedi nota 135 del presente lavoro.

233 Vedi nota 102 del presente lavoro.

234 L’opera è tratta da Biografie, plurigrafie, scritture a più codici, Udine, Campanotto Editore, 1989, p. 72.

L’opera, realizzata da Vitaldo Conte235, nomina senza tentennamenti il soggetto la cui introduzione avevamo fino ad ora procrastinata: ça va sans dire, il punto e virgola.

Svettando, maestoso, nell’immensità della pagina bianca, il meticcio

dell’interpunzione avverte d’una autarchia che sottende al contempo una sua totale svalutazione: abbandonato a sé stesso, egli è re di tutto e di niente; eclissato dagli usi, egli eclissa spicchi di realtà nient’affatto irrilevanti. Si ha come l’impressione che ivi,

235 «Oggi Vitaldo Conte può aspirare a buon diritto a cittadinanza internazionale. Nell’ambito delle tendenze più avanzate della poesia di ricerca europea, dell’integrazione parola-segno, l’operare recente di Vitaldo Conte del tutto autonomo e significante», dalla presentazione di CARLO BELLOLI, Ivi, p. 73.

all’altezza del punto e virgola, ci si giochi qualcosa di fondamentale: esso è in più, ed è dunque inutile? Oppure è di più, e quindi amplifica le potenzialità dell’interpunzione?

Il fatto d’isolare il segno specifico ad indicare la sparizione della punteggiatura, se da un lato testimonia di un impoverimento della lingua d’uso comune, dall’altro raffigura una porzione di realtà, immateriale ma visibile, in cui il duplice profilo del punto e virgola, disperso nel più albo degli oceani, è capace di ripristinare l’assetto nodale della compagine interpuntiva donde proviene: prima d’essere uno, esso è infatti bino: è il punto; ed è la virgola; è l’unico elemento che, solo che si palesi, rappresenta pure l’altro da sé: è la matriosca segnica sui cui focalizzeremo la nostra attenzione di qui in avanti.