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Dalla teoria alla pratica: le strategie preventive

Cap 2 – La prevenzione del consumo di droghe e alcol

2.3 Dalla teoria alla pratica: le strategie preventive

I paradigmi teorici di riferimento, discussi nel paragrafo precedente, rappresen- tano il «fondamento della conoscenza relativa ad una data tematica in virtù di spiegazioni che si consegnano a se stesse in attesa di conferma o smentita in base al procedimento empirico. […] La teoria […] si propone come prospettiva logica che consente l‟orientamento poiché include suggerimenti, linee di condotta, con- sigli pratici, possibilità attuative, prove circoscritte» [Cipolla 2004: 6].

Tuttavia, la teoria deve necessariamente integrarsi con altre due dimensioni, ossia quella dell‟empiria e della spendibilità33

. L‟empiria si configura come «spe- rimentazione che spesso simula il reale, come investigazione su o di qualche cosa, come processo relazionale che segue il ciclo metodologico dell‟informazione scientifica. Essa è vocazione allo scavo continuo, all‟indagare, all‟investigare nel- la prospettiva di un disegno strategico in grado di produrre e rappresentare cono- scenza, legittimando la teoria» [ibidem: 7]. La spendibilità completa l‟identità del- la sociologia ponendosi come investimento scientifico che si traduce in pratica ed entra nella vita corrente di una determinata società [ivi]. Ciascuna dimensione, pur godendo di autonoma legittimazione, vive in relazione alle altre secondo un ap- proccio di integrazione circolare. Pertanto, dopo aver riferito in merito alle teorie in materia di prevenzione, in questo paragrafo saranno presentate le strategie ope- rative che sono attualmente implementate in materia di prevenzione del consumo di droghe attraverso alcune riflessioni sull‟efficacia delle stesse, alla luce delle numerose ricerche condotte in questi ambito, nel raggiungimento degli obiettivo posti a monte della progettazione.

2.3.1 – L‟approccio informativo

Gli interventi che si rifanno all‟approccio informativo possono essere di tipo individuale (sportelli di ascolto, call center, etc.) volti a fornire supporto alle per- sone singole, oppure interventi rivolti a gruppi (interventi informativi nelle scuole, durante iniziative pubbliche rivolte ad un numero ristretto di persone) e, infine, le campagne mass mediatiche rivolte a grandi pubblici (sport, video, cortometraggi, cartelloni, etc.). Il comune denominatore è dato dal fatto che questi interventi mi- rano a colmare un deficit informativo. Come anticipato, infatti, questo modello considera la mancanza di informazioni quale motivazione principale volte a spie- gare il consumo di sostanze psicoattive.

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Sebbene la trasmissione di informazioni che mirano ad accrescere la consape- volezza dei rischi legati all‟assunzione di sostanze psicoattive e sulle modalità volte al contenimento dei rischi stessi rappresentano la strategia alla base di ogni intervento condotto nell‟ambito della prevenzione, risulta evidente come essa non sia sufficiente [CSAP 2001]. Per prendere atto dei limiti di questo modello teori- co, basti pensare come qualsiasi fumatore di tabacco sappia benissimo quali siano i rischi associati alla sua condotta, ma nonostante ciò non riesce a porre freno al consumo.

Per di più, alcuni studi hanno dimostrato che questo tipo di approccio non solo si è rivelato inefficace per la riduzione dell‟incidenza della tossicodipendenza, ma addirittura può provocare effetti iatrogeni, ossia aumentare i rischi34. Causa del fallimento è da rintracciarsi nel fatto che per modificare il comportamento la mera informazione non è sufficiente, dato che la condotta è funzione di altre variabili35 quali gli atteggiamenti, le credenze e le intenzioni36 nonché influenzata dal conte- sto ambientale. Inoltre, i messaggi informativi, soprattutto se fanno appello alla paura per il verificarsi di situazioni spiacevoli, creano quello che Gelmi et al. [2006: 56] chiamano l‟“evitamento difensivo”, ossia «una rimozione rispetto al contenuto del messaggio […] considerato spesso esagerato o inverosimile». In altre parole, i messaggi che utilizzano un tono minaccioso tendono a provocare una reazione di rifiuto.

Weinstein [1980] parla di ottimismo irrealistico per descrivere il fenomeno di distorsione cognitiva basato su un errore di giudizio circa la pericolosità dei rischi. Tale distorsione si esplica nel fatto che le persone tendono a collocarsi in uno sta- to di basso rischio rispetto ad altri soggetti coinvolti nella medesima situazione, ritenendosi sempre meno minacciati rispetto ad un generico individuo medio. Questa distorsione è necessaria per ridurre l‟ansia associata agli eventi e permette ai soggetti di conservare un buon livello di autostima. Riprendendo l‟esempio

34 Gli studi condotti sono numerosissimi per cui mi limito a citarne solo alcuni: Ashton [1999];

Werch, Owen [2002]; United States Government Accountability Office [2006]; Tobler [1986]; Tobler e Stratton [1997]; Sussman et al. [2004]; Ashton [1999].

35Sulla complessità dell‟agire, si veda anche il capitolo Morandi [2000] nell‟opera Principi di So- ciologia, curata da Cipolla [2000], nel quale sono illustrati i diversi approcci sociologici al tema.

L‟azione si configura quale «razionalità, non sempre tale ed egemone, che si applica nel concreto per rapporto ad una storia pregressa ed ambientata (motivi e causa di); in relazione a scelte valoria- li; per riferimento a regole e risorse accessibili in quella situazione; in collegamento con l‟agire di altri auto interpretati come etero; in connessione con l‟obiettivo che dà conto del perché e dei mo- tivi; […] [e come tale] risulta avvolta, ma non determinata, da sedimentazioni, regole, valori, con- dizionamenti di secondo livello» [Cipolla 1997: 247-252, lemma «Azione»].

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dell‟uso del condom citato nel § 2.2.1, richiamiamo le riflessioni di Weinstein, il quale ha condotto interessanti studi sulla percezione del rischio in relazione alla possibilità di contrarre l‟Aids: pur essendo questa malattia particolarmente diffusa anche tra eterosessuali, i soggetti tendono a considerarla ancora come malattia le- gata a particolari gruppi a rischio (omosessuali e tossicodipendenti). Questa con- vinzione porta a ridurre lo stato d‟ansia collegato al timore di contrarre il virus, ma, com‟è facile intuire, ciò comporta un falso ottimismo sulle probabilità reali di ammalarsi e non aiuta a mettere in atto comportamenti virtuosi in grado di scon- giurare l‟evento.

I soggetti tendono così ad attribuire a se stessi caratteristiche di invulnerabilità ed immunità personale. Le aspettative diventano sfuocate, con gravi ripercussioni negative sulle condotte e sulle conseguenze ad esse correlate che tendono ad esse- re sempre sottostimate. “Non può capitare proprio a me” pare essere un‟asserzione, assai diffusa, che riassume questo atteggiamento.

Un altro effetto iatrogeno connesso all‟approccio informativo consiste nel co- siddetto effetto boomerang che può essere generato dall‟aumento di curiosità ver- so la sostanza generato dalle maggiori conoscenze sulla droga [Ashton 1999; Fi- shbein et al. 2002].

Infine, si segnala anche il fenomeno della “devianza indotta” o “provocata”: dato che la società definisce quali sono i comportamenti devianti e antisociali, la trasmissione di informazioni sulle droghe può suggerire canali per ribellarsi alla società stessa essendo il consumo di sostanze psicotrope condannato dal sistema sociale [Polmonari 1993].

2.3.2 – Il modello educativo-promozionale

Gelmi et al. [2006: 11-12] definiscono i programmi preventivi afferenti al mo- dello educativo-promozionale come complesso di «interventi che mirano a svi- luppare capacità personali e risorse appartenenti ai singoli soggetti a cui il pro- gramma è rivolto». Le basi teoriche dei programmi educativo-promozionali pos- sono essere individuate in alcuni modelli di prevenzione, così come sintetizzati nel paragrafo precedente, che qui richiamiamo brevemente:

– social learning theory: secondo questo approccio, l‟agire è influenzato per lo più dagli “altri significativi” piuttosto che dalle nostre conoscenze o intenzioni [Bandura 1977]. Pertanto, l‟apprendimento deve avvenire attraverso l‟interazione con soggetti (modelling) a cui si attribuisce credibilità e stima i quali seguono un agire virtuoso. Inoltre, si attribuisce particolare valore alle

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capacità dell‟individuo di elaborare modelli cognitivi interni di esperienza uti- lizzabili come guide per l‟azione;

– normative belief: la popolazione giovanile tende a sovrastimare i consumatori di sostanze psicoattive e questo porta alla normalizzazione delle condotte. Per- tanto, un approccio di promozione alla salute dovrebbe correggere gli stereotipi ed i “falsi miti” connessi alla diffusione di droghe ed alcol [Hansen, Graham 1991; Perkins 2003; Page, Roland 2004; Bertowitz 2003];

– life skills theory: il fulcro dell‟attenzione si sposta dall‟acquisizione di cono- scenze all‟interiorizzazione di abilità come per esempio la capacità di prendere decisioni e risolvere problemi, l‟assertività, la resilienza [Botvin 1994; Botvin, Griffin 2004]. Secondo questo modello oggi ampiamente diffuso, soprattutto negli Usa e specialmente in ambito scolastico gli interventi preventivi hanno come obiettivo quello di determinare cambiamenti a livello di condotta, svilup- pando adeguate strategie di fronteggiamento (coping) e abilità che permettano di resistere alle influenze sociali mettendo in atto comportamenti salutari. Vediamo di approfondire e dettagliare queste strategie per quanto concerne i contenuti e le modalità operative.

In merito alla teoria dell‟apprendimento sociale, Maturo [2002], riprende la teoria del flusso informativo a due fasi di Katz[1957] che afferma come i mes- saggi top-down dei mass media debbano essere collegati alle trame di interazioni personali per poter dispiegare effetti positivi, contrariamente da quanto sostiene il modello ipodermico che si fonda sull‟idea di una trasmissione diretta dei messag- gi tra mezzo e ricevente. Per la precisione, si può affermare che i mass media pos- sono produrre sì un aumento di conoscenza, ma per poter modificare realmente i comportamenti – che di certo rappresenta l‟obiettivo più importante e di difficile realizzazione – i messaggi devono presentare un qualche collegamento con le trame di relazioni interpersonali. In altre parole: «I media informano, mentre le persone influenzano» [Maturo 2002: 240, corsivo dell‟autore, nda]. Di conseguen- za, i responsabili della comunicazione socio-sanitaria dovrebbero poter individua- re una élite di opinion leader che sappiano adottare i suggerimenti forniti per poi stimolare l‟estensione di tali comportamenti agli altri membri del gruppo, attra- verso un processo imitativo37. Questo potrebbe essere utile anche per far fronte ad un paradosso tipico della comunicazione socio-sanitaria, ovvero il fatto che i mes-

37 Maturo [2002] riporta un esempio operativo di quanto affermato che riguarda le campagne di

educazione alla salute rivolte agli immigrati: egli afferma che si potrebbero raggiungere migliori risultati se i messaggi fossero indirizzati agli immigrati che, in virtù della loro maggiore perma- nenza nel paese e per un più alto livello di istruzione, meglio potrebbero recepire quei messaggi e in seguito a ciò i benefici potrebbero essere estesi, attraverso emulazione, agli altri soggetti.

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saggi di promozione alla salute sono più facilmente recepiti da soggetti dotati di elevati capitali simbolici e culturali, mentre purtroppo gli stili di vita insalubri tro- vano maggiore diffusione tra le persone di basso ceto. Da quanto detto, risulta fa- cile intuire come la comunicazione abbia il potere di influenzare soprattutto gli stili di vita dei soggetti a basso rischio. L‟autore sottolinea come il rimedio a que- sto paradosso risieda in primo luogo nella differenziazione dei canali e della for- ma dei messaggi emessi in relazione al target di popolazione, attraverso un pro- cesso di segmentazione.

L‟approccio delle normative belief fa riferimento al modello normativo descrit- to nel § 2.2.3, secondo il quale, come anticipato, alcuni soggetti tendono a sovra- stimare la diffusione delle condotte a rischio e quindi ad agire in linea con esse in quanto ritenute normali [Bertowitz 2003]. La strategia preventiva che ne deriva (realizzata per lo più in ambito scolastico) cerca di correggere la distorsione co- gnitiva, ovvero a comunicare l‟effettiva diffusione tra i membri della comunità e tra coloro che fanno parte del gruppo dei pari di un certo comportamento [Perkins 2003]. Operativamente38, questa strategia di realizza sia attraverso interventi di prevenzione universale (es. campagne mass mediatiche realizzate con spot, po- sters, depliant, locandine, etc.) sia a livello di prevenzione selettiva (interventi “correttivi” per gruppi a rischio) sia a livello di prevenzione indicata attraverso azioni di supporto e di counseling a coloro che hanno già sviluppato condotte pro- blematiche [Bertowitz 2003].

Passiamo ora a considerare il terzo gruppo di interventi che fanno parte dell‟approccio educativo-promozionale. Per life skills si debbono intendere le abi- lità che mettono in grado il soggetto di fronteggiare le sfide della vita quotidiana, ovvero “sapere cosa fare e come farlo” e, soprattutto, “essere consapevoli di po- terlo fare” [Gelmi et al. 2006]. Secondo questo modello, la fruizione di alcol e droghe dipende da meccanismi maladattivi di coping, ovverosia di adattamento disfunzionale [Marlatt 1996] tale per cui la prevenzione opera nelle direzione di incremento delle capacità di fronteggiamento.

Questo approccio sottolinea come il possesso di tale abilità costituisca un fatto- re protettivo rispetto al rischio non solo di consumare sostanze psicoattive, ma rispetto a tutte le condotte che possono avere ricadute negative sulla salute.

L‟OMS pubblica nel 1993 il Documento Life skills education in schools che contiene l‟elenco delle abilità personali e sociali utili per gestire positivamente i rapporti tra il singolo e la comunità. Si tratta di competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le varie situazioni; di

38 Per approfondimenti su questa strategia si rimanda al alcuni siti: www.socialnorm.org;

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rapportarsi con autostima a se stessi, con fiducia agli altri e alla più ampia comu- nità (dalla famiglia, alla scuola, al gruppo degli amici e conoscenti, alla società di appartenenza, ecc). La mancanza di tali abilità socio-emotive può causare in parti- colare nei ragazzi e nei giovani, l‟instaurarsi di comportamenti negativi e a rischio in risposta a stress [WHO1993b].

Fig. 3 Effetti del tempo sull‟influenze delle life skills sul comportamento

Fonte: Boda, cit. in Gelmi et al. [2006: 14]

Il “nucleo fondamentale” delle skills of life è costituito dalle seguenti abilità e competenze [OMS 1993]39:

– Decision making (capacità di prendere decisioni): competenza che aiuta ad affrontare in maniera costruttiva le decisioni nei vari momenti della vita. La capacità di elaborare attivamente il processo decisionale, valutando le differenti opzioni e le conseguenze delle scelte possibili, può avere effetti positivi sul pi- ano della salute, intesa nella sua eccezione più ampia.

– Problem solving (capacità di risolvere i problemi): questa abilità permette di affrontare i problemi della vita in modo costruttivo.

– Pensiero creativo: agisce in modo sinergico rispetto alle due competenze so- pracitate, mettendo in grado di esplorare le alternative possibili e le conseguen- ze che derivano dal fare e dal non fare determinate azioni. Aiuta a guardare ol-

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tre le esperienze dirette, può aiutare a rispondere in maniera adattiva e flessibi- le alle situazioni di vita quotidiana.

– Pensiero critico: è l‟abilità ad analizzare le informazioni e le esperienze in ma- niera obiettiva. Può contribuire alla promozione della salute, aiutando a ricono- scere e valutare i fattori che influenzano gli atteggiamenti e i comportamenti. – Comunicazione efficace: implica il sapersi esprimere, sia sul piano verbale che

non verbale, con modalità appropriate rispetto alla cultura e alle situazioni. Questo significa essere capaci di manifestare opinioni e desideri, bisogni e pau- re e, in caso di necessità, di chiedere consiglio e aiuto.

– Capacità di relazioni interpersonali: aiuta a mettersi in relazione e a interagire con gli altri in maniera positiva, riuscire a creare e mantenere relazioni ami- chevoli che possono avere forte rilievo sul benessere mentale e sociale. Tale capacità può esprimersi sul piano delle relazioni con i membri della propria famiglia, favorendo il mantenimento di un‟importante fonte di sostegno socia- le; può inoltre voler dire essere capaci, se opportuno, di porre fine alle relazioni in maniera costruttiva.

– Autoconsapevolezza: ovverosia riconoscimento di sé, del proprio carattere, del- le proprie forze e debolezze, dei propri desideri e delle proprie insofferenze. Sviluppare l‟autoconsapevolezza può aiutare a riconoscere quando si è stressati o quando ci si sente sotto pressione. Si tratta di un prerequisito di base per la comunicazione efficace, per instaurare relazioni interpersonali, per sviluppare empatia nei confronti degli altri.

– Empatia: è la capacità di immaginare come possa essere la vita per un‟altra persona anche in situazioni con le quali non si ha familiarità. Provare empatia può aiutare a capire e accettare i “diversi”; questo può aiutare a migliorare le interazioni sociali per esempio in situazioni di differenze culturali o etniche. Inoltre, la capacità empatica può essere di sensibile aiuto per offrire sostegno alle persone che hanno bisogno di cure e di assistenza o di tolleranza.

– Gestione delle emozioni: implica il riconoscimento delle emozioni in noi stessi e negli altri; la consapevolezza di quanto le emozioni influenzino il comporta- mento e la capacità di rispondere alle medesime in maniera appropriata.

– Gestione dello stress:consiste nel riconoscere le fonti di stress nella vita quoti- diana, nel comprendere come queste ci influenzino e nell‟agire in modo da controllare i diversi livelli di stress.

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Fig. 4 – Il modello di sviluppo delle Life skills

Fonte: OMS [1993: 4]

Botvin [1994; con Griffin, 2004] è l‟autore di uno dei più noti programmi di prevenzione dell‟uso sostanze fondato sulle abilità sociali, il cui nome è Life Skills

Training Drug Abuse Prevention Program (http://www.lifeskillstraining.com),

pensato per gli studenti delle scuole elementari e medie inferiori. Il programma, nato specificatamente per la lotta al tabacco, è stato oggetto di numerose valuta- zioni con esiti alquanto positivi, derivanti soprattutto dal fatto che si fonda su un numero elevato di lezioni (30) che si dipanano su più annualità (2 cicli di sessioni di rinforzo a intervalli biennali).

Il programma suddivide i fattori di rischio esterni (ambiente, pari, mass media) e interni (sensation seeking40, ansia sociale, bassa autostima).

Scopo del programma è quello di rafforzare tutte le capacità che possono rap- presentare fattori di protezione rispetto al rischio di mettere in atto una condotta non virtuosa ovvero consumare sostanze psicoattive. Esempi di fattori di abilità sociali sono: assertività, problem solving, decision making, percezione delle nor- me, capacità di rifiutare l‟offerta di una sostanza, strategie per il controllo di emo- zioni negative quali ansia, rabbia e frustrazione.

Per promuovere le Life Skills, le strategie possono essere diverse, come per esempio: peer education, role playing, braistoriming, partecipazione attiva, as-

40 Zuckerman [1971] parla di sensation seeking, riferendosi con tale espressione all‟attrazione

verso esperienze che consentano al soggetto di vivere emozioni forti. L‟Autore sviluppa un test che permette di misurare tramite una scala (sensation seeking scale) la propensione al rischio di ciascun individuo. Questa scala comprende quaranta item suddivisi in quattro dimensioni che cor- rispondono a quattro sottoscale: DIS (Disinhibition), ovvero la disinibizione, soprattutto quella sociale; TAS (Thrill and Adventure Seeking), ovverosia la ricerca del brivido e dell‟avventura at- traverso, per esempio, sport non competitivi all‟aperto o attività che richiamano elementi di ri- schio; ES (Experience Seeking), che corrisponde alla ricerca di esperienza attraverso la mente e i sensi e uno stile di vita non convenzionale; BS (Boredom Susceptibility), che fa riferimento alla suscettibilità alla noia cioè la non piacevolezza di qualunque ripetizione di esperienza prevedibile e alla compagnia delle stesse persone.

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sunzione di responsabilità, cooperative learning, discussione tra gruppi [Gelmi et al. 2006].

Qualche riflessione merita la peer education, ovvero una strategia basata sul coinvolgimento di soggetti con caratteristiche analoghe a quelle del target destina- tario al fine di favorire processi di identificazione con l‟operatore e, conseguente- mente, l‟adozione di un comportamento virtuoso nei confronti della propria salute. Essa ha avuto ampia diffusione negli Usa a partire dagli anni Settanta e in Europa a partire dagli anni Novanta e si basa sull‟idea che l‟apprendimento imitativo con- dotto da pari, secondo modalità partecipative, interattive e spontanee, può rappre- sentare una buona strategia affinché i soggetti adottino un agire virtuoso seguendo l‟esempio dei leader. Si tratta di un approccio che favorisce il protagonismo gio- vanile, «un‟educazione ai giovani fatta da giovani» [Shiner 1999: 55], fondata sul presupposto che i destinatari possano adottare il comportamento di un compagno in quanto considerato esempio dotato di credibilità e perché condivide con lui lin- guaggi e codici. In altre parole, come già ampiamente discusso, il presupposto di questo approccio deriva dall‟evidenza che le esperienze vissute con gli altri o at- traverso modelli di altri possono determinare cambiamenti di comportamento, mentre gli interventi fondati sulla mera informazione agiscono sulle conoscenze ma non necessariamente influenzano le credenze, gli atteggiamenti e, soprattutto, i comportamenti [Tobler 2001; Sussman et al. 2004].

Un intervento di peer education si dovrebbe basare sui seguenti passaggi [Leo- ne, Ruffa 2006]: individuazione dei peer educator e loro formazione, realizzazio- ne dell‟intervento, valutazione dell‟intervento.

Per completezza euristica è necessario fare riferimento – seppure brevemente

– ai programmi che coinvolgono un mentore: si tratta di interventi che vedono co- involto un adulto competente e significativo che aiuta un giovane ad acquisite ri- sorse per sviluppare le proprie capacità e abilità attraverso un rapporto individuale di mutualità [Gelmi et al. 2006]. Questo approccio ha avuto diverse sperimenta- zioni soprattutto negli Usa, mentre pare meno diffuso in Europa.

2.3.3 – L‟approccio di comunità

Secondo Gelmi et al. [2006: 25] l‟approccio di comunità «pone maggiore at- tenzione alle determinanti ambientali del comportamento [tanto che] è possibile raggiungere gli obiettivi della prevenzione migliorando il contesto interpersonale e organizzativo di appartenenza di un individuo [come per esempio] la famiglia, la

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