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In questa sede risulta assai utile, per completare il quadro e fornire ulteriori spunti di riflessione, operare un riferimento a una figura che presenta tratti caratteristici in comune con il Data Protection Officer, ossia il R.S.P.P. (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione).

Questa professionalità, che opera nell'ambito della sicurezza sul lavoro, è disciplinata dal d.lgs n. 81 del 2008, agli articoli 31 e seguenti.

Analizzando le mansioni attribuite dalla legge al R.S.P.P., si comprende che il suo ruolo fondamentale consiste nell’ individuazione dei rischi che si possono concretizzare nel luogo di lavoro in base all'attività che vi sono svolte.

Il responsabile, al fine di evitare sinistri, fornisce consigli per assicurare l’incolumità dei lavoratori, predispone la formazione e l’elaborazione di misure di sicurezza, oltre a partecipare alle consultazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro121.

121 Così l’art. 33, c.1, d. lgs. 81/2008:

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In questo senso, la sua opera nel campo della sicurezza sul lavoro risulta similare a quella del Data Protection Officer in ambito privacy.

Non a caso chi aspira a svolgere queste funzioni deve possedere determinati requisiti ed esservi appositamente nominato, così come avviene per il D.P.O. 122.

Vi sono quindi delle forti similitudini fra le due figure, amplificate anche dal ruolo consulenziale svolto, seppur non esclusivamente, dal R.S.P.P.123, evidenziato anche dagli

Ermellini, che lo definiscono come “una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell’amministrazione dell’azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo delle eventuali negligenze del consulente è chiamato comunque a rispondere”124.

Risulta quindi utile ai fini dell’indagine svolta in questa sede andare a verificare come la giurisprudenza si sia mossa nel valutare quelle situazioni in cui si siano verificati illeciti tali da paventare ipotesi di responsabilità penale del R.S.P.P.

Se inizialmente l’inquadramento normativo del R.S.P.P. non aveva dato adito a dubbi circa l’assenza di responsabilità in capo al soggetto chiamato a svolgere questa funzione, con l'evoluzione normativa, segnata in particolare dal d.lgs. n. 81/2008, le cose hanno

a) all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale;

b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all'articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;

c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;

e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonche' alla riunione periodica di cui all'articolo 35;

f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'articolo 36”.

122 Cfr. art. 32 d.lgs. 81/2008.

123 È tuttavia doveroso segnalare che la disciplina del d.lgs. n. 81/2008 si caratterizza per una maggiore

specificazione e responsabilizzazione della figura del R.S.P.P. rispetto alla prima definizione data alla figura dal d.lgs 626/1994.

124 Cass. pen., sez. IV, 15 gennaio 2010, n. 1834, richiamata anche in Pascucci P. La consulenza e la

giurisprudenza, Relazione presentata al Convegno regionale su “Il lavoro e la salute nelle Marche: le

possibili strategie per un intervento comune”, organizzato dal Comitato regionale di coordinamento per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro delle Marche, Jesi, 27 settembre 2010 (http://www.cpt.sr.it/index.php?option=com_docman&task=cat_view&gid=66&limit=10&limitstart=1 0&order=name&dir=ASC&Itemid=87&jjj=1534795759063) ultima cons. 20.08.2018.

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iniziato a cambiare poiché, da semplice consulente che non necessitava di particolari attestazioni o competenze, l’ R.S.P.P. è divenuto un soggetto cui sono richieste una competenza specialistica e requisiti professionali tali da permettergli di fornire una prestazione qualificata e adeguata alla delicatezza della mansione svolta.

Questa evoluzione è stata gravida di conseguenze a livello giurisprudenziale.

Vari sono gli arresti che vengono in rilievo ma vale la pena citare, perché esemplificativa, la sentenza della Cassazione Penale, Sez. IV n. 2814 del 27 gennaio 2011.

Il caso de quo scaturisce dalla morte di un lavoratore addetto alla movimentazione di carrozze ferroviarie il quale, durante una manovra in retromarcia, era scivolato in una fossa di ispezione ed era rimasto poi schiacciato dalle ruote del mezzo.

In tale circostanza il R.S.P.P. era stato chiamato a rispondere sotto il profilo penale per non aver adeguatamente valutato i profili di rischio relativi a questo tipo di manovre, così che in capo allo stesso erano stati ravvisati “profili di colpa generica e specifica”125. In verità la stessa Corte non negava la posizione di garanzia detenuta dal datore di lavoro, sul quale comunque pende l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di produrre il documento relativo alle misure di sicurezza e di prevenzione, insieme e con la collaborazione del R.S.P.P.126.

Cionondimeno, la mancanza di un’esplicita previsione sanzionatoria in capo al R.S.P.P. non ne escludeva aprioristicamente la responsabilità penale.

Illuminante è un passaggio della sentenza ove la Corte così si esprime:

“relativamente alle funzioni che la normativa di settore attribuisce al RSPP, l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l'eventuale inottemperanza a tali funzioni - e segnatamente la mancata o erronea individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori- possa

125 Cassazione Penale, Sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 2814, fatto-diritto, capoverso 3.

126 Cfr. Cassazione Penale, Sez. IV, 17 dicembre 2012, n. 49031, citata in: Allegrezza R., La Responsabilità

penale del RSPP in “Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza

sulla sicurezza del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Urbino

"Carlo Bo", pg.1.

(http://www.cpt.sr.it/index.php?option=com_docman&task=cat_view&gid=66&limit=10&limitstart=1 0&order=name&dir=ASC&Itemid=87&jjj=1534795759063), ultima cons. 21.08.2018.

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integrare una omissione rilevante per radicare la responsabilità tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o male considerata dal responsabile del servizio”127

Sulla base di questa argomentazione e richiamando precedente giurisprudenza che aveva aperto la via alla corresponsabilità penale del R.S.P.P.128, la Corte arriva a stabilire la correità del R.S.P.P., in uno al datore di lavoro, per aver colposamente mancato al rispetto all’osservanza degli obblighi impostigli dalla legge, avendo fornito valutazioni rivelatesi inadeguate a fronteggiare i potenziali fattori di rischio presenti sul luogo di lavoro.

Un orientamento, questo, tutt’altro che peregrino e che è stato poi confermato nella giurisprudenza successiva129.

Quanto detto porta ad alcune riflessioni anche in relazione alla figura del Data Protection Officer.

Come accennato, le due figure hanno peculiarità simili, quali la necessità di una formazione specialistica e il possesso di requisiti professionali adeguati; inoltre il compito di supporto che offerto dal D.P.O. nei confronti del titolare del trattamento dei dati non appare così distante rispetto a quanto è tenuto a fare il R.S.P.P. nei confronti del datore di lavoro.

Il Data Protection Officer, come il R.S.P.P. non ha autonomia di spesa né poteri di gestione diretta, tuttavia il suo contributo specialistico risulta di fondamentale importanza ai fini delle decisioni da adottare in seno alla struttura.

Certamente le due figure non sono completamente sovrapponibili in quanto, come si è già avuto modo di considerare, i compiti del Responsabile del Servizio di Protezione e

127 Cassazione Pen., Sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 2814, fatto-diritto, capoverso 23.

128 In particolare, la Corte cita: “Sezione IV, 13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; Sezione IV, 15 febbraio

2007, Fusilli; Sezione IV, 20 aprile 2005, Stasi ed altro; di recente, Cfr. Sezione IV, 2 febbraio 2010, Proc. Rep. Trib. Gorizia in proc. Visintin ed altro”, ma anche “Sezione IV, 15 luglio 2010, Scagliarmi”.

129 Cfr. ex plurimis, Cassazione Pen., sez. IV del 03 Febbraio 2015, n. 12223; Cass. pen. sez. IV, 11 Marzo

2013, n. 11492; Cass. pen. S.U. 18 settembre 2014, n. 38343, queste ultime richiamate anche in Pascucci P., La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro: il titolo I del d.lgs. n .81/2008 dopo il Jobs Act, in “Quaderni di Olympus “(collana), Aras Edizioni, Fano, 2017, pp. 196-199.

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Prevenzione sono maggiormente dettagliati e stringenti rispetto a quanto, ad oggi, è previsto per il D.P.O.

Egli, a seguito degli interventi legislativi che si sono succeduti nel tempo è destinatario di obblighi specifici rispetto ai quali è, legittimamente, chiamato a rispondere.

Lo stesso non può dirsi per il D.P.O., che è tratteggiato come una figura che ha sì una serie di prerogative ma i cui obblighi giuridici appaiono più sfumati.

Al momento appare improbabile che in sede giurisprudenziale si dia luogo a un pieno parallelismo fra le due figure: la mancanza di un potere di organizzazione in capo al D.P.O., mentre lo stesso è rinvenibile in capo al R.S.P.P., rende difficile immaginare che ci si spinga sin da subito a riconoscere ipotesi di responsabilità a titolo colposo in capo allo stesso.

Cionondimeno, chi scrive ritiene che non sia peregrino immaginare uno sviluppo giurisprudenziale che nel tempo valorizzi il disposto normativo fino ad arrivare a risultati analoghi, sia facendo leva sul concetto di “sorvegliare l’osservanza”130 e sul compito di “considerare debitamente i rischi inerenti al trattamento”131 piuttosto che sul valore del parere fornito su richiesta del titolare in caso di D.P.I.A. o sullo svolgimento della stessa, così come fatto, nel caso del R.S.P.P. per il dovere di “individuazione dei fattori di rischio e valutazione dei rischi”132.