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di Davide Poli e Stefano Salmi

Nel documento /  UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA (pagine 165-187)

Notoriamente il regime corporativo instaurato in Italia fu modello per analoghe esperienze in alcuni paesi europei e latinoamericani. Meno ri-saputo è l’influsso che il modello costituzionale dello Estado Novo por-toghese ha esercitato oltre i propri confini. La comparazione dei sistemi corporativi da noi proposta, tra Italia, Portogallo e Slovacchia, intende evidenziare le analogie politiche e costituzionali sviluppatesi negli anni Trenta. Il modello politico italiano è stato il punto di riferimento princi-pale per gli altri due paesi, mentre la Costituzione portoghese è stata una delle principali Grundnormen per i costituenti slovacchi.

La Slovacchia tra modello italiano e modello portoghese

Il  marzo , al termine di alcuni giorni convulsi, che videro pro-tagonisti il governo tedesco e i principali leader nazionalisti slovacchi, fu proclamata dall’Assemblea provinciale slovacca l’indipendenza na-zionale. Questa decisione pose fine allo Stato cecoslovacco, così come si era venuto a delineare dopo gli accordi di Monaco del settembre . L’autonomia che venne concessa alla Slovacchia solo alcuni gior-ni dopo lo storico accordo tra le quattro grandi potenze europee, non era stata ritenuta sufficientemente ampia dalla leadership del Partito del popolo slovacco. Lo sbocco dell’indipendenza, oltre a coronare una battaglia politica quasi ventennale di questo partito, risultò gra-dito alla Germania nazista, che si affrettò a offrire la sua protezione alla neonata entità statale.

L’Assemblea provinciale slovacca, trasformata in Parlamento di uno Stato sovrano, elesse primo ministro Josef Tiso, leader del Partito del po-polo slovacco. I ministri del governo appartenevano al medesimo parti-to. Questa leadership si dedicò immediatamente all’elaborazione di una Costituzione e in pochi mesi la fece approvare. Il  luglio  venne promulgata una carta costituzionale che, per i suoi principi ispiratori e per i suoi assetti istituzionali, si avvicinava notevolmente alle

Costituzio-ni e agli ordinamenti istituzionali vigenti nella maggior parte delle na-zioni governate da regimi fascisti o di orientamento fascista.

Questo esito non fu casuale, ma dettato da profonde ragioni insite nella storia e nell’evoluzione del nazionalismo slovacco, così come fu espresso dal Partito del popolo slovacco, fondato il  novembre  da un gruppo di religiosi e laici, con il nome di Partito cristiano del popo-lo spopo-lovacco. Il suo leader storico, padre Andrej Hlinka, guidò il partito fino alla morte, avvenuta il  agosto . Il suo successore, anch’egli un religioso, fu Josef Tiso, destinato a guidare il processo che condusse pri-ma all’autonomia e poi all’indipendenza della Slovacchia.

Il carattere ideologico di questo partito – che per comodità chia-meremo Partito Hlinka– non era all’origine d’ispirazione fascista. I due aspetti fondamentali possono ricondursi a un nazionalismo sem-pre più radicale con il passare del tempo e a un’adesione senza dizioni alla dottrina sociale della Chiesa, nella sua tendenza più con-servatrice. La componente clericale del partito mantenne una posi-zione di preminenza sin dalla sua fondaposi-zione. Il Partito Hlinka non aveva i caratteri tipici dei movimenti fascisti, tanto è vero che tra il  e il  partecipò alla coalizione di governo cecoslovacca guida-ta da Antonin Svehla. Quesguida-ta esperienza di governo fu bruscamente interrotta a seguito dalla condanna per alto tradimento inflitta a un esponente di primo piano dell’ala nazionalista radicale del partito, Vojtech Tuka. Da quel momento in avanti i nazionalisti slovacchi si mossero con sempre più convinzione verso la tesi dell’indipendenza e della rottura dei rapporti con i cechi.

Non vi è dubbio che l’avvento del fascismo e di governi autoritari in gran parte dei paesi dell’Europa centro-orientale (e non solo) influì sulle posizioni dei dirigenti del partito: «sotto l’influsso dei successi di Mussolini e di Hitler, nell’HSLSsi formò un’ala giovanile con tendenze palesemente fasciste, diretta da Ferdinand Dˇ urcˇansky´ e da Alexander Mach». I legami del partito con gli altri movimenti fascisti europei si andarono intensificando. Basti qui ricordare che al congresso naziona-le del settembre  parteciparono denaziona-legati del NSDAP, del PNFe dei fa-scisti francesi. In questa occasione Hlinka espresse la sua grande am-mirazione nei confronti di Mussolini.

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. La sigla in slovacco era HSLS. Il nome del fondatore fu aggiunto sia a quello del par-tito, sia a quello della sua ala paramilitare: la Guardia di Hlinka.

. J. W. Borejsza, Il Fascismo e l’Europa orientale. Dalla propaganda all’aggressione, Laterza, Roma-Bari , pp. -.

Se i caratteri del Partito Hlinka non furono, almeno originariamen-te, definibili d’ispirazione fascista, le condizioni politiche interne e in-ternazionali al momento dell’ottenimento dell’indipendenza non pote-rono non condizionare le scelte sugli assetti costituzionali e sugli orien-tamenti politici. La Costituzione dello Stato slovacco lascia trasparire tendenze contraddittorie, possedendo elementi della tradizione demo-cratica liberale (soprattutto nelle garanzie formali dei diritti individuali e civili, artt. -) ma anche elementi più vicini alla tradizione autorita-ria, fascista e corporativa. Nella pratica politica, tuttavia, le garanzie e i diritti d’ispirazione liberaldemocratica restarono viepiù sulla carta e l’e-sercizio del potere si andò definendo sempre più come autoritario e di-scriminatorio nei confronti dei gruppi dissenzienti.

Come già accennato, sui caratteri della Costituzione slovacca influi-rono in modo determinante le esperienze degli Stati fascisti o d’ispira-zione fascista. In particolare i dirigenti slovacchi si orientarono sui mo-delli offerti dall’Austria (prima dell’Anschluss), dall’Italia e dal Porto-gallo. Diversi studiosi concordano su questo punto. Oltre all’ispirazione proveniente dall’Italia, primo regime fascista in Europa e, almeno sulla carta, grande potenza, è singolare come acquisì un piano di rilievo un paese come il Portogallo, quasi del tutto estraneo alle vicende politiche dell’Europa centro-orientale e sicuramente non una grande potenza a li-vello europeo (nonostante il possesso di varie colonie oltremare). Come sottolineano gli storici Wandycz, Jelinek e Borejsza, i politici slovacchi ricercarono direttamente negli assetti costituzionali e istituzionali dell’I-talia e del Portogallo esempi sui quali costruire uno Stato autoritario e corporativo. Lo storico polacco Piotr Wandycz, nel suo testo Il prezzo della libertà, asserisce esplicitamente che la Costituzione del  luglio  «seguiva il modello corporativo dell’Austria e del Portogallo». An-che Jelinek indica il Portogallo di Salazar, l’Austria e l’Italia, quali ispi-ratori dei costituenti slovacchi: «la Carta del lavoro italiana e le Costitu-zioni del Portogallo e dell’Austria fornirono gli esempi per un’organiz-zazione corporativa», che nelle loro intenzioni avrebbe realizzato pie-namente il “solidarismo cristiano” del quale si professavano discepoli. Sull’influenza del modello italiano in Slovacchia si sofferma anche Jerzy Borejsza, nel suo Il fascismo e l’Europa orientale, nel quale ricorda che «gli slovacchi vennero in cerca di suggerimenti fascisti per

l’elaborazio-L O S TAT O C O R P O R AT I V O 

. P. S. Wandycz, Il prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal

me-dioevo a oggi, il Mulino, Bologna  (ed. or. ), p. .

. Y. A. Jelinek, The Parish Republic. Hlinka’s Slovak People’s Party -, East European Monographs, Boulder , p. .

ne della Costituzione del nuovo stato; la quale, resa pubblica nel luglio , mostrò infatti molti punti in comune»con l’assetto dato da Mus-solini e dal fascismo alle istituzioni italiane.

Queste brevi osservazioni tratte dalle pagine di alcuni studiosi del-l’Europa centro-orientale ci indicano senza equivoci come gli slovacchi, nella costruzione delle nuove istituzioni, prestarono grande attenzione agli esempi provenienti dall’Italia e dal Portogallo, pur avendo i rappor-ti più stretrappor-ti, a causa dell’oggetrappor-tiva situazione geopolirappor-tica, con la Ger-mania nazista. A questo proposito Borejsza ci offre altri elementi utili, quando menziona un giudizio espresso da Tuka, il capo dei nazionalisti radicali slovacchi: «dei due tipi di stato autoritario, il fascista e il nazio-nal-socialista, quello italiano meglio si confà alla Slovacchia in quanto è riuscito a conciliare la concezione totalitaria con le tradizioni cattoliche della nazione». Come si può desumere, gli slovacchi percepivano il re-gime italiano come una sintesi tra tradizione e modernità, diversamente dal regime tedesco, che secondo molti di loro aveva aspetti neopagani che minacciavano il fondamento religioso cattolico della loro società. A questo proposito, solo a titolo di esempio, lo storico tedesco Hildebrand menziona l’enciclica del  marzo  «nella quale il Papa considerava con crescente disappunto la condizione della Chiesa cattolica nel Reich germanico [...] e attaccava il regime anticristiano».

A prescindere dalla fondatezza o meno di queste percezioni, non ri-sulta quindi bizzarro l’interessamento slovacco per il modello corpora-tivo italiano e per quello portoghese, due paesi cattolici, e la diffidenza nei confronti del nazional-socialismo tedesco. Non si dimentichi che Ti-so era un prelato cattolico e che la sua formazione lo avvicinava molto più a Salazar, anch’egli cresciuto in ambienti cattolici (e che aveva pen-sato anche di prendere i voti) che a Hitler. Per quanto riguarda Musso-lini, il concordato del  sembrava garantire corrette relazioni tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.

Gli italiani erano consapevoli delle opinioni benevole e ammirate dei nuovi dirigenti slovacchi verso l’Italia, tanto che l’emissario dei Comita-ti d’azione per l’universalità di Roma (CAUR) a Bratislava, Manlio Sar-genti, scrisse una relazione nella quale spiegava questa propensione slo-vacca, facendo presente le differenze d’impostazione tra nazismo e fa-scismo, nel campo della teoria e nella prassi costituzionale. Nell’esame  D AV I D E P O L I, S T E FA N O S A L M I

. Borejsza, Il Fascismo e l’Europa orientale, cit., p. . . Ibid.

. K. Hildebrand, Il Terzo Reich, Laterza, Roma-Bari  (ed. or. ; Ied. it. ), p. .

della Costituzione slovacca del  e nel confronto tra le istituzioni in essa delineate e quelle portoghesi e italiane, cercheremo di evidenziare soprattutto le analogie. È evidente che le differenze esistevano, date le diverse condizioni politiche, sociali, economiche e le diverse tradizioni storico-culturali. Un’attenzione particolare verrà rivolta al ruolo delle corporazioni e dell’idea corporativa nella Costituzione. Quale sviluppo ebbero le idee corporative nel campo della rappresentanza politica, del-l’organizzazione economica e sociale, degli assetti istituzionali? Cerche-remo di offrire alcuni spunti per avviare una comparazione concentran-doci, in primo luogo, sull’istituto parlamentare.

Rappresentanza corporativa e Parlamenti

Una delle ambizioni di diversi filoni del corporativismo era la sostitu-zione della rappresentanza politica di stampo liberaldemocratico con un concetto di rappresentanza corporativa. Sotto questo profilo il fascismo italiano giunse, seppure parzialmente, con incertezze e difficoltà, a co-stituzionalizzare la rappresentanza corporativa. La legge  gennaio , n. , sostituì la Camera dei deputati con quella dei fasci e delle corpo-razioni. Questa era formata dai componenti del Consiglio nazionale del

PNFe dai componenti del Consiglio nazionale delle corporazioni. Sicu-ramente, come sostiene il politologo Leonardo Morlino, la rappresen-tanza corporativa in Italia restò solo sulla carta, ma è altrettanto vero che in Portogallo e in Slovacchia non si giunse all’abolizione del Parlamen-to e alla sua sostituzione con un organo rappresentante, almeno in par-te, le corporazioni. È comunque da tenere in debita considerazione lo svuotamento del significato e della rappresentatività dell’istituzione par-lamentare nei tre paesi, a prescindere dall’affermarsi o meno del princi-pio della rappresentanza corporativa a livello costituzionale.

In Italia venne istituita nel  la Camera dei fasci e delle corpora-zioni, che prese il posto della Camera dei deputati, succedendole in quan-to organo legislativo supremo. E così il corporativismo italiano diventò puro, in apparenza, quanto quello portoghese si mantenne subordinato. Ma è una differenza fuorviante. È noto infatti che a Roma la Camera dei fasci e delle corporazioni dipendeva da Palazzo Venezia e l’Assemblea

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. Cfr. A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino  (I

ed. ), p. .

. L. Morlino, Autoritarismi, in G. Pasquino (a cura di), Manuale di scienza della

Nacional dalla sede del presidente del Consiglio Salazar a São Bento a Li-sbona. Non risiedeva quindi in queste due Camere il vero potere. Più im-portante che la differenza delle attribuzioni sembra essere quella delle composizioni. In Italia la Camera era oltre che delle corporazioni pure dei fasci e quindi era nel contempo diretta emanazione del PNF. In Portogal-lo la União Nacional era separata dalla Camera corporativa. La diversità che sussiste nelle composizioni si rivela solo attraverso la differente posi-zione nello Stato. Il PNFera un organo di Stato. La União Nacional por-toghese non lo era. Ma entrambi gli Stati erano direttamente rappresen-tati all’interno dei corpi in questione e li dominavano. «Si può anche ve-dere che la Camera corporativa portoghese iniziò a funzionare quasi al-l’inizio del sistema rispettivo, si riunì infatti per la prima volta nel ». Quella italiana nacque quasi alla fine del fascismo, ma non possiamo di-menticare che il Consiglio nazionale delle corporazioni nacque nel  e nel  fu riformato e divenne un organo costituzionale (presieduto da Mussolini che ne designava i membri), acquisendo competenze nella di-sciplina dei rapporti di lavoro, nel campo delle attività assistenziali, nella regolazione dei rapporti economici tra le categorie della produzione. In Portogallo il dominio dello stato è più malleabile. Il potere si esercita ma mai si mescola con altre istituzioni. Ora, questo ha due effetti: da un lato il suo destino non risulta indissolubilmente legato a quello dell’organizzazione corporativa. Può evolvere o cadere separatamente. Dall’altro lato l’organizzazione potrà se neces-sario essere relativamente autonoma. Se si eccettua la Camera corporativa, mai lo stato portoghese entra in maniera propria dentro gli organismi corporativi. È in questo contesto che l’assenza del partito unico incontra la sua ragione d’essere. Le modalità della scelta dei parlamentari garantivano ai regimi una ge-nerale acquiescenza, anche considerando lo svuotamento dei poteri ri-conosciuti al Parlamento, come testimoniano le leggi che in Italia raffor-zano i poteri legislativi del capo del governo. Il ruolo dell’elettorato nel-la scelta dei propri rappresentanti, anche prescindendo dagli episodi di brogli, che pure avvennero, era ridotto al minimo: un sì o un no a un li-stone formato da persone scelte da organismi non elettivi. In sostanza, l’esistenza o meno del Parlamento in simili regimi non stava a significa-re un’adesione ai principi della democrazia liberale, già ripudiati nelle forme di scelta dei suoi membri.

 D AV I D E P O L I, S T E FA N O S A L M I

. M. de Lucena, A evolução do sistema corporativo português, I: O Salazarismo, Per-spectivas & Realidades, Lisboa , p. .

Se in Italia alla fine si giunse ad abolire le residue vestigia della rap-presentanza politica, in Portogallo la Costituzione del  prevedeva una Camera corporativa che affiancava l’Assemblea nazionale. Ciò non deve trarre in inganno: l’art.  della Costituzione portoghese affermava che la sovranità risiedeva nella nazione e aveva come organi il capo del-lo Stato, l’Assemblea nazionale, il governo e i tribunali. La Camera cor-porativa, che rappresentava le autonomie locali e gli interessi sociali, era affiancata all’Assemblea nazionale, ma deteneva esclusivamente poteri consultivi sui progetti di legge presentati a quest’ultima, senza che il pa-rere fosse vincolante. È evidente che in questo caso non si era in presenza di una sostituzione della rappresentanza politica con quella corporativa, ma solo del riconoscimento di un ruolo complementare che i rappre-sentanti delle corporazioni (e delle autonomie locali) svolgevano nel processo legislativo. In Slovacchia la situazione era ancora più chiara. Il Parlamento (art. ) rimase il titolare della funzione legislativa (sebbene più nella forma che nella sostanza) e i tentativi di abolirlo da parte del-l’ala radicale del regime furono vani. Secondo i progetti deldel-l’ala filona-zista guidata da Tuka, allora primo ministro (il presidente era Tiso), il Parlamento doveva essere sostituito con un corpo rappresentativo svuo-tato di ogni prerogativa legislativa, che doveva essere di competenza go-vernativa. Anche le amministrazioni locali sarebbero state abolite, fon-dendole con gli apparati locali del partito. Questo progetto di revisione costituzionale fu sventato dall’alleanza tra Tiso, l’ala clericale del partito e la dirigenza del Parlamento, desiderosa di preservare i propri residui poteri. Il salvataggio del Parlamento slovacco fu più strumentale alla lot-ta politica in corso tra Tiso e Tuka verso il -, che alla difesa del ca-rattere parlamentare dello Stato slovacco.

In effetti il Parlamento aveva ben pochi poteri (artt. -), e quelli che aveva spesso erano disattesi e disapplicati. Un esempio significativo è quello che riguarda le decisioni sulla deportazione dei cittadini ebrei slovacchi. Il Parlamento si rifiutò di discutere il provvedimento che avrebbe consentito di avviare le deportazioni, ma il governo, sotto l’im-pulso di Tuka e Mach, procedette sulla base di un articolo del codice ebraico. Pochi mesi dopo, tuttavia, il Parlamento approvò una legge che limitava l’applicazione di tale codice e concedeva al presidente il potere di applicare eccezioni individuali, riducendo sensibilmente il numero dei deportati. Se si considera che il Parlamento slovacco era stato elet-to prima dell’indipendenza e che non si svolsero mai elezioni legislative

L O S TAT O C O R P O R AT I V O 

. Cfr. S. J. Kirschbaum, A History of Slovakia. The Struggle for Survival, St. Mar-tin’s Griffin, New York , pp. -.

durante i sei anni di vita del nuovo Stato, questa efficacia politica di un organo parlamentare scarsamente legittimato appare singolare.

Resta tuttavia discutibile il valore attribuito alla rappresentanza politi-ca dai dirigenti slovacchi, in quanto un emendamento alla Costituzione, ap-provato il  ottobre , autorizzò il presidente a nominare nuovi depu-tati a suo piacimento, prerogativa largamente utilizzata da Tiso per riempi-re il Parlamento di suoi seguaci. In questo modo non vi fu più necessità di nuove elezioni parlamentari, considerate alla stregua di uno «spreco di de-naro». Oltre ai poteri formali del Parlamento, per valutare l’importanza del principio della rappresentanza politica rispetto ad altre forme di rap-presentanza occorre considerare quali procedure erano adottate per sce-gliere i componenti delle assemblee. Nel caso italiano, prima della creazio-ne della Camera dei fasci e delle corporazioni, spettava al Gran consiglio del fascismo deliberare «sulla lista dei deputati designati». È vero che la legge  maggio , n. , attribuiva la facoltà di proporre candidati al-le confederazioni nazionali di sindacati al-legalmente riconosciute e ad altri enti morali legalmente riconosciuti e associazioni d’importanza nazionale, ma al Gran consiglio spettava il potere di selezionare tra i candidati pro-posti quelli da inserire nella lista unica, potendo pure attingere al di fuori delle proposte presentate. Di conseguenza la partecipazione degli interessi organizzati al processo elettorale (se così possiamo definirlo) si limitava al solo aspetto della proposta non vincolante di nominativi. Anche tenendo conto che del Gran consiglio erano membri di diritto i presidenti delle con-federazioni nazionali fasciste e delle concon-federazioni nazionali dei sindacati fascisti dell’industria e dell’agricoltura, ci sembra che il principio della rap-presentanza corporativa non fosse per niente realizzato. Allo stesso tempo anche il principio della rappresentanza politica era negato. Vi era solo la rappresentanza politica dei fascisti, o meglio del regime fascista.

Lo stesso discorso, con alcune varianti, può essere fatto nell’esem-pio slovacco. In questo caso l’organo che più assomigliava al Gran con-siglio italiano era definito Concon-siglio di Stato (artt. -). Anch’esso, co-me il Gran consiglio, aveva carattere costituzionale. La sua composizio-ne lo rendeva un organo espressiocomposizio-ne del governo, del partito e delle cor-porazioni. Infatti il Consiglio di Stato slovacco era composto da sei membri nominati dal presidente della Repubblica, dieci membri in rap-presentanza del Partito Hlinka, un membro per ognuno dei partiti del-le minoranze del-legalmente registrati e per ogni corporazione, dal capo del governo e dal presidente del Parlamento (art. ).

 D AV I D E P O L I, S T E FA N O S A L M I

. Cfr. Jelinek, The Parish Republic, cit., pp. -.

Vi sono diversi elementi interessanti da rilevare. In primo luogo il rango costituzionale del Partito Hlinka, peraltro confermato in un altro articolo della Costituzione, dove si specifica che «il popolo slovacco prende[va] parte al potere [...] attraverso il Partito del popolo slovacco Hlinka» (art. ). Il partito venne quindi inserito nella Costituzione, es-sendo rappresentato in un organo costituzionale. In ciò sussiste un’ana-logia con il caso italiano, almeno a partire dalla legge che costituziona-lizzò il Gran consiglio del fascismo, nel quale erano ampiamente

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