Le colate di detrito sono dei movimenti in massa che si innescano a seguito di precipitazioni intense e di breve durata (fattore innescante), tipicamente durante la stagione estiva e interessano versanti caratterizzati da pendenze elevate con una spessa copertura detritica (fattore predisponente). L’apporto di materiale è fornito dalle pareti rocciose spesso verticali, che alimentano le falde detritiche attraverso continui distacchi superficiali di roccia da superfici di discontinuità presso le quali è maggiore la degradazione del versante. Talvolta le frane di crollo possono contribuire in maniera cospicua all’alimentazione della falda detritica modificandone il profilo longitudinale e predisponendo il versante al dissesto (Favaretti et al., 2004).
I debris flows interessano spesso la rete idrografica secondaria, con bacini idrografici aventi un’estensione <30 km2
. Sono importanti agenti morfologici che contribuiscono al modellamento dei versanti tramite erosione a monte e deposito a valle tramite accumulo presso i coni alluvionali. Inoltre il materiale preso in carico dalle colate di detrito, può arrivare anche nei corsi d’acqua di ordine superiore causando ingresso di sedimento nelle aste idrografiche principali (Schlunegger et al., 2009).
I debris flows costituiscono un pericolo nelle aree di fondovalle dove sono ubicati centri abitati e passano vie di comunicazione, a causa della loro elevata velocità che può raggiungere i 10 m/s (30 km/h) accompagnata dalla quantità di materiale trasportato che può facilmente superare i 1000 m3 e arrivare fino a centinaia di migliaia di m3 (200.000 nel caso del debris flow del Monte Pelmo).
Si tratta quindi di fenomeni localizzati ma che necessitano di sistemi di monitoraggio e installazione di opere di protezione e
mitigazione del rischio. E’ a questo scopo che nelle Dolomiti è stata predisposta nel 1997 una rete di monitoraggio fissa presso il debris flow di Acquabona al fine di comprendere le condizioni meteorologiche e idrologiche che innescano il fenomeno (Berti et al., 2000). La rete di monitoraggio è composta da vari strumenti tra cui geofoni, telecamere, piezometri e sensori ad ultrasuoni che hanno permesso di stimare importanti parametri ai fini della previsione del rischio e della pianificazione territoriale (Galgaro et al., 2005). La stazione di
Fig. 2.2.1 – Curva granulometrica del detrito presente nel canale del debris flow di Acquabona: con a è indicato materiale proveniente dalla zona di innesco; con b quello prelevato nella zona di accumulo. Da Tecca & Genevois, (2009).
46 monitoraggio di Acquabona è considerata una stazione modello per tutti i debris flows della zona di Cortina e delle Dolomiti, grazie alle caratteristiche in comune come la litologia e i parametri morfometrici (Progetto UE-Tharmit EVG1-CT-1999-00012). In genere si distinguono 3 zone che compongono un debris flow: una zona di partenza o distacco, una zona mediana dove avviene il trasporto del materiale lungo il canale e una zona di accumulo al piede del versante.
Nella zona di distacco le pendenze sono più elevate e possono raggiungere 30-40° . Il materiale detritico è composto principalmente da blocchi di roccia (anche metrici), ciottoli, ghiaie e sabbie mentre limo e argilla non superano il 10% in peso. Nelle sottostanti zone di trasporto e deposito la pendenza diminuisce fino a raggiungere valori attorno a 7° e anche il contenuto in fine diventa più significativo costituendo fino al 30% in peso del materiale (fig. 2.2.1). La colata detritica si arresta nelle aree a basso gradiente dove perde velocità e contemporaneamente anche il contenuto d’acqua. Le colate detritiche possono essere del tipo “hillside flows” o “channellised debris
flow”: nel secondo caso la superficie di rottura interessa la copertura detritica presente
all’interno del canale che incide il versante. Successivamente il corpo di frana accresce il suo volume durante la discesa attraverso i contributi dati da materiale preso in carico attraverso erosione del letto e detrito proveniente dalle sponde.
Il meccanismo che porta all’innesco dei debris flow è collegato all’aumento delle pressioni neutre dell’acqua all’interno degli spazi tra i granuli di detrito che riducono la resistenza al taglio.
Sebbene si tratti di terreni molto permeabili, ci può essere una saturazione nei livelli più superficiali che porta ad una liquefazione del materiale. La saturazione può avvenire per blocco di infiltrazione in profondità per presenza di livelli di detrito più compattati e meno permeabili al di sotto di detrito sciolto oppure per risalita della falda freatica grazie all’apporto di acqua proveniente dal deflusso al di sopra del substrato roccioso. Ulteriori apporti idrici possono essere rappresentati da acqua che esce da fratture dell’ammasso roccioso, sorgenti carsiche oppure acqua di fusione di neve/ghiaccio.
E’ stato osservato più volte, tramite riprese da telecamera, come la liquefazione del detrito nell’area di innesco del debris flow di Acquabona, sia avvenuta. Inoltre la mobilizzazione di materiale all’interno del canale in questi casi è cominciata solo quando è iniziato lo scorrimento (runoff) di acque sul terreno, cioè quando la capacità di infiltrazione del terreno si era annullata (Berti et al., 2000).
Il tempo che intercorre tra il picco di precipitazione e l’innesco dei debris flow è nell’ordine di 35-45 minuti e corrisponde al tempo necessario affinché il detrito superficiale del canale nella zona di innesco, venga saturato (fig. 2.2.2). E’ possibile osservare questa discrepanza sovrapponendo ad un grafico cumulativo di
47 precipitazione, la pressione misurata all’interno dei pori del materiale nel canale del debris flow. Ad Acquabona è stato determinato l’incremento della pressione neutra, tramite dei trasduttori di pressione posizionati in piezometri, posti a varia profondità (0,5; 1 e 3,5 m) nel terreno.
Un fattore importantissimo nell’innesco dei debris flow è la quantità massima di precipitazione (in mm) che cade in 10 minuti. Nelle Dolomiti è stato notato come non si innescano colate di detrito con precipitazioni di entità inferiore a 4,9 mm /10 min (Floris, 2010). Sembra inoltre ci sia una correlazione diretta tra picco di precipitazione e volumi mobilizzati dal debris flow (Berti et al., 2000).
Ulteriormente interessante risulta la misura della resistenza al taglio del detrito di falda interessato da processi di debris flow (fig. 2.2.3). La prova di taglio diretto è in questo caso però possibile solo sulla frazione di materiale inferiore a 2 mm. Tuttavia la prova è significativa perché viene sottoposto ad analisi, la parte di ammasso con resistenza al taglio minore. Favaretti et al. (2004) hanno eseguito una prova di resistenza a taglio diretto su 3 provini rimaneggiati aventi pesi di volume crescenti. I campioni erano stati prelevati dal debris flow di Chiapuzza. Favaretti et al. (2004) hanno mostrato come la resistenza al taglio aumenti all’aumentare della densità del materiale e come l’inviluppo di rottura sia rettilineo e passante per l’origine. Vale quindi la relazione Mohr-Coulomb.
Nel lavoro di Favaretti et al. (2004) sono stati ricavati i valori di φ per l’angolo di picco e residuo ottenendo rispettivamente valori di 36-38° e 39-43°. Considerando un’inclinazione del versante (β) di 40° ed introducendo i valori di φ nelle formule del coefficiente di sicurezza:
Fig. 2.2.2 - Grafico di precipitazione cumulativa e innalzamento della pressione dei pori misurata in piezometri che corrisponde all’innesco di un debris flow ad Acquabona. Da Berti et al. (2000).
48 FS = tg φ/tg β (per pendio asciutto) e FS = ½ tg φ/tg β (in condizioni sature)
le condizione di stabilità si hanno solo con pendio asciutto, dove FS presenta valori accettabili.
Una volta che l’evento franoso è stato innescato, la colata detritica scende lungo il canale comportandosi come un fluido tipo Bingham (Tecca & Genevois, 2009). Non si assiste ad un’unica colata di detrito ma nell’intervallo di tempo interessato da un fenomeno di trasporto in massa da debris flow (circa 45 minuti (Tecca & Genevois, 2009)) si assiste alla discesa di più colate (anche 15-16 (Berti et al., 2000)) (fig. 2.2.4). E’ possibile osservare ciò da idrogrammi registrati al passaggio delle varie ondate tramite sensori ad ultrasuoni posizionati al di sopra del canale oppure da geofoni posizionati presso il canale.
Misure effettuate da geofoni, a varie stazioni, permettono di determinare la velocità
media del fronte della colata. Velocità basse (4 m/s) per i primi surges e velocità più
elevate per surges successivi (7 m/s) indicano differenti concentrazioni di frazione solida all’interno di una stessa colata: il fronte della colata è quello che presenta velocità più basse mentre “la coda” presenta velocità più elevate per minor concentrazione di materiale grossolano.
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