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il debutto ieri a Torino per MiTo, oggi si replica a Milano

TORINO

Un’ora o poco più, come c’era da aspettarsi dal nome del progetto: The Kilowatt Hour. Tanto è durato il concerto di ieri di David Sylvian, Christian Fennesz e Stephan Mathieu a Torino, nell’ambito del festival MiTo (si replica oggi a

Milano, poi Pescara il 21, Roma il 22 e Bologna il 24). Per la loro prima data italiana, i tre si sono esibiti alle OGR, vecchie officine riparazioni di treni: uno scenario post-industriale, perfetto per una musica sempre al confine tra rumore e silenzio, ma anche per le immagini siderali proiettate sul megaschermo dietro il palco. L’enorme sala è immersa nel buio, i tre musicisti sono solo silhouette, illuminate un attimo alla fine del concerto per gli applausi.

The Kilowatt Hour ha debuttato appena dieci giorni fa in Norvegia, ma la serata scorre senza incertezze, anche perché è strutturata in una base registrata o riprodotta con computer, su cui i tre musicisti improvvisano dal vivo un solo lungo brano. Ci sono voci, suoni, persino un frammento di canzone (Sinatra, Only The Lonely), ma pare di capire che il concetto di fondo sia il viaggio, o meglio il racconto di un viaggio. Frequenti gli interventi vocali dello scrittore Franz Wright, frammenti registrati dei suoi poemi in prosa Kindertotenwald, ma anche note inedite che parlano di malattia, morte, redenzione.

David Sylvian non è nuovo a questi temi nei suoi brani, ha frequentato a lungo la musica ambient, e certo non è alieno a esperimenti di improvvisazione dal vivo. Tutte vie di fuga dalla canzone tradizionale, che pure ha praticato con risultati a volte memorabili (i primi tre dischi solisti, la notissima Forbidden Colors con Ryuichi Sakamoto, ma anche Do You Know Me Now?, l’ultimo singolo appena uscito). Con The Kilowatt Hour siamo invece dalle parti delle due collaborazioni con Holger Czukay (Plight and Premonition e Flux + Mutability), o degli strumentali di Gone To Earth. Produzioni di oltre vent’anni fa, apprezzate al tempo come tentativi di scoprire nuovi approcci alla musica, ancora oggi interessanti e piacevoli, ma che difficilmente saranno ricordate come pietre miliari della sperimentazione in campo elettronico.

Anche allora c’era lo stesso mix di suoni di sintesi e naturali, di elettronico e acustico, di casualità e programmazione. Erano diversi gli strumenti e le procedure, diversa la consapevolezza di Sylvian, diversi i compagni di avventure (uno era tra i fondatori dei Can, band elettronica tedesca degli anni settanta, l’altro Robert Fripp, mente dei King Crimson). Ma il metodo era simile: “I pezzi che ho creato con Holger erano opere che evolvevano molto naturalmente senza nessun ricorso alla nozione standard di

performance in sé”, spiega David Sylvian. “Ciò che venne catturato fu il tentativo, il passo incerto, l’evoluzione sinuosa di un’idea prima che si solidificasse nella mente, materia del processo di auto-editing, pratica e performance nel senso di qualcosa di imparato a memoria e ripetuto con enfasi emozionale. Noi obliteravamo l’elemento di esecuzione laddove minacciava di strisciare nell’improvvisazione. Se dovesse portarmi dietro qualcosa dall’esperienza passata, forse sarebbe questo tipo di esercizio”.

Con Sylvian al pianoforte a coda, Fennesz che manipola la chitarra, Matthieu che inventa suoni e rumori, The Kilowatt Hour suona a tratti affascinante, a tratti noioso. E nel complesso un po’ delude: forse sarebbe stato d’aiuto poter leggere i testi di Wright, forse un’installazione dal vivo anziché un concerto sarebbe stata più adatta al mix di parole e musica. Così com’è, invece, rischia di rimanere un esercizio estetizzante e un po’ freddo.

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La Stampa - The Kilowatt Hour, un’ora di musica ai confini del silenzio http://www.lastampa.it/2013/09/19/spettacoli/the-kilowatt-hour-unora-...

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