iam glorificati sunt
(De corr. et grat., 9.23)
Certus est numerus electorum,neque
augendus neque minuendus
(De corr. et grat., 13. 39)
Come abbiamo già appreso nei capitoli precedenti la nuova teologia di Agostino, inaugurata nell‟Ad Simplicianum, sfocia fatalmente nella dottrina della predestinazione. Agostino infatti, una volta constatata la condizione necessariamente peccaminosa dell‟uomo decaduto, individuava come soluzione imprescindibile l‟intervento di una grazia efficace per sé stessa, che producesse nei beneficiati quei meriti dei quali non erano autonomamente capaci. Questa grazia, evidentemente, non universalmente elargita, presupponeva una elezione divina dei suoi prescelti; una predestinazione non più risolvibile, come nella teologia del presbiteriato, in mera prescienza. Solo i chiamati secondo il decreto (secundum
propositum) sono chiamati per essere eletti e ricevono la perseveranza. Essi sono
pertanto i veri figli della promessa: non sono considerati figli di Dio i figli della
carne, ma come discendenza sono considerati solo i figli della promessa262.
Agostino considera infatti due differenti condizioni della natura umana: la prima è quella nella quale l‟uomo fu creato da Dio, innocente, retta e sana; e senza alcuna concupiscenza; la seconda è quella in cui l‟uomo è precipitato dopo il peccato di Adamo e l‟abbandono da parte di Dio. Una natura, quest‟ultima, ammorbata dalla cupidigia, ottenebrata nello spirito, moralmente abominevole e attratta irresistibilmente dalle creature. Nello stato d‟innocenza Dio nutriva la volontà di salvare tutti gli uomini che dimostrassero di volerlo, e per questo fornì tutti della grazia sufficiente a conseguire la salvezza (posse non peccare), che tuttavia non donava loro la perseveranza infallibile. Sappiamo che Adamo usò nel modo peggiore il suo libero arbitrio, rifiutando la grazia ricevuta e ribellandosi volontariamente a Dio. In questo modo infettò l‟intera umanità che fu soggetta all‟ira del Signore: tutta la posterità era divenuta massa dannationis.
Pascal espone negli Ecrits l‟agire divino dopo la caduta dell‟uomo, come rappresentato dalla dottrina agostiniana: <<Trovandosi tutti gli uomini in questa massa corrotta ugualmente degni della morte eterna e della collera di Dio, Dio poteva con giustizia abbandonarli tutti senza misericordia alla dannazione. E tuttavia Dio volle scegliere, eleggere e discernere in questa massa ugualmente corrotta e dove non scorgeva che demeriti, un numero di uomini di ogni sesso, età,
condizione […] Dio ha separato i suoi eletti dagli altri per via di ragioni sconosciute agli uomini e agli angeli e per una pura misericordia senza alcun merito>>263.
Dio pertanto separa questa massa interamente colpevole, salvandone una parte con una volontà assoluta ed irrevocabile fondata sulla sua pura e gratuita misericordia; mentre abbandona l‟altra nella dannazione in cui versa in seguito al peccato originale, e nella quale poteva con giustizia lasciare l‟intera umanità264.
Questo atto gratuito di redenzione si attua attraverso l‟incarnazione di Gesù Cristo. Dio invia il figlio per donare ai suoi eletti la grazia medicinale che li guarisca dalla concupiscenza: <<la grazia di Gesù Cristo che non è altra cosa che la soavità e il diletto nella legge di Dio, sparsa nel cuore dallo Spirito Santo, che non solo eguaglia, ma sopravanza la concupiscenza della carne […] e così il libero arbitrio, sedotto dalla dolcezza e dai piaceri che lo Spirito Santo gli ispira, più che dall‟attrazione del peccato, sceglie infallibilmente da sé la legge di Dio, per il solo motivo che vi trova più soddisfazione e che vi avverte la propria beatitudine e felicità>>265.
Ecco dunque come si manifesta la discretio divina; gli eletti sono <<quelli a cui Dio ha voluto donare la grazia>> (ivi), i chiamati secondo il decreto, i figli della promessa. Si impone a questo punto una riflessione sul modo in cui Agostino e, il suo fedele commentatore, Pascal intendono la predestinazione divina. Appare evidente dal testo degli Ecrits che Agostino non professi la doppia predestinazione; Dio infatti elegge con volontà assoluta soltanto alla salvezza, mentre esercita la sua giustizia, dannando il resto dell‟umanità, con volontà condizionale, attraverso la sua prescienza delle colpe dei reietti: la dannazione proviene quindi dalla volontà degli uomini e non da quella divina266.
In pratica il decreto predestina alla salvezza coloro che Dio dichiara suoi eletti; laddove non danna preventivamente tutti gli altri, ma si limita ad abbandonarli alla loro condizione peccaminosa, lasciandoli fare; non soccorrendoli267. Resta in ogni caso sul tavolo la questione più scandalosa: se cioè per Agostino Gesù Cristo sia morto per tutti gli uomini o solamente per i predestinati.
1. Lo Spirito interprete della Scrittura
Prima di penetrare in profondità la quaestio capitale sopra esposta è tuttavia utile soffermarci su di un aspetto non secondario della dottrina agostiniana: l‟ermeneutica del testo sacro. Questo perché nella teologia matura del dottore
263 B. Pascal, Scritti sulla grazia, cit., pag. 147. 264 Cfr., B. Pascal, Scritti sulla grazia, cit., pag. 140. 265 B. Pascal, Scritti sulla grazia, cit., pagg. 147-148.
266 Cfr., B. Pascal, Ecrits sur la grâce, in Œuvres complètes, cit. Br., XI, 138: <<Dieu a une volonté
absolue de sauver ceux qui sont sauvés et une volonté conditionnelle et par prévision de damner les damnés, et que le salut provient de la volonté de Dieu, et la damnation de la volonté des hommes>>.
267 Cfr., Ph. Sellier, Pascal et saint Augustin, cit. pag. 259: <<le Créateur se borne à abandonner des
africano l‟atto esegetico (che peraltro non è circoscrivibile alla sola interpretazione della Bibbia) appare strettamente connesso alla dottrina della predestinazione.
Abbiamo visto come nel De doctrina christiana il linguaggio allegorico, spesso oscuro, della Scrittura veniva giustificato con il proposito divino di accendere la curiosità della libertà umana, o di attrarre (adlicere) il lettore268: si tratta della nozione dell‟exercitatio, che evidenzia il travaglio salutare che le oscurità del Libro impongono al fedele. Ma Ph. Sellier rileva come la teoria dell‟exercitatio costituisse solo una parte della dottrina: <<per il vescovo di Ippona il mondo è diviso in due città: gli eletti e i reprobi. Ora è chiaro che solo gli eletti traggono profitto dalla lettura della bibbia, perché la grazia li ha resi umili […] quanto ai reprobi, Agostino ripete senza tregua che Dio li ha accecati, che li ha abbandonati alle loro cupidigie carnali. E uno degli aspetti della loro cecità concerne manifestamente la comprensione della Scrittura>>269.
Nell‟opera dell‟episcopato il santo dottore concepisce quindi le difficoltà interpretative del testo sacro come l‟accecamento che Dio opera nei confronti dell‟umanità decaduta, la cui intelligenza è incapace di attingere naturalmente la verità rivelata: <<Egli dirigeva il cuore degli evangelisti e ne suggeriva i ricordi? È stato infatti lui, e non altri, a porli nella sommità più alta e autorevole della Chiesa, permettendo insieme che proprio per quelle loro affermazioni che possono apparire contraddittorie molti vengano accecati (e sono coloro che vengono abbandonati perché seguano le voglie insane del loro cuore e relativi sentimenti riprovevoli), mentre molti sono stimolati ad affinare la propria intelligenza e la propria pietà. Non è da vedersi in tutto ciò un tratto dell'occulta giustizia dell'Onnipotente? Come dice il profeta rivolto al Signore: Troppo profondi sono i tuoi pensieri, e l'insipiente
non li conosce, lo stolto non li comprende >>270. Soltanto la grazia di Cristo può squarciare il velo della lettera e illuminare le facoltà conoscitive dell‟uomo
postlapsario; solo il dono gratuito dello Spirito opera nell‟intelligenza dell‟eletto la
retta interpretazione delle sacre scritture, nonché la comprensione dell‟intero creato come opera di Dio. Ecco come Agostino nelle Confessioni si rivolge al Signore: <<che io trovi favore presso di te, affinché si aprano i recessi delle tue parole, a cui busso […] Fammi udire e capire come in principio creasti il cielo e la
terra>>271.
268 Cfr., De doctr. Christ. II, 6, 7-8.
269 Ph. Sellier, Pascal et saint Augustin, cit. pag. 393. Trad. nostra; Cfr., Ibidem pag. 420: <<Tous ces
charnels sont des aveugles. Ils vivent dans la nuit. Pour eux, l‟Ecriture n‟est pas cette « lampe ardente » dont parle le psaume 118, qui permet à l‟homme de diriger se pas dans les ténèbres du monde. Elle est couverte d‟un voile opaque, que seul Jésus-Christ peut ôter. Seuls les cœurs purs comprennent clairement les Ecritures>>.
270 De cons. Evang. III, 13. 48.
271 Conf. XI, 2, 4; 3, 5. Cfr. De cons. Evang. III, 13. 48: <<Marco, che ritenne opportuno disporre i
fatti conforme a lui suggerito dall'ispirazione divina. Le reminiscenze degli scrittori sacri sono infatti sottoposte alle direttive di colui che, come sta scritto, sistema le acque come meglio crede. Quanto invece alla memoria dell'uomo è noto che ondeggia da un pensiero all'altro, e nessuno può determinare cosa gli sovvenga nei diversi momenti. Se quindi si va a indagare sul modo di procedere di quegli uomini santi e veritieri, è da ritenersi che abbiano affidato i loro ricordi, di per sé casuali e contingenti, al potere misterioso di Dio, dinanzi al quale nulla è fortuito, perché stabilisse lui l'ordine della narrazione. Ora se le cose stanno davvero così, nessun uomo che non voglia allontanarsi del tutto dagli occhi di Dio per vagare lontano da lui sarà mai autorizzato a dire: " La tal cosa doveva essere collocata in questo e non in quel posto ", dal momento che non sa assolutamente per qual motivo Dio l'abbia fatta
Qui Agostino confessa la virtù ermeneutica del testo sacro come dono assoluto della grazia, infatti la possibilità di una giusta esegesi della Scrittura è totalmente dipendente dall‟atto redentivo che lo Spirito opera nel cuore e nell‟intelligenza degli eletti. Il rifiuto di Dio da parte dell‟uomo lapso dipende invero dalla perversione della sua volontà, sanabile solo dalla grazia medicinale di Cristo; ma sappiamo che per Agostino la volontà domina sempre l‟intelletto, pertanto finché la volontà dell‟uomo permane corrotta questi non è in grado di recepire rettamente la
Veritas del Libro. Agostino conclude che lo Spirito è l‟unico, vero, interprete della
Scrittura:
Parlò nel Vangelo mediante la carne e risuonò esteriormente alle orecchie degli uomini, affinché credessero in lui e lo cercassero in sé e lo trovassero nella verità eterna, ove il buono e unico Maestro istruisce tutti i suoi discepoli. Ivi odo la tua voce, Signore, la quale mi dice che chi ci parla ci istruisce, chi non ci istruisce, per quanto parli, non ci parla. Ora, chi ci istruisce, se non la verità immutabile? Anche quando siamo ammoniti da una creatura mutabile, siamo condotti alla verità immutabile, ove davvero impariamo, ascoltando immoti272.
Vediamo in questo passo riaffiorare la vecchia dottrina (pre-episcopato) del Maestro interiore, ma con una decisiva differenza: la conversione all‟interiorità è adesso assolutamente dipendente dal gratuito atto di misericordia dello Spiritus. Nel primo Agostino il magister intus docens era perennemente operante e universalmente disponibile per il libero arbitrio dell‟uomo che si rivolgesse alla sua interiorità; nell‟Agostino post-episcopato invece l‟atto che consente l‟accesso all‟illuminazione interiore non riposa più nell‟autonomia dell‟uomo, ma coincide con l‟irrompere indisponibile e non universale della grazia di Cristo che rischiara l‟interiorità dei soli predestinati273:
Chi potrà comprenderlo? chi descriverlo? Cos'è, che traspare fino a me e mi colpisce il cuore senza ferirlo? Timore e ardore mi scuotono: timore, per quanto ne sono dissimile; ardore, per quanto ne sono simile. La Sapienza, la vera Sapienza traspare fino a me, squarciando le mie nubi, che mi ricoprono, quando nuovamente mi allontano da lei, entro l'alta foschia del mio castigo […] Chi può, ascolti la tua parola dentro di sé; io fiducioso griderò col tuo oracolo274.
Agostino nelle Confessioni invoca il Signore perché gli conceda il dono di comprendere il vero senso della parola divina aldilà del velo della lettera che lo cela. Egli scopre così una profonda analogia tra l‟atto creativo e quello redentivo e intravede nell‟opera della creazione descritta dalla Genesi l‟allegoria di quel movimento salvifico che sarebbe stato compiutamente realizzato da Cristo: Così è sempre lo Spirito che - per pura volontà creatrice - prima forgia ex nihilo la materia
scrivere lì e non altrove. In effetti, se il nostro Vangelo è - come dice l'Apostolo - coperto da un velo, lo
è per coloro che vanno in perdizione. E già prima aveva detto: Per gli uni siamo odore di vita che conduce alla vita, per gli altri odore di morte che conduce alla morte >>.
272 Conf. XI, 8, 10. Cfr. De cons. Evang. II, 70, 137: <<essendo la verità, è lui che parla anche in quei
casi in cui a parlare sono dei cattivi, inconsapevoli di quello che affermano. Ciò egli fa muovendo la mente dell'uomo con un impulso segreto; e la cosa non è da ascriversi a meriti umani ma al potere che Cristo ha per la sua onnipotenza. È inoltre possibile che quelle persone non fossero inserite invano nel corpo di Cristo come sue membra, ma lo erano così profondamente che la loro voce poté essere attribuita a colui del quale esse appunto erano membra>>.
273 Cfr. G. Lettieri, L’altro Agostino, cit. pagg. 439-440. 274 Conf. XI, 9, 11.
informe, e poi forma l‟embrione della creatura spirituale: <<Quali meriti aveva nei tuoi confronti la materia corporea per esistere, sia pure invisibile e confusa? Non sarebbe esistita nemmeno così senza la tua creazione, né poteva prima meritare da te l'esistenza, poiché inesistente. Quali meriti aveva nei tuoi confronti l'embrione della creatura spirituale per fluttuare, sia pure, tenebrosa e simile all'abisso, dissimile da te, finché ad opera della parola medesima non fosse rivolta verso il medesimo suo creatore, e ad opera della sua illuminazione non fosse fatta luce, conforme, se non uguale, a una forma uguale a te?>>275.
Viene ribadita l‟assoluta gratuità dell‟operare divino che nella sua azione redentiva, come in quella creatrice, non tiene conto di alcun merito, in quanto non esistono meriti dei quali tenere conto. Occorre sottolineare come le numerose similitudini che Agostino imposta nelle Confessioni sono tutte finalizzate ad evidenziare la caratteristica essenziale dell‟agire di Dio, che consiste in un atto volontario di separazione (tu solus dividis)276 operato all‟interno di una materia informe e indistinta: il giorno dalla notte; il cielo dalla terra; la terra arida dal mare; e infine le creature spirituali da quelle carnali. Ora questo agire divino che con volontà assoluta crea e separa ogni materia da Lui tratta fuori dal nulla, si esprime, per Agostino, nell‟incessante operare dello Spirito alla realizzazione dell‟eterno decreto: nella Genesi lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque plasmando il mondo dalla materia informe della creazione; dopo l‟incarnazione di Cristo il Paracleto trae fuori dalle tenebre indistinte degli uomini decaduti la creatura di luce dell‟eletto - la terra arida assetata dell‟acqua dello Spirito:
Anche presso di noi nel suo Cristo Dio creò il cielo e la terra, ossia i membri spirituali e carnali della sua Chiesa ; anche la nostra terra prima di ricevere la forma della dottrina era
invisibile e confusa, e noi eravamo immersi nelle tenebre dell'ignoranza, perché hai ammaestrato l'uomo per la sua cattiveria e i tuoi giudizi sono un abisso profondo. Ma poiché il tuo spirito era portato sopra l'acqua, la tua misericordia non abbandonò la nostra miseria. Dicesti: "Sia fatta la luce: fate penitenza, poiché il regno dei cieli è vicino. Fate penitenza: sia fatta la luce".
Nell'intimo turbamento della nostra anima ci siamo ricordati di te, Signore, dalle rive del
Giordano e dal monte uguale a te, però rimpicciolito per noi. Provammo disgusto delle nostre
tenebre e ci volgemmo verso di te: e fu fatta la luce. Ed eccoci un tempo tenebre, ora invece luce
nel Signore277.
L‟azione dello Spirito è quindi compresa da Agostino come il manifestarsi del decreto divino, il compiersi di quella discretio - incomprensibile agli uomini - istituita ab origine dalla volontà predestinante di Dio, che rivela adesso - nei suoi eletti - i figli della promessa:
275 Conf. XIII, 2. 3; Ibidem 3. 4: <<Sed sicut non te promeruerat, ut esset talis vita, quae illuminari
posset, ita nec cum iam esset promeruit te, ut illuminaretur. Neque enim eius informitas placeret tibi, si non lux fieret non existendo, sed intuendo illuminantem lucem eique cohaerendo, ut et quod utcumque vivit et quod beate vivit, non deberet nisi gratiae tuae, conversa per commutationem meliorem ad id, quod neque in melius neque in deterius mutari potest; quod tu solus es, quia solus simpliciter es, cui non est aliud vivere, aliud beate vivere, quia tua beatitudo es>>.
276 Conf. XIII, 14, 15.
277 Conf. XIII, 12, 13; Cfr. Ibidem XIII, 7, 8: <<Iam hinc sequatur qui potest intellectu Apostolum
tuum dicentem, quia caritas tua diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum, qui datus est
nobis, et de spiritalibus docentem et demonstrantem supereminentem viam caritatis et flectentem genua
pro nobis ad te, ut cognoscamus supereminentem scientiam caritatis Christi. Ideoque ab initio supereminens superferebatur super aquas>>.
Fin dal mattino sarò in piedi a vedere la salvezza del mio volto, il mio Dio, che vivificherà anche i nostri corpi mortali grazie allo spirito che abita in noi, misericordiosamente portato sopra
il fiotto tenebroso della nostra intimità. Da lui abbiamo ricevuto in questo pellegrinaggio il pegno di essere presto luce. Ormai siamo salvati nella speranza e figli della luce e figli di Dio, non figli
della notte e delle tenebre, come un tempo. Fra questi e noi tu solo, nella perdurante incertezza
della scienza umana, operi la separazione: poiché vagli i nostri cuori e chiami la luce giorno e le
tenebre notte. Chi ci discerne, se non tu?. Ma cosa abbiamo, che non abbiamo ricevuto da te? Vasi d'onore, fummo tratti dalla medesima massa, da cui furono tratti anche altri, vasi di spregio278.
Allo stesso modo la discretio divina opera la separazione nella società umana, costituendo la Civitas Dei e distinguendola dalla comunità dei perversi, gli uomini abbandonati alla loro (umanamente) irredimibile vanità. Non occorre ripetere ancora una volta che il discernimento divino è operato indipendentemente dalle creature che, come abbiamo visto, costituiscono tutte un‟unica massa peccati. Qui il vescovo di Ippona utilizza l‟allegoria delle acque amare e della terra arida. Dio creando il mare separa da esso la terra arida: il mare rappresenta la massa peccati, abbandonata da Dio ai suoi desideri carnali e quindi alla dannazione279; la metafora della terra arida raffigura invece coloro che sono assetati dell‟acqua dello Spirito e, pertanto, predestinati da Dio alla salvezza: <<Chi riunì le acque amare in una massa sola ? Tutte infatti hanno il medesimo fine: una felicità temporale, terrena, per cui fanno ogni cosa, pur fluttuando nell'infinita varietà delle loro cure […] Invece le anime assetate di te, che appaiono alla tua vista, le distingui con un fine diverso dalla massa del mare, le irrori con riposta e dolce fontana, affinché pure la terra dia il suo frutto: dà il suo frutto la nostra anima e germina per tuo ordine, Signore Dio suo, secondo la sua specie, le opere di misericordia, amando il prossimo e soccorrendolo nei bisogni materiali>>280.
Agostino configura da parte di Dio la formazione di due tipologie di creature; esse dovevano assolvere fini diversi, e pertanto sono state dotate di volontà difformi: una assetata di Dio, in quanto indebitamente giustificata; predestinata alla salvezza nonostante la sua colpa originaria. L‟altra, invece, dotata di una volontà