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Lampedusa, le rivolte arabe e la crisi del regime confinario europeo

3. Definire l’emergenza

Il governo italiano, soprattutto attraverso il suo Ministro dell’interno Roberto Maroni, è stato il principale protagonista del processo di definizione dell’emergenza, solo che, come accennato, nel fare ciò si è dovuto confrontare con una serie di limiti politici e istituzionali che hanno concretamente strutturato il suo campo d’azione e la sua strategia discorsiva. Quest’ultima, inoltre, per risultare efficace ha dovuto essere calibrata secondo una diversa varietà di repertori semantici in base all’interlocutore principale del processo di securitarizzazione. Quello che si registra analizzando i documenti ufficiali e la rassegna stampa del periodo, è che il Ministro Maroni (e il governo per estensione) ha oscillato tra una posizione in cui vestiva i panni del “ministro della protezione civile”, cavalcando la logica dell’”emergenza umanitaria” ed una in cui vestiva i panni del “ministro delle polizie” spingendo verso una decisa securitarizzazione della crisi. Tali oscillazioni sono state chiaramente dettate dalla diversa maniera di relazionarsi con i suoi interlocutori istituzionali per la gestione della crisi a livello sopranazionale e subnazionale da un lato, e la maggioranza politica che sostiene il governo dall’altro,

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spingendo il governo ad attingere alternativamente ad una riserva simbolica che faceva appello, non senza ambiguità, ora al tema della sicurezza umana dei migranti, ora a quello canonico della sicurezza nazionale.

La strategia discorsiva del governo è stata abbastanza chiara. Laddove si trattava di confrontarsi con le istituzioni europee, per ottenere supporto tecnico e finanziario, o la possibilità di derogare alle ordinarie procedure di controllo alla frontiera e per il rilascio dei titoli di soggiorno previste dal codice Schengen attraverso l’avvio delle procedure di protezione straordinaria previste della Direttiva 2001/55/CE, l’enfasi è stata posta sul piano dell’”emergenza umanitaria”, lasciandosi andare a dichiarazioni esplicitamente allarmistiche soprattutto quando è esplosa la crisi libica. Il governo ha fatto ripetutamente riferimento al rischio di una “migrazione epocale”, o addirittura di “dimensioni bibliche”, azzardando in molti casi anche previsioni circa il numero di profughi che l’Italia si sarebbe trovata costretta ad accogliere ed accusando esplicitamente i suoi partner europei di inerzia politica.

Siamo davanti ad un esodo biblico e di fronte a questo l’Europa non sta facendo nulla. Tace: non ho sentito il presidente Barroso dire qualcosa. L’Italia è stata lasciata da sola (…) le persone che scappano da un Paese allo sbando hanno diritto a una protezione internazionale.20

Laddove invece i principali interlocutori politici del governo erano gli enti locali, chiamati a collaborare nella gestione dell’emergenza e ad accettare la violazione delle ordinarie procedure di decisione politica per mezzo della nomina di commissari speciali dotati di pieni poteri, la retorica discorsiva del Ministro e dei sui più stretti collaboratori è stata quella della “catastrofe umanitaria”, con espliciti richiami alle situazioni in cui una calamità naturale impone unità d’intenti e decisioni rapide.

D’altronde, la crisi tunisina è una catastrofe umanitaria, come dopo un terremoto. E proprio come dopo un terremoto noi dobbiamo procedere. Stessi criteri di assistenza.21 Se va avanti così rischiamo di superare gli 80mila arrivi. È per questo che l’intervento è necessario e urgente. Questa crisi è come il terremoto d’Abruzzo, per questo abbiamo mobilitato la protezione civile.22

Né a livello europeo, né a livello locale gli interlocutori istituzionali del governo italiano sono stati convinti dalla retorica discorsiva dell’emergenza umanitaria, proponendo una lettura alternativa della crisi.

A livello sopranazionale gli attori coinvolti sono stati in parte ambigui nella definizione dell’emergenza. La Commissione si è inizialmente dimostrata possibilista rispetto all’avvio della procedura di protezione straordinaria, facendo alcune concessioni rispetto al supporto richiesto con insistenza dall’Italia. Tale insistenza ha tuttavia successivamente indotto la Commissione a sminuire la portata dell’emergenza e sottolineare l’adeguatezza del supporto fornito per gestire la situazione, spingendo verso un inquadramento della crisi di Lampedusa come un afflusso di immigrati irregolari certo particolarmente significativo, ma nondimeno gestibile per mezzo degli ordinari

20 Roberto Maroni, Corriere della Sera, 14 febbraio 2011.

21 Prefetto Giuseppe Caruso, Commissario speciale all’emergenza sbarchi, Il Messaggero, 14 febbraio 2011.

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strumenti messi a disposizione dalla politica migratoria europea. Tale è stato invece l’orientamento seguito sin dal principio da parte del Consiglio dell’Unione europea, soprattutto per bocca dei rappresentati dei governi dei paesi membri, decisamente orientati a sminuire l’emergenza e ridurla ad un’ordinaria questione migratoria che l’Italia avrebbe il compito e gli strumenti per affrontare, seppure con il doveroso supporto delle istituzioni europee.

La posizione assunta dalle istituzioni europee ha finito, in sostanza, per proporre un frame interpretativo in base al quale l’afflusso di persone dalla Tunisia, per quanto particolarmente intenso, non è considerabile alla stregua una “crisi umanitaria”, né può giustificare l’attivazione di strumenti straordinari, da riservare al caso degli eventuali profughi che potrebbero arrivare dalla Libia. Le persone sbarcate a Lampedusa dall’inizio del 2011 sono state così trattate alla stregua di migranti economici comuni giunti irregolarmente sul territorio europeo, persone da sottoporre alle ordinarie procedure di identificazione ed espulsione di cui le forze di polizia italiane sarebbero tenute a farsi carico. Una definizione simile dei fenomeni in atto è stata peraltro sin dal principio proposta dall’UNHCR, per bocca della sua rappresentante in Italia Laura Boldrini, che ha parlato di un tipico caso di mixed migration in cui, accanto ai normali migranti economici, vi sono alcuni potenziali richiedenti asilo. I suoi interventi pubblici sono sempre andati nella direzione di un invito ad abbassare i toni ed evitare eccessivi allarmismi, rafforzando in questo senso il frame interpretativo che veniva proposto dalle istituzioni europee.

L’Italia ha già dato prova d’essere pronta a gestire flussi migratori importanti. Negli anni ‘90 decine di migliaia di albanesi sbarcarono da noi al crollo del regime. E nel ‘99 arrivarono sulle coste pugliesi 35 mila kosovari. Non so valutare le minacce di Gheddafi. Posso dire però che il flusso tunisino ha già una componente europea. I migranti tunisini sono giovani, hanno motivazioni economiche, dicono di voler esercitare il loro diritto alla libertà, non credono al cambiamento politico del paese e temono che la fuga del turismo aggravi la povertà. La maggior parte guarda alla Francia, all’Olanda, non all’Italia23.

Il rifiuto del frame dell’emergenza umanitaria è stato ancora più deciso, se pure per ragioni opposte, da parte degli interlocutori del governo che si muovo a livello subnazionale. In questo caso la spinta è stata immediatamente nel senso di una decisa securitarizzazione della crisi migratoria in atto. Gli enti locali, supportati in molti casi dalla maggioranza politica che appoggia il governo, hanno, infatti, invocato una completa assunzione di responsabilità da parte del Ministero dell’Interno, auspicando l’adozione di misure di sicurezza straordinarie per bloccare l’afflusso o limitare il rischio per l’ordine e la sicurezza che i “clandestini” giunti sul territorio nazionale sono supposti rappresentare. I riferimenti alla pericolosità presunta dei migranti in arrivo, alla loro natura di “falsi rifugiati”, sono stati ricorrenti, soprattutto da parte degli esponenti politici degli enti nel cui territorio in cui il governo pensava di creare strutture di accoglienza.

Lampedusa non è invasa da rifugiati politici o disperati, ma da tunisini che fuggono da un territorio nel quale è ripresa la vita normale e sono state riaperte le aziende: lo so perché laggiù lavorano tante imprese venete. Laggiù la vita è tornata alla normalità. C`è un’evidente ripresa delle attività imprenditoriali. E quindi se arrivano da lì significa che sono clandestini. Che vanno portati nei CIE e poi espulsi. Quelli che arrivano con le

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scarpe da ginnastica firmate, il giubbottino all’occidentale e il telefonino in mano di sicuro non è gente che può chiedere asilo politico (…) Gli italiani sono indignati da questo spettacolo. Barconi di vera emergenza umanitaria, in passato, ne abbiamo visti tutti: erano carichi di gente di ogni tipo, donne, vecchi, bambini. Oggi sbarcano soltanto ragazzi di 25-35 anni senza famiglia che appaiono in carne, ben messi e non così sprovveduti. Qualche barcone così posso anche capirlo; questi invece sono tutti maschi che sborsano duemila euro agli scafisti per fare la traversata.24

Sulla medesima lunghezza d’onda si è posta la maggioranza di governo, soprattutto gli esponenti del partito della Lega Nord, spingendo sin dal principio verso una più decisa securitarizzazione delle migrazioni e inasprendo il tono delle loro dichiarazioni a partire dallo scoppio della crisi libica. In questa fase il controcanto costante delle dichiarazioni del governo che evocava la catastrofe umanitaria sono state le richieste di praticare un “blocco navale” per impedire lo sbarco dei profughi in arrivo, i respingimenti di massa e il trattenimento generalizzato nei centri per migranti dei nuovi arrivati. Tanto che lo stesso Ministro Maroni, soprattutto quando si trattava di giustificare la parziale militarizzazione delle operazioni di soccorso o ancora calmare gli animi del suo elettorato e dei governatori “amici” in vista dell’apertura di campi e centri di accoglienza, si è lasciato andare a dichiarazioni nel senso di una più schietta securitarizzazione dell’emergenza alludendo al fatto che gli sbarcati potessero essere criminali scappati dalle galere o, peggio, potenziali terroristi che tentano di infiltrarsi; comunque soggetti da sottoporre ad uno stretto di controllo di polizia alla stregua di “clandestini” comuni25

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Più ambiguo in questo frangente è stato invece il ruolo dei professionisti della sicurezza impegnati a dare esecuzione alle direttive del governo. Questi hanno manifestato una chiara tendenza a contrastare, nei limiti della loro possibilità di intervenire nel dibattito pubblico, la tendenza da parte di alcuni attori politici ad invocare un’emergenza securitaria. Ciò, probabilmente, per due ordini di ragioni: da un lato perché le misure straordinarie proposte da alcuni esponenti politici avrebbero esposto coloro che sono chiamati concretamente ad attuarle a rischi eccessivi dal punto di vista della sicurezza professionale, apparendo come misure al limite della realizzabilità pratica oltre che giuridica; dall’altro perché una delle strategie discorsive tipiche dei burocrati della sicurezza è quella di rilanciare all’opinione pubblica un’immagine tranquillizzante di efficienza e professionalismo che chiaramente contrasta con la logica dell’emergenza.

“Siamo pronti a qualunque impatto”, dichiarava ad esempio il prefetto Ronconi, responsabile della polizia delle migrazioni e delle frontiere, “ogni immigrato sarà accolto e avrà un posto, com’è sempre accaduto finora.”26

D’altra parte però, è possibile mantenere il controllo della situazione solo nella misura in cui l’occhio delle forze di sicurezza è sempre vigile per prevenire i rischi d’infiltrazioni criminali e terroristiche, che da sempre i burocrati della sicurezza vedono annidarsi nelle migrazioni. Per questo la retorica discorsiva degli esperti di sicurezza implica una permanente securitarizzazione delle migrazioni, anche senza invocare misure eccezionali. “Siamo in un’emergenza umanitaria”, ribadiva il prefetto, “ciò non significa rinunciare alla lotta all’immigrazione clandestina”; soprattutto quella agli

24 Luca Zaia, Governatore della Regione Veneto, Quotidiano Nazionale, 24 marzo 2011. 25 Si vedano La Repubblica del 15 e del 17 febbraio 2011; La Stampa del 15 febbraio 2011. 26 Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2011.

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“stranieri delinquenti”. La gestione della prima accoglienza viene tinta così di toni esplicitamente securitari, in una strana mescolanza di primo soccorso e analisi dei rischi: “all’arrivo siamo presenti subito insieme alle associazioni umanitarie, con i mediatori culturali che lavorano con noi. I mediatori aprono il dialogo con i migranti e riconoscono la loro lingua. Così ci consentono di identificare rapidamente la loro nazionalità”. In pochi attimi bisogna riconoscere tra gli sbarcati i potenziali sospetti, scafisti, trafficanti di essere umani o addirittura potenziali terroristi infiltrati; il tutto con discrezione, cercando di non farsi ingannare da chi dissimula: “partono i colloqui dei nostri uomini, con tutti. Tra noi c’è chi parla, ma soprattutto chi osserva: occhi e orecchie ben aperte. Pochi agenti, massima osservazione (…) e nessuno può sfuggire!”27

Il linguaggio dell’emergenza utilizzato dal governo italiano è stato volutamente ambiguo, evitando una precisa definizione della crisi di Lampedusa secondo un frame puramente umanitario o securitario. Certamente tale ambiguità è stata dettata da ragioni di opportunismo politico, consentendo al governo di negoziare una soluzione della vicenda con diversi interlocutori istituzionali. In particolare si è tentato di esportare a livello europeo un linguaggio dell’emergenza tipico del contesto politico-giuridico italiano, con i suoi continui richiami alla catastrofe umanitaria, per giustificare una deroga alle ordinarie regole che disciplinano l’accesso dei cittadini dei paesi terzi allo spazio Schengen. Tale tentativo veniva condotto in parallelo ad una definizione schiettamente securitaria della crisi, resa necessaria dal confronto con gli interlocutori politici nazionali e sub-nazionali del governo, che finiva per mescolare pericolosamente le esigenze di protezione umanitaria degli immigrati sbarcati, con le esigenze di ordine pubblico tout court. La vicenda ha prodotto un esempio particolarmente interessante del potenziale securitario che il linguaggio della protezione umanitaria può assumere allorché viene cooptato dagli attori politici statali, aprendo la strada meccanismi emergenziali di governo in cui il beneficiario delle misure di sicurezza adottate tende a confondersi28. Nella retorica e più ancora nella prassi emergenziale del Governo italiano, non è mai stato chiaro, infatti, se le misure adottate fossero dettate dalla necessità di rispondere ai bisogni di protezione umanitaria dei migranti sbarcati a Lampedusa, ovvero al bisogno di protezione della cittadinanza messa in pericolo dall’afflusso incontrollato di immigrati.