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La definizione legale e le tipologie

Il lavoro intermittente dopo il Jobs Act

3.2. La definizione legale e le tipologie

La nuova disciplina del lavoro a tempo parziale è contenuta nella Sezione I del Capo II del D. Lgs. n. 81/2015, rubricata “Lavoro ad orario ridotto e flessibile”. Alla disciplina del part-time sono dedicate nove disposizioni, corrispondenti agli artt. 13-18. Esse confermano di fatto la disciplina dell’istituto come è stato regolamentato dal D. Lgs. n. 276/2003, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 e dalla legge n. 99/2013131.

Il contratto intermittente viene definito dall’art. 13, in linea con la normativa precedente, come «il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un

lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa». Il Jobs Act si è riproposto di ridefinire la disciplina del lavoro a chiamata, sia

per cercare di incentivarne l’utilizzo (visto il limitato successo di questa forma contrattuale in Italia, soprattutto a causa della sua limitata praticità), sia per fissarne in modo chiaro i limiti, i casi di utilizzo, la forma e il contenuto del contratto, nonché «lo

specifico ambito operativo del contratto collettivo applicato da parte dell’azienda»132.

Un primo aspetto da considerare riguarda la conferma della natura subordinata del lavoro intermittente. Questa natura risulta confermata dalla collocazione di tale contratto nella Sezione II del Capo II del “Codice dei contratti”, vale a dire nell’area dei contratti di natura subordinata133. La Cassazione ha precisato, infatti, che

«l’occasionalità e discontinuità della prestazione non escludono, quindi, che il contratto intermittente presenti un carattere subordinato «quando questi caratteri siano connessi

significative in ordine alle clausole elastiche e al lavoro supplementare. Cfr. S. Lapponi, Il nuovo

diritto del lavoro: guida pratica alle novità del Jobs act, Milano, Giuffrè, 2015.

130 R. Bolognesi, A. Lutri, Il Jobs Act, Piacenza, La Tribuna, 2016, p. 45.

131 S. Lapponi, Il nuovo diritto del lavoro: guida pratica alle novità del Jobs act, cit., p. 72. 132 R. Bolognesi, A. Lutri, Il Jobs Act, cit., p. 48.

133 V. Ferrante, Dal contratto al mercato: evoluzioni recenti del diritto dl lavoro alla luce del Jobs

allo svolgimento di mansioni per le quali rileva il coordinamento con gli altri dipendenti e l’assoggettamento del lavoratore alle direttive specifiche del datore di lavoro»134.

In ogni caso, la particolare flessibilità che connota la prestazione lavorativa “intermittente” e la sua notevole dinamicità fanno sì che il job on call si caratterizzi come una forma “speciale” di lavoro subordinato. La natura speciale della subordinazione, già delineata dalla legge Biagi, è stata confermata dalla Circolare n. 4/2005 relativa alle forme del contratto intermittente135.

Il lavoro a tempo intermittente può essere svolto sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. L’art. 13 del D. Lgs. n. 81/2015 prevede infatti la possibilità che il lavoro a chiamata possa essere «anche a tempo determinato». Ne deriva che il job on

call, secondo la definizione anglosassone, corrisponde all’idea di un lavoratore che,

chiamato dal datore di lavoro, risponda e svolga le mansioni richieste. La definizione normativa del contratto intermittente conferma come esso possa assumere quattro diverse forme:

a tempo indeterminato con l’obbligo di risposta alla chiamata; a tempo indeterminato senza l’obbligo di risposta alla chiamata; a tempo determinato con l’obbligo di risposta alla chiamata; a tempo determinato senza obbligo di risposta alla chiamata;

Queste quattro fattispecie sono accomunate dal fatto che sono caratterizzate da un’alternanza di periodi in cui lavoratore effettua la sua prestazione e fasi in cui egli è inattivo e rimane a disposizione (stand by worker) in attesa che il datore di lavoro lo chiami. Il lavoro intermittente si differenzia, quindi, dal lavoro subordinato ordinario per il fatto dell’intermittenza e della discontinuità della prestazione lavorativa136.

Il Jobs Act ha confermato, quindi, la tipicità del lavoro intermittente, distinguendolo dal lavoro temporaneo e dal part time. Rispetto al primo si distingue in quanto non vi è un’agenzia che svolge un’attività di intermediazione. Il rapporto di lavoro si instaura senza mediazioni di terzi, esclusivamente tra il lavoratore e l’impresa137. Rispetto al lavoro a tempo parziale, la differenza consiste nel fatto che la

prestazione di lavoro, una volta avvenuta la chiamata, è assimilabile in tutto a quella ordinaria degli altri lavorati dell’impresa.

134 Cass. 7 gennaio 2009, n. 58, in Lav. Giur., 2010, 1, p. 145.

135 P. Rausei, Tutto Jobs Act: la nuova dottrina del lavoro, Assago, Wolters Kluwer, 2016, p. 194. 136 V. Ferrante, Dal contratto al mercato, cit., p. 73.

In termini generali, il lavoro part-time può essere definito come una prestazione di lavoro erogata secondo modalità orarie e di impegno temporale inferiori rispetto a quelle che caratterizzano il lavoro a tempo pieno138, Il rapporto di lavoro a tempo

parziale, in particolare, può essere di tipo orizzontale, verticale e misto. La prima forma è quella in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista facendo riferimento all’orario normale giornaliero di lavoro. Il rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale si ha qualora sia previsto che l’attività lavorativa venga effettuata a tempo pieno, ma senza continuità, vale a dire per periodi limitati e predefiniti nel corso della settimana, del mese o dell’anno. Infine, il lavoro a tempo parziale di tipo misto è quello che si svolge combinando la forma di part-time orizzontale con quella verticale139. La nuova disciplina del lavoro a tempo parziale

(delineata dagli artt. 4-12 del D. Lgs. n. 81/2015) ha ridotto notevolmente l’estensione della norma che definisce tale tipologia contrattuale, rispetto al precedente art. 1 del D. Lgs. n. 61/2000. L’art. 1 conteneva, infatti, secondo una tecnica di derivazione comunitaria, sei diverse definizioni: tempo pieno, tempo parziale, part-time orizzontale,

part-time verticale, part-time misto e lavoro supplementare. Oggi il legislatore si limita a

stabilire che «nel rapporto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, l’assunzione

può avvenire a tempo pieno, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o a tempo parziale». Il decreto del 2015 tende a confermare, quindi, che la nozione di part-time deve essere identificata “in negativo”, ossia per contrasto con quella di full- time fornita nella normativa generale sull’orario di lavoro: è un lavoratore a tempo

parziale chi lavora “al di sotto” dell’orario normale di lavoro, pari a quaranta ore settimanali, o della soglia inferiore stabilita dai contratti collettivi di lavoro140.