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Definizioni e cenni storic

Il termine città deriva dal latino civitas, il cui significato era originariamente “insieme dei cittadini” (cives) per assumere poi per estensione quello di residenza degli abitanti delle città. Nella cultura classica la civitas si distingueva dalla urbs, termine che indicava piuttosto il contenitore fisico. Tuttora città sta ad indicare l’insieme dei vincoli che legano la cittadinanza: il luogo cittadino non è inteso soltanto nell’accezione di spazio fisico, ma anche nel senso di spazio giuridico, economico e sociale. Gli elementi caratterizzanti della città sono:

- nello spazio fisico la contiguità delle dimore, la densità edilizia, la compattezza del tessuto civico e le sue specifiche articolazioni (margini, percorsi, riferimenti, emergenze);

- nello spazio giuridico: le leggi, i regolamenti, le norme che disciplinano la convivenza per garantire ai cittadini il godimento di alcuni diritti e l’osservanza di alcuni doveri;

- nello spazio economico: le attività produttive che in città si sviluppano soprattutto nei settori dell’artigianato, del commercio, dell’industria, delle professioni e nei servizi;

- nello spazio sociale: la stratificazione della popolazione della città in classi e per zone, tale da differenziare notevolmente la popolazione urbana.

Per definire in modo esaustivo la particolarità della città, specie nei confronti della campagna, bisogna però considerare le qualità spaziali e la morfologia nel loro complesso: la dislocazione delle attività, i costumi, le abitudini del tutto particolari che differenziano il cittadino dall’uomo di

campagna. Come fatto di cultura la città nasce quando una comunità sente di appartenere ad un luogo. Implicitamente essa costituisce un patto fra i cittadini che accettano di assumere quale norma di convivenza un determinato modo di interpretare la vita, di costruire e rispettare un ambiente tipico.

Le prime città si sviluppano tra i 6000 e i 4000 anni prima di Cristo. Esse si formano dopo la cosiddetta rivoluzione neolitica, ovvero con lo sviluppo dell’agricoltura e la successiva disponibilità di eccedenze alimentari che dà luogo alla possibilità d’insediamento. Prime città si sviluppano in Medio Oriente (Gerico, attorno al 6800 a.C., è considerata la città più antica), in Mesopotamia, nella valle del Nilo, in Cina, in Centro America. I fattori dominanti per la nascita degli insediamenti urbani possono essere geografici (posizione strategica, ambiente favorevole, presenza di acqua dolce), economici (soluzioni tecnologiche, surplus alimentare), sociologici (complessità della struttura sociale e della divisione del lavoro).

I più antichi ruderi urbani a noi noti risalgono intorno al 3000 a.C., epoca in cui si verificò una rivoluzione tecnologica d’ampia portata: il linguaggio scritto, l’astronomia, la matematica, la lavorazione del rame, l’uso del tornio, dell’imbarcazione a vela, del telaio a mano. Lo sfondo istituzionale con il quale nasce la città è secondo Mumford la monarchia “nelle città primitive venne a formarsi una concentrazione di autorità paragonabile a quella che esiste su di una nave: gli abitanti erano tutti nella stessa barca e avevano imparato a fidarsi del capitano e ad eseguire prontamente i suoi ordini”124. Non a caso le antiche religioni configuravano sotto la metafora della città il paradiso degli eletti, il Walhalla, dimora degli eroi, o la Jerusalem Coelestis.

Le città dei primordi raramente si svilupparono oltre i limiti di spazio raggiungibili a piedi. Le

loro dimensioni sembra variassero dai 90 ettari di Ur ai 900 di Ninive. Il numero degli abitanti è ancora un mistero irrisolto, ma appare sicuro che rarissimamente superassero i 300 mila abitanti. La polis greca di rado superò le 30 mila unità dell’Atene di Pericle. Inoltre, le città si sviluppavano, almeno fino all’epoca romana in un modo assolutamente irregolare, la stessa Atene si estese in

modo disordinato attorno all’Acropoli. Eppure fu proprio nella polis greca che si svilupparono spazi destinati a funzioni sociali specifiche che ritroviamo anche nelle città moderne: l’agorà, il santuario, il ginnasio, il teatro rappresentano i primi spazi pubblici in cui si esercita la democrazia che prevede l’incontro faccia a faccia. In seguito troviamo il foro nella città romana, il mercato in quella medievale, la piazza nella città rinascimentale e barocca.

Solo in un primo momento la città romana si organizzò come castrum, all’interno di cinta murarie rettangolari tipiche della tradizione etrusca. L’urbe avanzava liberamente nelle campagne colonizzate da villae e domus, lottizzate e distribuite ai veterani, attorno al suo centro spesso caratterizzato da una regolarità di tracciato e di sviluppo urbanistico. Il modo di vita urbano non è più anomalo, ma si espande per le campagne dove la presenza dell’uomo si fa sempre più evidente. Lo sfaldamento della compagine amministrativa e politica dell’impero romano diede un duro colpo al sistema delle città romane. Ognuna iniziò una propria vita locale, legata ad interessi che raramente superavano i territori immediatamente circostanti. Il sistema politico territoriale si frantumava sotto i colpi delle invasioni musulmane, normanne e ungare. Emergono come nuovi centri di potere città imperiali o pontificie come Pavia, Aquisgrana, Ravenna etc. Numerose città minori sopravvivono trasformando e riutilizzando il vecchio impianto urbano romano. Dopo il declino dell’Alto medioevo, vi è un’inversione di tendenza a partire dal 1000. Nel tardo medioevo si forma un complesso sistema urbano alimentato da nuove spinte produttive nel campo dell’agricoltura e dell’artigianato. Il comune rinascimentale vuole essere l’erede spirituale della democrazia ateniese e della repubblica romana. Sulle coste del Mediterraneo si diffondono, dopo la conquista araba, un tipo di città diverso rispetto alla città medievale occidentale: assenza delle caratteristiche libertà comunali, sviluppo tortuoso della rete stradale, ricchezza di torri e fortezze. Con la formazione dei grandi stati nazionali, la città è interessata dalla trasformazione del potere locale in statale, con una accentuazione del commercio marittimo: emergono le città dello scambio con il nuovo mondo (Anversa, Amsterdam, Amburgo, Londra). Successivamente lo sviluppo degli imperi coloniali è responsabile della formazione di città nuove, specie in Nord America (New York,

New Orléans, Boston, Filadelfia). Queste città sono spesso interessate da una pianta a scacchiera, il territorio è lottizzato con regolarità a beneficio dei coloni. Forte è la pianificazione dall’alto: le nuove città spagnole e portoghesi sono vere e proprie fortezze, le stesse città barocche in Europa si espandono con estrema regolarità secondo uno schema radiocentrico, con una convergenza di prospettive sul palazzo reale (Mannheim, Karlsruhe, Versailles, Caserta).

La rivoluzione industriale comporta una trasformazione profonda della città non soltanto dal punto di vista fisico. Veri e propri sventramenti, operazioni scarsamente rispettose del tessuto sociale (si pensi al piano dei grands-travaux a Parigi ispirato da Napoleone III), oppure abbellimenti per rendere più consona la città ai gusti della borghesia capitalistica (la costruzione di Regent Street a Londra) determinano modificazioni che intaccano in profondità la morfologia cittadina.

La città preindustriale è stata sede del potere politico, titolare di diritti giurisdizionali, fiscali ed economici sul suo contado, centro di redistribuzione più che di produzione delle merci, nodo mercantile. Comunque la sua caratterizzazione produttiva risultò sempre assai debole. La città industriale poteva collocarsi, rispetto alla precedente, in un rapporto di continuità o di rottura: i vecchi centri di antico regime non subirono tutti una trasformazione in senso industriale. Le due variabili fondamentali perché tale trasformazione si verificasse o meno erano da un lato la collocazione geografica rispetto alle risorse (materie prime, fonti di energia, corsi d’acqua) e ai nodi commerciali, dall’altro le dinamiche politiche interne, cioè la presenza o no di un regime corporativo che ingabbiasse la produzione rendendo impossibile l’esplosione del vecchio apparato normativo. Di conseguenza, accade spesso che la città industriale fosse una città nuova, nata dallo sviluppo manufatturiero di un centro rurale situato in posizione favorevole rispetto alle riserve di materie prime o di energia o alle vie di comunicazione, con grande disponibilità di mano d’opera e vincoli corporativi ben più deboli. In Inghilterra, per esempio, furono Manchester, Birmingham e Leeds a imporsi per prime come città industriali, superando per importanza i grossi centri dell’età moderna, come York, Norwich e Bristol.

All’interno di queste nuove città, nate in funzione della produzione industriale o modificatesi in rapporto a essa, la logica capitalistica creava gerarchie, disegnava lo spazio, opponendo i quartieri operai a quelli borghesi, separando e connotando aree urbane in cui identificazione sociale e di mestiere coincidessero e in cui l’omogeneità culturale fosse un fattore di aggregazione ancor più forte di quella professionale. La città contemporanea presenta sempre meno caratteristiche di questo genere, è sempre più centro di flussi gravitazionali in cui l’industria costituisce solamente uno degli elementi.

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