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Design pattern nei giochi di percorso simulat

I progettisti di seriousgame e di giochi arg sperimentano ogni gior-

no come spingere più in là i limiti di un gioco in modo che possa in- fluenzare positivamente la vita reale dei giocatori e per questo il tema degli arg è sempre più centrale nei dibattiti sul futuro dei giochi giac-

ché «aiuta a promuovere l’idea che le tecnologie dei giochi possono essere utilizzate per organizzare le attività nel mondo reale.

Cosa ancora più importante, sta facendo nascere idee innovative su come fondere insieme quel che amiamo di più nei giochi e quello che vogliamo di più dalle nostre vite» (McGonigal, 2011). Il problema

si pone sulla qualità di queste influenze che si progetta di diffondere. Come nella tradizionale successione di caselle numerate e illustrate, nello storytelling attuale il contenuto è la chiave di successo: se la

storia non è sviluppata seriamente, l’intero videogioco ne risulta pena- lizzato, per questo è necessaria una trama forte e significativa.

I videogiochi interattivi si sposano bene con il genere fantasy e la fantascienza, così come con racconti storici e realistici perché il gio- catore interagisce con il mondo creato attraverso un’esperienza visiva, auditiva, di movimento e di immersione che può riconoscere come più familiare. L’esperienza può essere vissuta singolarmente ma se giocata online come nei videogiochi mmorpg si ̀crea un contesto di forte inte- razione con gli altri utenti.

Chi lavora nel mondo del Game design sa che «i giochi diventa- no dei successi e generano profitti in proporzione diretta alla quantità di soddisfazione che forniscono e alla quantità di emozioni positive che provocano» (McGonigal, 2011, pos. 743), per questo l’obiettivo dell’industria dei giochi è sempre più la soddisfazione e l’appagamen- to dei giocatori.

Non sempre, però, il settore riesce a raggiungere questi obiettivi. La grande confusione in merito al generare un semplice divertimento o un’esperienza profonda, infatti, complica i risultati: il team dei desi- gners che progettano la giocabilità di un gioco, per esempio, devono

quantificarne il “fattore divertimento” e, nel farlo, possono raggiun-

gere obiettivi diversi in un’ipotetica scala della qualità che va dal valo- re più basso a quello più alto: accontentarsi di realizzare un’esperienza banalmente divertente, il semplice fun, il gradino più basso, o perse-

guire il flow, quello più alto.

Tra i due concetti esiste una differenza sostanziale: il divertimento,

il fun è l’intrattenimento meno profondo e coinvolgente, il «pleasure

with surprise» (Shell, 2015, p. 47), mentre il flow «è la sensazione

soddisfacente ed esaltante di realizzazione creativa e di funzionamen- to accresciuto […] È l’esperienza che le persone hanno quando sono completamente immerse in un’attività fine a se stessa, e spingono cor- po e mente al limite in uno sforzo volontario per realizzare qualcosa di difficile e utile» (Csíkszentmihályi, 1990, p. 24, TdA). La teoria

del flow-flusso, introdotta dallo psicologo ungherese, gode dell’ap- proccio della filosofia positiva e nel confronto con il mondo ludico ha evidenziato che la realtà è carente proprio del flusso, mentre il vide- ogioco è il modo più affidabile ed efficace di produrlo proprio grazie alla sua struttura essenziale. Questa è una specifica combinazione di obiettivi scelti in autonomia, di ostacoli ottimizzati personalmente e di feedback continui che pongono a confronto, come in una relazione

cartesiana, le difficoltà della sfida con il livello di capacità di cui di-

spone il giocatore per affrontarla in un mondo alterno, ma sempre più credibile come “altro” rispetto a quello vero. «Il gioco è l’esperienza di flusso par excellence», sostiene (Csíkszentmihályi, 1975, p. 37), ed è per questo che le teorie della gamification hanno così tanto succes-

so perché trasportano in altri ambiti le strutture e le teorie tipiche del gioco, sempre più spesso raggiungendo volontariamente solo il primo gradino della scala qualitativa del divertimento.

Csíkszentmihályi concludeva il suo pionieristico lavoro in maniera quasi profetica: scriveva che la realtà andava, sì, migliorata e resa più vivibile pensando di strutturare il lavoro reale come fosse il lavoro fatto nei giochi, ma indicava anche due gruppi di persone “a rischio” nel futuro imminente con queste specifiche dinamiche: i bambini e le casalinghe. Lo studio di Csíkszentmihályi era troppo in anticipo sui tempi per essere compreso appieno e da subito: esistevano già ap- profondite ricerche sulla classificazione dei giochi, ma i videogiochi erano appena nati, se si pensa che Pong era in commercio dal 1971 e che, solo nello stesso anno, era stata pubblicato The Study of Games sulla psicologia del gioco (Sutton-Smith, Avedon, 1971).

L’industria ludica oggi ha assorbito meglio l’impatto della psicolo- gia positiva nel gioco e i creativi (direttori e/o autori) più attivi si sono concentrati proprio nel progetto dell’impatto emotivo e psicologico sui giocatori, spesso traducendo direttamente i dati che derivano da ricerche di questo ambito.

Ottimizzare l’esperienza umana nel gioco, che nel mondo tradi- zionale dei giochi cartacei era frutto dell’intuito e della creatività del singolo, oggi, grazie all’intersezione dei due mondi (della scienza po- sitiva della felicità, da un lato, e dell’evoluzione dell’industria video

ludica, dall’altro) è diventata la scienza applicata dei «tecnici della felicità» (McGonigal, 2011, pos. 753).

Secondo la definizione di Marco Accordi Rickards, il videogioco è «un’opera multimediale interattiva, cioè un prodotto culturale autoria- le che si esprime attraverso una specifica forma interattiva utilizzando uno o più mezzi espressivi (testo, effetti sonori, musica, parlato, im- magini statiche, immagini video, ecc.); l’interazione con il videogioco richiede l’immersione in un mondo simulato e regolato da leggi tecni- che (game design) nel quale le azioni del fruitore attivo siano teologi- camente orientate» (2015, p. 7).

La definizione è carica di termini e significati cui è indispensabile fare riferimento. Per ciò che riguarda il progetto di un gps in generale,

gli elementi progettuali propri del gioco sono essenzialmente tre: le meccaniche, le risorse e le tematiche. Considerando il gioco come un automatismo perfetto, cioè come un sistema integrato, le meccaniche sono il motore del gioco, le risorse il suo carburante e la storia il mo- tore in movimento.

Proprio in relazione alle meccaniche i gps analogici si basano su

pochi e semplici elementi fondamentali: il tavoliere, cioè il percorso su cui giocare e su cui sono realizzate le caselle numerate, i dadi o ge- neratori di numeri casuali (adatti alle necessità del singolo gioco e che associano al valore numerico casualmente generato un suo equivalente analogico visualizzabile in diverse forme e/o colori) e i segnalini. La loro funzione e la playability, invece, dipende da altri elementi essen-

ziali che sono le regole e la storia. Quest’ultima deve essere narrata tramite un tragitto che ha un inizio e un traguardo.