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1° p. du. att. 2° p. du. att.

3° p. du.

att. 1° p. du. med.

2° p. du. med.

3° p. du. med.

312 La marca distintiva più forte e vitale resta il suffisso* -i che distingue nelle desinenze primarie le

tre persone del singolare e la terza persona plurale dalle corrispondenti forme secondarie, non suffissate e più antiche, secondo l’antica e accreditata teoria di Bopp; cf. Szémerenyi 1999, 276ss., 370.

313 Il greco ha perduto buona parte delle desinenze caratterizzanti il perfectum (tranne al singolare),

ha ridotto le desinenze di imperativo ed ha favorito una generalizzazione delle desinenze secondarie; per quanto riguarda il duale, come si vedrà, non di rado si osservano esitazioni nell’utilizzo delle desinenze *-ton/*-thn (Cuny 1906, 56).

314 Le desinenze restano comunque invariate nei vari dialetti; un prospetto delle attestazioni in attico

Gr. **we(s)315 -ton316 -ton (-meqon)317 -sqon -sqon

Ved. -vas318 -thas -tas -vahe -āthe -āte

Avest.319 -vahi (PIr. *-vas(i) < ie. *-wes(i))320 -tō (PIr. *-thas < ie. *-thes) -tō (PIr. *-tas < ie. *-tes)321 *-vaide (PIr. *-vadhai < ie. *-wedhai) -te (PIr. *-thai < ie. *-thai) -te (PIr. *-tai < ie. *-tai)322 Asl. *-въ, *-vě *-та, *-tā *-тє , *-tĕ *-въ, *-vě *-та, *-tā *-тє , *-tĕ

315 Sembra suggestivo riscontrare in questa proto-forma di 1° p. du. att. *-we la stessa radice pron. ie.

per il duale; «verbs may acquire the category of number by the agglutination of a personal pronoun» (Lehmann 2002, 51). La desinenza costituisce probabilmente il ‘grande assente’ della flessione del duale: «le grec semble avoir complètement perdu la distinction du duel à cette personne, chose curieuse si l’on réfléchit qu’il l’a bien gardèe aux autres personnes, dans le noms et même dans les pronoms» (Cuny 1906, 58). Nel 1880 Sayce rintracciava una forma timavüe" in panfilio (Ramsay-Sayce 1880, 252, probabilmente una 3° p. pl. aor.), e un residuo di tale desinenza sembra preservato in argivo, secondo la glossa di Esichio a{gwgi": a{gwmen (< *-wüi", prima persona du. cong.). Per quanto plausibile come esito dialettale, la forma, hapax e foneticamente non del tutto trasparente, è da guardare con cautela a fini comparativi. «Before Hittite had been deciphered, Brugmann-Delbrück (Grundriß III 2, 618) advanced the suggestion that Greek -men was formed on the analogy of a vanished first dual *-üen (so that the Indo-European imperfect dual should be reconstructed as *-we, *-wo, *-wen [*-won (?)]; *-tom; *-tām)» (Gray 1927, 79).

316 Sulla base della comparazione con gli esempi indo-iranici, Gray (1927, 243) sosteneva che la vocale

tematica avrebbe dovuto essere *-o; una forma media come «Gk. (ej)fevresqon seems to be a contamination of (ej)fevresqe and (ej)fevreton < *(ej)fevroton». Tuttavia, la vocale tematica è coerentemente *-e in tutta la flessione greca del duale, e la sola comparazione con il gruppo indoiranico non sembra terreno sufficiente ad autorizzare che questa sia stata una modificazione antica del greco.

317 Due occorrenze di *-meqon, evidentemente ipercorrettismi, si trovano in Ateneo: provteron ga;r

suntribhsovmeqon, ei\t' ajpolouvmeqon (GG III/2, Epit. II/1 17,23s.). Una manciata di casi appare, in esempi di coniugazioni verbali, anche in Elio Erodiano: poiouvmeqon (GG III,2 812,19), tupouvmeqon (GG III,2 812,20), tuptovmeqon (GG III,2 813,5).

318 La desinenza è già rara nella Rık-Samıhitā (vd. Renou 1952, 252; cf. anche Jamison 2004, 687s.). 319 Il caso del gruppo iranico è di estrema importanza per quanto riguarda l’uso del duale:

nonostante, infatti, il numero sia ben preservato in antico persiano, si danno casi in cui, pur laddove perfettamente pertinente, non venga applicato: viene, per esempio, evitato lo sch'ma ≠Alkmanikovn, e, in presenza di due soggetti, il verbo sceglie il plurale (cf. Schmitt 2004, 727).

320 Si confrontino l’av. usvahī (PIr. *ušvas(i) < ie. ukwes(i)) e il sanscr. svah^ (PInd. *svas(i) < ie. swes(i);

Misra 1979, 185). Si noti che il suffisso *-i viene fatto risalire da Misra già ad uno stadio ie., laddove è forse più probabile ipotizzare uno sviluppo indipendente del gruppo iranico per distinguere desinenze primarie e secondare.

321 Si comparino ie. 2° e 3° p. du. *sthes, *stes > PInd./PIr. *sthas, *stas > sanscr. sthah^, stah^. Come si

osserva, in avestico, come in greco, la 2° e 3° persona sono sempre sincretiche. La convergenza del timbro vocalico desinenziale in a indistinto avrà sicuramente operato come fattore neutralizzante; tuttavia, maggior peso è probabilmente da imputarsi all’utilizzo sporadico di tali forme (cf. Misra 1979, 185).

Lit. *-va

(ALit. –ava) *-ta

323 / / / / PGerm324. *-ōz (got. -ōs325) < *-ō-wes *-diz (got. -ts)326 < *-te/os / / / / Toch327. / / B *-temı < *-ton328 / / B *-aitär? 329

323 «Samogitian Lithuanian has the lenghtened ending –tau, reflexive –tavos, which was formed by

adding the ending –avā (from the 1 dual) to the shortened ending –t (<*-ta)» (Schmaelstig 2000, 51; cf. anche Stang 1966, 405s.). Brugmann-Delbrück (Grundriß II/3 669) riporta anche le forme di 1° p. du.

baírōs e 2° p. du. baírats.

324 In antico nordico il duale è invece ristretto al solo pronome: «The verb has no distinct dual forms,

so dual pronoun subjects have plural verb agreement: vit hofum þetta átt at tala, ‘the two of us have had talks about this (matter)’» (Faarlund 2004, 200).

325 Ma, per il congiuntivo, la desinenza attestata è quella tràdita *-we: got. cong. 1°/2° p. du. nimewa, nimets (vd. Voyles 1981, 88; cf. anche Watkins 1969, 47). Una forma di duale è preservata anche nell’imperativo, nella prima persona nimats. Nei cosiddetti verbi deboli, le desinenze di duale, pur attestate, alternano con le forme del plurale — a denunciare i primi segni del declino della categoria.

326 La ricostruzione dei passaggi intermedi del protogermanico è particolarmente complessa,

potendosi avvalere della testimonianza unica del gotico; in particolare, «the 2nd dual ending is

especially unclear because it is possible that uts shape in Gothic resulted from a Gothic sound change whose effects were eliminated by morphological change in other, less isolated, morphemes» (Ringe 2006, 237; cf. anche Krause 1958, 261). Un po’ forzatamente, Cuny (1906, 60), sulla scia di Brugmann (1905, 628), ammette l’aspirazione anche nella forma germanica: «le gotique -ts représente probablement -þs (ancien -þiz) en vertu d’une différenciation».

327 Il duale è pressoché scomparso dalla flessione verbale tocaria. van Windekens (1944, 314)

testimonia l’esistenza di una forma «A tāken(a)s, 3° pers. du parf. ind. act. de tāk- ‘être’».

328 «Les formes du duel sont limitées à deux exemples de la 3e pers. prés. dans le dialecte B: nestemı de

B nes- ‘être’, westemı < *wesktemı de B wesk- ‘dire, parler’» (van Windekens 1982, II/2 271). La desinenza è verosimilmente un prestito dalle desinenze secondarie; van Windekens (ibid.) sottolinea tuttavia che ie. *-ton avrebbe prodotto Toc. B **-te; la bilabiale finale sarà con ogni probabilità analogica sulla corrispettiva desinenza del plurale. Le altre desinenze di duale attestate per il Tocario, ovvero Pret. 3° p. du. att. B *-ais, A *-enas, e Imper. 2° p. du. m. A *-ait, restano oscure (cf. Watkins 1969, 48).

329 «Si B tasaitär [...] n’est pas une forme du singulier avec une ’umgekehrte Schreibung’ ai au lieu de e,

mais une forme du duel, la comparaison de finale -ait- s’impose avec les finales des formes de duel thématiques indo-iraniennes telles que skr. bhár-ete ‘sie beide tragen’, av. vīs-aēte ‘sie stellen sich beide bereit’» (van Windekens 1982, II/2 277; cf. anche Schmidt 1974, 285ss.).

Ie. *-we/os330 *-thes331 *-tes *-we/odhh2332 ?333 ?

Nonostante la trasparenza della ricostruzione, la prima persona pone alcune

problematiche. Il legame tra la desinenza *-we e quella, generalmente riconosciuta di

prima persona plurale, in *-me, sembra infatti essere piuttosto stringente: il gruppo

anatolico, a cui si affianca parzialmente il gruppo indo-iranico (cf. Wackernagel, AG

II/2 880), evidenzia alla prima persona plurale un’alternanza di tipo fonetico tra i

due allomorfi *-we/*-me, ittita *-wen(i)/*-men(i): se tale alternanza rispecchi anche

un’opposizione di tipo morfonematico è stato oggetto di ingente bibliografia. Si deve

innanzitutto sottolineare che in vedico, così come in ittita, le forme ad iniziale

bilabiale *-m- appaiono soltanto dopo *-u, plausibilmente per evitare il glide che

deriverebbe da contatto con una desinenza in approssimante; nonostante questo

condizionamento sintattico, tuttavia, le forme in *-m- sono spesso state considerate le

varianti originarie (già a partire dai grammatici indiani: cf. Kuryłowicz 1964, 151).

Emerge dunque chiaramente come l’ittita costituisca evidenza preziosa,

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