I. LE DETERMINANTI DEI FLUSSI MIGRATOR
1.4 Le determinanti dei flussi migratori bilaterali
1.4.6 Determinanti di tipo push
Ho già delineato le caratteristiche fondamentali delle determinanti di tipo push nel paragrafo 1.2, dedicato al modello push-pull. Giova però ricordare che, in media, le determinanti di questo tipo sono molto meno significative a livello statistico ed hanno effetti più ridotti sui flussi migratori bilaterali rispetto a quelle di tipo pull. In questa categoria di determinanti troviamo una serie di elementi presenti nel paese di origine: il numero di persone comprese fra i 15 ed i 29 anni, il livello di ineguaglianze, il livello medio del PIL, la quota di lavoratori che lavorano nel
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primario, l’eventuale presenza di un regime dittatoriale, il processo di urbanizzazione ed il verificarsi di disastri naturali o di cambiamenti climatici nel lungo periodo.
Mayda (2007: 11), sostiene che i potenziali migranti provenienti dal paese di origine in questa fascia di età hanno un incentivo più grande ad emigrare, in quanto il valore presente scontato del loro benefit netto sarà più grande, dato che avranno più anni di vita in cui poter lavorare. Per l’autrice questa determinante ha un grado di significatività statistica pari al 5%.
Anche Beine e Parsons (2015) e Hatton e Williamson (2002), danno ragione alla tesi di Mayda (2007). Nello specifico, Hatton e Williamson (2002: 11), trovano una duplice influenza di una alta quota di persone comprese fra i 15 ed i 29 anni nel paese di origine sui flussi migratori bilaterali: essi infatti sono più propensi a migrare (effetto diretto), ma al contempo abbassano lo stipendio medio atteso nel paese di origine spingendo altri individui ad emigrare (effetto indiretto).
Riguardo agli effetti della determinante “ineguaglianze nel paese di origine” sui flussi migratori bilaterali quasi tutti gli autori sono d’accordo. Ho accorpato in questa determinante sia gli articoli che alludono ad ineguaglianze di tipo sociale, come Rotte e Vogler (2000) e Beine e Parsons (2015) (che prendono in considerazione gli effetti di alto livello di violenza nel paese d’origine sui flussi migratori); sia quelli che alludono ad ineguaglianze di tipo economico (Hatton e Williamson 2002). Per Rotte e Vogler (2000); Mayda (2007) e Beine e Parsons (2015), l’ineguaglianza nel paese di origine ha effetto positivo sui flussi migratori diretti verso i paesi di destinazione: più ineguaglianze vi saranno nel paese di origine e più individui emigreranno verso il paese di destinazione. Per Rotte e Vogler (2000), questa determinante ha un grado di significatività statistica pari al 5% ed un range di valori che oscilla fra -0.012 e 0.366.
Hatton e Williamson (2002), mettono invece in luce una peculiarità degli effetti delle ineguaglianze di tipo economico sui flussi migratori. Se esse saranno eccessivamente elevate, potrà accadere che alcuni degli individui interessati a migrare saranno sprovvisti dei mezzi per coprire i costi migratori e di conseguenza si ridurranno i flussi migratori diretti verso il paese di destinazione.
Ora considererò gli effetti che il PIL medio atteso nel paese di origine ha sui flussi migratori bilaterali. Potremo notare come gli autori non siano assolutamente concordi riguardo agli effetti di questa variabile. Per molti di questi, infatti, essa non sarà statisticamente significativa (Mayda
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2007; Rayp, Ruyssen e Everaert 2014); mentre per altri essa avrà un’influenza negativa, ma debole, sui flussi migratori diretti verso il paese di destinazione (Ortega e Peri 2012). Per Rotte e Vogler (2000: 21), un aumento del salario medio atteso nel paese d’origine riduce i flussi migratori diretti verso il paese di destinazione. Un aumento dell’1% del PIL nel paese di origine può ridurre i flussi migratori diretti verso il paese di destinazione dell’1.2%.
Anche Ortega e Peri (2012) condividono l’idea su questo effetto del PIL nel paese di origine sui flussi migratori bilaterali. Per Bertoli e Moraga (2013), invece l’effetto del PIL nel paese di origine sui flussi migratori diretti verso i paesi di destinazione sarà sì negativo, come sostengono gli altri autori, ma che il suo effetto sarà minore, considerando la multilateral resistance to migration.
Invece per Mayda (2007) e Everaert, Rayp e Ruyssen (2014), il PIL nel paese di origine non avrà effetti statisticamente significativi sui flussi migratori bilaterali.
A queste osservazioni sugli effetti del livello del PIL nel paese di origine sui flussi migratori bilaterali, è necessario ricordare le acute osservazioni di Hatton e Williamson (2002): se il livello del PIL è troppo basso, da non poter permettere agli individui nemmeno di coprire i costi migratori, un suo leggero innalzamento avrà effetto positivo e non negativo sui flussi migratori, in quanto gli individui utilizzeranno i soldi in più per emigrare. Solo con un livello di sussistenza minima già raggiunto nel paese di origine, un aumento del PIL avrà effetto negativo sui flussi migratori.
Riguardo alla influenza della determinante “quota di lavoratori impiegati nel primario nel paese di origine”, Hatton e Williamson (2002), trovano una sua influenza negativa sui flussi migratori, in quanto gli abitanti delle zone rurali statisticamente si muovono di meno.
Beine e Parsons (2015), sostengono come la presenza di un regime dittatoriale nel paese di origine abbia effetto negativo sui flussi migratori, in quanto rende molto più complicata l’uscita dal proprio paese.
Per quanto riguarda l’effetto dell’urbanizzazione (flussi migratori all’interno di una stessa nazione che portano individui dalle campagne alle città) sui flussi migratori bilaterali sia Rotte e Vogler (2000), che Beine e Parsons (2015), sono d’accordo. Essa può essere vista come una sorta di “tappa intermedia” che rende gli abitanti delle aree rurali più favorevoli riguardo una eventuale migrazione futura all’estero (ricordiamo come essi siano statisticamente i più restii
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nell’ emigrare, come indicato da Hatton e Williamson 2002). Beine e Parsons ricordano inoltre che il processo di urbanizzazione è significativamente differente fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Solo per questi ultimi, infatti, i disastri naturali sono una delle determinanti che influiscono positivamente sul grado di urbanizzazione. Per Rotte e Vogler (2000), questa determinante ha grado di significatività del 5% ed un range di valori che oscilla fra 0.458 e 2.911. Beine e Parsons (2015), nel loro lavoro si occupano degli effetti dei disastri naturali e delle variazioni climatiche nel lungo periodo sui flussi migratori diretti verso il paese di destinazione. Essi non troveranno effetti diretti di queste due determinanti che siano anche significativi statisticamente, ma troveranno invece degli effetti indiretti statisticamente significativi. Gli autori indicano come questi effetti ricadono maggiormente sulle nazioni più povere del mondo, in quanto esse dipendono maggiormente dall’agricoltura. Di conseguenza potremo notare un certo effetto del cambiamento climatico nel lungo periodo sul grado di urbanizzazione di una nazione. Un cambiamento climatico nel lungo periodo, secondo Beine e Parsons, riduce inoltre il reddito nel paese di origine, ampliando così il wage differential e spingendo più individui ad emigrare all’estero. Invece una catastrofe naturale aumenterà la migrazione nel breve periodo verso le regioni limitrofe, senza incidere sul grado di urbanizzazione a causa di una forte migrazione di ritorno.