• Non ci sono risultati.

La diabetologia italiana deve essere capaci di animare il dibattito istituzionale sul diabete, confrontandoci con il Ministero della Salute, il Parlamento, le Regioni e con

tutte quelle realtà istituzionali che hanno potere gestionale e decisionale sulla

gestione del diabete.

3. Anche se è auspicabile (e verosimilmente necessa-rio) che TUTTE le persone affette da diabete, al-meno una volta vengano visitate (e censite) presso una struttura specialistica di diabetologia, un ampio numero di persone con diabete può e deve essere successivamente seguito prevalentemente dalla medicina generale (nelle strutture che ad essa saranno adibite nella attuazione dei nuovi indirizzi) purchè si realizzi in tutte le regioni un sistema di gestione integrata (possibilmente basato su comu-nicazioni telematiche) tra la medicina generale e la assistenza specialistica diabetologica.

La diabetologia italiana ha un livello culturale eccellente, certamente adeguato per affrontare queste sfide, e che bisogna tuttavia costantemente e ulteriormente far cre-scere. Il diabetologo italiano deve continuare a essere un medico a tutto tondo, deve trattare la persona con dia-bete e non solo la sua glicemia, rappresentando un punto di riferimento obbligato anche per gli altri specia-listi che si occupano delle persone con diabete, con i quali dovrà istituire sempre più ampie collaborazioni.

Lavorare sull’innovazione e sulla digitalizzazione della sa-nità, prevista dal PNRR, deve trovarci pronti, come So-cietà Scientifiche, per gestire al meglio una patologia complessa quale è il diabete.

In tal senso il diabetologo deve essere in grado di sfrut-tare quotidianamente e in modo adeguato tutte le tec-nologie informatiche, bio-ingegneristiche e farmacologiche a disposizione. Questo favorirà la razio-nalizzazione delle risorse e una crescita professionale

im-portante nel ruolo e nell’organizzazione sanitaria.

Il tempo del diabetologo sarà utilizzato al meglio, come clinico e driver di processo, se, a viaggiare, saranno più i dati che le persone, senza perdere di vista però il con-tatto clinico e umano con la persona con diabete. Per questo si dovrà sempre di più e meglio interagire in rete non solo con il paziente, ma anche con la medicina ge-nerale e gli altri specialisti, in maniera da fungere da hub anche informatico per la persona con diabete. Sarà fon-damentale potenziare sempre più quei processi di con-servazione dei dati che consentano poi di analizzarli e valorizzarli al meglio, sulla scia di quello che la SID sta facendo con il database Darwin e con il progetto Arno.

E’ anche il momento di eliminare i silos collaborativi e stabilire sinergie fattuali per riproporre all’interno del momento di grande riforma sanitaria dovuto al DM71 e al PNRR il ruolo che i centri di diabetologia debbono avere e dare loro risorse professionali, strutturali e orga-nizzative.

Abbattere i silos significa per la Società Italiana di Dia-betologia trovare, attivare ed implementare sinergie e collaborazioni in primis con l’Associazione medici diabe-tologi (AMD), società scientifica non più cugina, ma

so-rella, con la Società Italiana di Endocrinologia (Sie), da sempre nostro “brodo di cultura”, e con istituzioni come IBDO Foundation. Ma anche in strettissima collabora-zione con Diabete Italia, con Fand e con le altre associa-zioni rappresentanti le persone con diabete e il terzo settore. Assoluta sinergia di intenti con la medicina ge-nerale e la SIMG, con la quale è necessario fare rete, puntando alla creazione di percorsi condivisi, sia clinici sia formativi, con i colleghi di altre specialità (soprattutto cardiologi, nefrologi e gastroenterologi).

Altresì, non bisogna dimenticare che la diabetologia ha bisogno di formazione e ricerca, e all’interno della pro-pria “terza missione”, di una nuova capacità di aprirsi al territorio, intercettando i bisogni emergenti della società civile.

Aprirsi al sociale come “terza missione” significa porre come Società Scientifica la propria attenzione su quanto circonda l’ambito di interesse culturale e scientifico nel quale ci muoviamo. Temi come quello dell’urbanizza-zione, dei contesti culturali e sociali legati all’obesità, so-prattutto quella infanto-giovanile, la correlazione tra ambiente e determinanti della salute, devono necessa-riamente vederci protagonisti attivi del dibattito, soprat-tutto se parliamo di prevenzione.

La diabetologia italiana deve essere in grado di assu-mere iniziative per la promozione della salute dei citta-dini, studiando e monitorando i determinanti della salute specifici del proprio contesto urbano, facendo leva sui punti di forza delle città e riducendo drasticamente i ri-schi per la salute, prevedendo anche modalità di coin-volgimento attivo dei cittadini e forme di partenariato pubblico – privato per la realizzazione di politiche che mettano al centro la salute come diritto. Se lavoriamo su queste leve assieme alle Istituzioni, possiamo contribuire a migliorare la qualità di vita dei cittadini e prevenire obe-sità e diabete tipo 2.

Bisogna dare forza e consistenza ai programmi di forma-zione e aggiornamento, cercando anche di concepire e applicare forme di comunicazione e di trasmissione della conoscenza che siano ancor più efficaci ed efficienti, che affianchino e superino webinar e corsi Ecm, e che get-tino le basi per una formazione di eccellenza di diabe-tologi in grado di gestire la complessità clinica, sociale, economica e politica del diabete.

La ricerca deve essere un punto fondamentale e un pila-stro di crescita culturale, scientifica e professionale, ed è quanto SID vuole di fare attraverso progetti quali il Gol-den Age e il database Darwin. Il Progetto GolGol-den Age si è aggiudicato un importante finanziamento di 1,4 mi-lioni di euro, essendo risultato uno dei soli quattro vinci-tori (su oltre un centinaio di application) del bando Aifa

22

per la ricerca indipendente. Il progetto, che avrà una du-rata triennale, prevede un confronto intraclasse tra far-maci Sglt2 inibitori, in termini di efficacia e sicurezza negli anziani. Lo studio partito in questi mesi, avrà una durata triennale e coinvolgerà circa 30 centri di diabe-tologia italiani e deve consentirci di avere una identità di ricerca scientifica indipendente e autorevole.

Credo che la raccolta e l’analisi dei dati rappresenti un punto importante e fondamentale della crescita e del-l’identità della diabetologia italiana. Come SID abbiamo previsto da tempo un aggiornamento e potenziamento del database Darwin, partito quattro anni fa, che ci ha permesso di raccogliere nel tempo una serie di dati clinici e farmacologici di pazienti diabetici, trattati presso de-cine di centri italiani. Questo database rappresenta una preziosa fonte di informazioni real world anche sul trat-tamento farmacologico e l’analisi dei dati in esso conte-nuti ha già prodotto una serie di pubblicazioni. Abbiamo ovviamente intenzione di andare avanti su questa strada e sviluppare ulteriori real world analyses, anche in colla-borazione con partner istituzionali o privati.

Infine, dobbiamo essere capaci di animare il dibattito isti-tuzionale sul diabete, confrontandoci con il Ministero della Salute, il Parlamento, le Regioni e con tutte quelle realtà istituzionali che hanno potere gestionale e deci-sionale sulla gestione del diabete, uscendo dagli ambiti dei confronti interni tra specialisti e misurando le nostre opinioni nei tavoli multidisciplinari, portando in essi la nostra identità, la nostra cultura, il nostro expertise scien-tifico e la nostra visione clinico-organizzativa, nello sforzo costante e trasparente di migliorare le conoscenze e la salute.

23

Il diabete mellito rappresenta la più frequente endocri-nopatia nell’età pediatrica. Ancora oggi in Italia la mag-gioranza dei casi di diabete nell’infanzia e nell’adolescenza è rappresentata dal tipo 1, autoim-mune, necessitante di terapia insulinica continuativa, la cui frequenza è in progressivo incremento.

In qualità di pediatri, osservazione condivisa è la com-parsa di diabete tipo 2 negli adolescenti, secondaria all’

esponenziale crescita dell’obesità. Il diabete tipo 2 è pa-tologia emergente più difficile da trattare poiché è fon-damentale sensibilizzare le famiglie su una problematica responsabile di complicanze vascolari anche gravi e a comparsa precoce, ma molto spesso non ben compresa.

Il trattamento del diabete tipo 1 ha visto negli anni re-centi un incremento dell’impiego della tecnologia per il monitoraggio del glucosio e per la somministrazione di insulina. Sempre più numerosi sono i pazienti anche in giovanissima età che indossano i sensori in grado di dia-logare con i microinfusori, strumenti accurati e precisi che non solo interrompono l’erogazione dell’insulina in caso di previsione di ipoglicemia, ma in alcuni casi som-ministrano autonomamente aggiunte di insulina se il li-vello di glucosio aumenta.

Per i pazienti che non utilizzano i microinfusori sono di-sponibili stilo iniettori innovativi e le nuove insuline sono caratterizzate da profili farmacocinetici e farmacodina-mici precisi e specifici, in termini di durata di azione e di riproducibilità.

Compito dei pediatri diabetologi è fornire ai pazienti quanto di più ritenuto indicato per la gestione del dia-bete mellito, unitamente alla terapia educazionale e me-dico nutrizionale, condivisa con le più importanti figure professionali del team diabetologico, in particolare la

in-fermiera educatrice, risorsa sempre più la dietista dedi-cata e la psicologa. Analogamente la fornitura dei presidi deve essere assicurata in tutte le regioni del Paese, senza differenze o discriminazioni. A questo scopo il ruolo delle Associazioni di pazienti è fondamentale per sensibilizzare le Istituzioni in merito.

La pandemia da COVID19 ha influenzato sensibilmente il diabete mellito. E’ stata riportata una maggiore fre-quenza di esordio clinico in grave cheto acidosi, conse-guenza in parte delle restrizioni imposte dal lockdown e dal minor accesso alle strutture ospedaliere. L’esordio cli-nico in grave scompenso rappresenta un rischio grave di complicanze acute e può condizionare negativamente il decorso successivo. Risulta pertanto indispensabile sen-sibilizzare sia i pediatri che le famiglie sul pronto ricono-scimento e interpretazione dei sintomi propri dell’esordio, quali poliuria, polidipsia, calo ponderale.

Il lockdown ha d’altro canto stimolato lo sviluppo e l’im-piego della telemedicina, molto apprezzata dai pazienti e dalle famiglie, che hanno mantenuto i contatti con il team diabetologico evitando così sia un preoccupante senso di abbandono e soprattutto gravi alterazioni del compenso metabolico. La telemedicina rappresenta una modalità nuova che appare indispensabile favorire e mantenere, con il potenziamento delle strumentazioni necessarie e la definizione delle procedure burocratiche e medico legali.

Anche la terapia del diabete tipo 2 richiede un approccio multisciplinare, e l’impiego di farmaci risulta indicato in determinate forme cliniche, associato comunque ad una intensa attività educazionale.

24

Mariacarolina Salerno

Presidente SIEDP Giuseppe d’Annunzio

Vicepresidente SIEDP

L’incremento lento ma costante dell’incidenza del diabete tipo 1 nella fascia 0-18 anni