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Difese adattive e disadattive

È importante operare una distinzione tra situazioni in cui la messa in atto di una difesa serve a regolare il comportamento sulla base di una esperienza che il soggetto sta vivendo, e situazioni in cui un meccanismo di difesa si dimostra non adattivo in quanto determina disposizioni soggettive o atteg-giamenti che risultano deleteri per la salute psichica del soggetto stesso.

Se in questo contesto l'intento è quello di spiegare come nell'Anoressia vengano utilizzate determinate dinamiche difensive, bisogna anche capire quando questo utilizzo possa portare a conseguenze psicopatologiche.

La letteratura psicoanalitica ha più volte sottolineato il carattere adattivo 11Si fa qui riferimento a varie problematiche relazionali che saranno meglio analizzate in seguito.

dei meccanismi di difesa nello sviluppo psicologico: ciò che risulta patologi-co non è la difesa in sé (non è la difesa che viene definita patologica), ma il fatto che l'individuo ne abusi12.

Brenner (1979), ad esempio, sostiene che non è possibile parlare di uno specifico livello di normalità o patologia riguardo le difese: a differenziare il sano dal malato non è l'utilizzo di alcune difese piuttosto che di altre, ma il modo in cui l'Io ricorre ai meccanismi di difesa per affrontare sia le richieste del mondo interno che del mondo esterno.

Vaillant e Perry sostengono che ogni processo difensivo è adattivo in par-ticolari situazioni e non in altre, ma che tuttavia è possibile costruire una scala gerarchica sulla quale si collocano le difese secondo la loro maggiore o minore capacità adattiva intrinseca.

Le difese considerate disadattive sono quelle che vengono utilizzate in par-ticolari circostanze e al prezzo di una grande distorsione della realtà, e il loro potenziale disadattivo è legato al fatto che il soggetto può limitarsi a usare sempre e solo un tipo di difesa, all'intensità con cui viene impiegata, all'età del soggetto, al contesto d'azione.

Le difese più utili e più rispettose della realtà, invece, sono definite adattive. Queste ultime consentono una migliore espressione e gratificazione degli impulsi, riducendo al minimo le conseguenze negative.

Gli Autori distribuiscono, su una scala gerarchica basata sulla maturità-adattività delle difese, sette livelli difensivi.

Questi spaziano da un livello più altamente adattivo a uno di cattiva o mancata regolazione difensiva: alcuni meccanismi di difesa, per esempio la proiezione, la scissione e l'acting out sono quasi invariabilmente disadattivi. Altri, per esempio la rimozione e la negazione, possono essere sia disadattivi che adattivi, a seconda della loro gravità, della rigidità e del contesto nel quale si verificano. Altri, come la sublimazione e l'umorismo, sono quasi sempre adattivi e indicano una personalità matura e psichicamente integrata.

Al quarto livello (livello di distorsione minore dell'immagine) Vaillant e Perry descrivono le difese di livello narcisistico, che sembrerebbero rappor-tarsi alle difese utilizzate nell'anoressia: onnipotenza, idealizzazione, svalu-tazione. Questo livello è caratterizzato da distorsioni dell'immagine di sé, del proprio corpo e degli altri finalizzate alla regolazione dell'autostima. Ma le distorsioni non sono complete e diffuse come nel livello borderline.

Nella considerazione della funzione adattiva delle difese, ossia del fatto che queste vengano utilizzate in maniera “normale” per rispondere a pro-blematiche esistenziali quotidiane, è importante distinguere i due concetti di “difesa” e “coping”.

12Sono stati già descritti nel paragrafo 2.2 i criteri che Anna Freud utilizza per definire quando l'utilizzo di una difesa può essere considerato patologico.

«In generale, il coping si riferisce agli sforzi cognitivi e comportamentali mirati alla gestione di situazioni stressanti, che comportano le percezioni di minaccia, perdita o sfida; la risposta individuale è frutto di un processo di valutazione delle varie opzioni disponibili e delle possibili conseguenze» (Lingiardi, 2001, p.133).

Per coping si intendono quindi “meccanismi di autoregolazione in situa-zioni difficili”.

Resta comunque la difficoltà di stabilire una netta distinzione tra difese (concetto di derivazione psicoanalitica) e coping (concetto di derivazione cognitiva). Per operare una sorta di chiarezza, Cramer (1998) utilizza il ter-mine generale di “processo adattivo” per indicare qualsiasi risposta a diffi-coltà interne od esterne, e considera le difese e il coping come due tipi diver-si di meccanismo adattivo.

Cramer descrive cinque differenze fondamentali tra coping e difese: 1. le difese sono generalmente considerate inconsce o con livello minimo

di consapevolezza, mentre il coping nasce da decisioni del tutto con-sapevoli;

2. le strategie di coping prevedono decisioni razionali e quindi intenzio-nali, al contrario le difese non sono frutto di una scelta, dunque sono involontarie;

3. le difese spesso vengono considerate su un continuum di maturità-immaturità, cosa che non accade per le strategie di coping;

4. le difese sono considerate caratteristiche disposizionali, ossia relativa-mente stabili e persistenti, costitutive della personalità, mentre le stra-tegie di coping sono sempre dipendenti dalla situazione;

5. alcuni pensano che le difese vengano utilizzate prevalentemente per far fronte a richieste pulsionali mentre le strategie di coping rispondo-no solitamente alle richieste della realtà esterna.

È molto importante tenere presente questa esposizione dei “processi di adattamento” per comprendere le varie funzioni, normali o patologiche, che le difese possono assumere per l'individuo nel corso della sua esistenza.

Capitolo 3 - Descrizione clinica della

patologia

In questa seconda parte si tenterà di comprendere quali radici stanno alla base dell'anoressia mentale; si cercherà inoltre di dare una spiegazione psi-cologica di come e perché l'anoressica, attraverso il sintomo, cerchi di negare la propria sessualità femminile.

Ma prima di arrivare a ciò, questo capitolo cerca di costruire una panora-mica su alcuni punti, fondamentali per arrivare a comprendere la patologia. E. Kestemberg (1972) sottolinea come questa malattia costringa gli stu-diosi ad un «approccio paradossale» ad essa:

«dapprima essa attira, per la sua compattezza e la chiarezza della sua sin-tomatologia, poi, più la si studia, più essa rifiuta di lasciarsi cogliere. E' ciò che nei fatti è accaduto a tutte le discipline che vi si sono interessate, com-presa la psicanalisi. Inoltre, gli autori sono obbligati a ricostruire la dinami-ca, senza che i malati cooperino nell'apportarle elementi riguardanti la loro malattia, che essi negano e anche falsano, non svelando il proprio vissuto. Le ricerche hanno dunque tentato di ridurre lo sconosciuto al conosciuto ed appoggiarsi sulla necessità di una classificazione nosografia endocrinologia, psichiatrica ed altro, per giungere spesso alla situazione senza uscita del già noto o delle spiegazioni parziali. Questo è quello che è successo anche agli analisti, quando la maggior parte ha constatato l'impossibilità di portare a compimento una psicoanalisi classica negli anoressici» (p. 40).

Nonostante questa frammentarietà circa la comprensione della patologia, esistono delle linee guida generali per giungere ad essa: attraverso un breve profilo storico e un excursus sui vari orientamenti teorici, si cercherà di capi-re come si è arrivati alla moderna concezione della patologia.