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4. UN CASO DI STUDIO: IL PROCESSO CON-

4.5. Diffamazioni pubbliche

I dispacci conservati nel fondo degli Inquisitori di Stato, relativi all’ultima elezione ducale del 1789, offrono una vivace rappresentazione

92 ASV, IS, b. 1239, fascicolo n. 149, senza data.

93 ASV, Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, reg. 33. Cfr. anche

BMCV, mss. Cicogna 2498-2504, Marco Barbaro, Discendenze patrizie, 7 voll., vol. V, cc. 122-123, sub voce «Mocenigo S. Samuel».

del pubblico fermento suscitato dalla diffusione della notizia del ritorno sulla scena veneziana di Sebastiano Mocenigo.94 Una spia, per esempio, rilevava che in città, «al presente, non si nomina altro che Sua eccellenza Sebastian Mocenigo», segnalando come il nobiluomo si stesse impe- gnando nell’elargire diversi denari ai consiglieri elettori.95 In una bot- tega, poi, durante una discussione, alcune persone avevano sostenuto che «si faceva delle combricole per impegnar li barnaboti», cioè gli esponenti della nobiltà decaduta più facili ad avvicinarsi, «prometendoli un gran regalo».96 Ma una persona era stata sentita rispondere che Mo- cenigo «non sarà mai doge, stante essere stato in castigo».97

Non era tanto il disonore della condanna e della prigionia a de- stare scandalo, quanto piuttosto l’infamia generata da quel tipo partico- lare di accuse. Il 28 febbraio, un altro confidente degli Inquisitori di Stato aveva portato all’attenzione delle autorità veneziane un versetto, ritrovato esposto in calle delle Acque, che accusava: «In ‘sta Republica nostra santa e pura, se vederà un doge che va contro natura».98 Era, dunque, il rimando al piano sessuale a costituire l’elemento principale della contrapposizione politica, dove lo sberleffo e la derisione per quel

94 ASV, IS, b. 1239, fascicolo n 149. 95 Ivi, dispaccio del 25 febbraio 1789.

96 Ivi, dispaccio del 28 febbraio 1789. Sull’intreccio di voci quotidiane, tra politica,

propaganda, informazione e diffamazione, cfr. Filippo de Vivo, Patrizi, informatori, bar-

bieri. Politica e comunicazione a Venezia nella prima età moderna, Feltrinelli, Milano 2012.

97 Ibidem. 98 Ibidem.

genere di accuse acquistavano sempre maggior peso nella pubblica opi- nione. «La di lui famiglia, il suo talento e li suoi meriti fanno credere sicura la di lui elezione», osservavano da palazzo, ma «li suoi contrari», vale a dire i suoi oppositori, «ramemorano li passati suoi difetti».99 È in questo contesto che s’inserisce la seguente satira, scoperta un giorno nella bottega di uno stampatore, pronta per essere diffusa, magari affissa su qualche colonna cittadina:

La nostra sacrosanta Inquisizion al fogo la condana el buzaron, insepolte le ceneri volendo.

E qua? Gran dì tremendo al trono saliva un omo buzaron e buzarà?

E pur Leggi, Governo e Inquisizion se le tase! Siori sì che el vizio e bon a prepuzio, la cabala rispose, Sebasti-ano sarà fatto dose,

bardasse fe’ gicona ch’el culo s’incorona.100

Leggendo tale composizione, sembra quasi di trovarsi di fronte a uno di quei celebri epitaffi scritti contro papa Giulio II, forse il maggior bersaglio polemico delle pasquinate romane, spesso giocate intorno all’argomento infamante della sodomia, dove si sosteneva che il Della

99 Ivi, dispaccio del 3 marzo 1789.

100 Ibidem. Uno studio sulla stampa popolare, tra cultura orale e diffusione verna-

colare, è proposto in Rosa Salzberg, Ephemeral City. Cheap Print and Urban Culture in Re-

Rovere avrebbe lasciato di sé dubbioso il mondo se «mazor buzaron fu- sse o bardassa».101 Sullo stesso tenore denigratorio, che già era stato del Casanova in quel passaggio dell’Histoire de ma vie dove derideva Moce- nigo, «moglie» del suo «mignon» Manucci, si sviluppa anche la presente satira. In essa, però, l’accusa infamante si sviluppa secondo due piani continuamente intrecciati. Il primo, quello istituzionale e politico, con la constatazione dell’inadeguatezza del candidato rispetto all’impor- tanza della carica ambita: un’inadeguatezza morale, che se avvallata sa- rebbe stato un «gran dì tremendo», dice l’anonima mano, perché le leggi, il governo e l’Inquisizione dovevano condannare i sodomiti alla pena del fuoco, volendo le loro ceneri insepolte, e invece con Mocenigo se ne tacciono. E il secondo, quello personale, con l’utilizzo del mate- riale culturale del basso e del corporeo derivato dall’accusa sodomitica: uomo «buzaron», cioè sodomita attivo, ma anche «buzarà», nel signifi- cato di “sodomizzato”, il ruolo sessuale dei «bardasse», i giovani schiavi dell’antichità, passato poi a indicare, in modo squalificante, il ragazzo che sottostà a un rapporto sodomitico, talvolta anche nel senso di “pro- stituto”. «Bardasse» fate festa, conclude dunque la satira, perché con Mocenigo il «culo s’incorona», fino ad arrivare all’espressione massima dell’infamia sodomitica, con la trasformazione del nome del protagoni- sta in «Sebasti-ano».

La diffamazione, però, assunse forme anche più creative. Una spia degli Inquisitori di Stato, per esempio, dava conto che sulla schiena di uno dei due giganti della Scala di Palazzo Ducale, le nude statue di Marte e di Nettuno, era comparsa l’eloquente scritta, tracciata con il gesso: «Se i fa Dose il Mocenigo, guardeve le culate, caro amigo».102 Mentre nell’ufficio dei Pesadori di comun, dove veniva verificato il peso delle merci in entrata e in uscita, erano state ritrovate delle lettere di ferro sapientemente accostate secondo la seguente numerazione ro- mana: un cento, un cinque, un cinquanta e uno zero; che messe in fila, una dopo l’altra, restituivano l’eloquente scritta «C.V.L.O».103 Ma è, in- fine, il componimento più esteso e di maggior qualità letteraria a riunire nuovamente entrambi i piani della diffamazione: da un lato, l’inadegua- tezza morale del candidato al soglio ducale; dall’altro lato, la derisione per l’accusa sodomitica. Lo si trova in carte sciolte, anonimo e senza data, all’interno dello stesso fascicolo redatto dagli Inquisitori di Stato. Si tratta di un’ottavina in dodici stanze, composta in endecasillabi rag- gruppati in rima AB-AB-AB-CC, intitolata Sulla morte di Paolo Renier

e successiva dichiarazione di Bastian Mocenigo.104 Dopo aver constatato l’apertura della successione ducale, l’anonimo autore passava a occu- parsi di Mocenigo: un uomo che «dà da dire / del male assai nel popol veneziano» a causa di «que’ vizi che fanno innoridire / ogni uom di

102 ASV, IS, b. 1239, fascicolo n 149, dispaccio del 18 febbraio 1789. 103 Ibidem.