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La difficilissima arte

La riflessione sul metodo in antropologia applicata

In questo capitolo percorrerò la storia dell’antropologia applicata che è costituita principalmente da una riflessione metodologica. Mi occuperò di una serie di metodi, sviluppati da questa tradizione, che superano la generica formulazione di osservazione partecipante e che si allontanano dallo stereotipo della ricerca solitaria, mettendo l’antropologo nelle condizioni di avvalersi di collaboratori e strumenti provenienti da altre discipline e di adattarsi a campi di ricerca specifici. Cercherò di dimostrare come non esista una regola che possa valere in ogni caso e come sia, se non altro, bizzarro che proprio la disciplina del particolare possa avere prodotto una tale forma di generalizzazione.

Troppo spesso si tende a costringere la trasmissione della metodologia degli antropologi attraverso due concetti chiave che, con il passare del tempo, hanno assunto una genericit{ di routine e scarso valore esplicativo: l’osservazione partecipante e l’intervista. Tradizione vuole che le ricerche in ambito antropologico siano aperte da una capitolo introduttivo dedicato alla metodologia (l’“introduzione metodologica” appunto), gli autori dedicano questa parte all’illustrazione di queste due parole sfuggenti che costituiscono un vero e proprio topos narrativo. Nel caso l’esposizione sia rivolta ad altri antropologi ne risulta dubbia l’utilit{, dovendo trattarsi di strumenti basilari della cassetta degli attrezzi di ogni ricercatore in questo campo, nel caso sia

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rivolta ad esterni è disarmante notare quanto poco risulti efficace il tentativo di convincerli che questa sia una strumentazione scientifica specifica ed efficace, persa com’è in un aurea di indeterminatezza e sottintesi che sembrano interpretabili dai soli iniziati.

L’iniziatore unanimemente riconosciuto del modo consolidato di fare antropologia è Bronislaw Malinowski, a lui si deve la formulazione del concetto di “osservazione partecipante” che non si riduce ad altro che alla permanenza prolungata nel campo di indagine. Restare sul campo porterebbe da un lato alla perdizione dell’etnografo, o alla perduzione, come la definisce Piasere:

Il concetto di perduzione o metodo perduttivo rimanda a un'acquisizione inconscia o conscia di schemi cognitivo-esperienziali che entrano in risonanza con schemi precedentemente già interiorizzati, acquisizione che avviene per accumuli, sovrapposizioni, combinazioni, salti ed esplosioni, tramite un'interazione continuata, ossia tramite una co-esperienza prolungata in cui i processi di attenzione fluttuante e di empatia, di abduzione e di mimesi svolgono un ruolo fondamentale (Piasere 2002: 62).

Dall’altro concederebbe al ricercatore il tempo di stringere rapporti con i propri oggetti di studio, osservarli nello svolgersi della vita di tutti i giorni e concedergli il tempo di abituarsi a lui e ritornare agli schemi abituali dopo l’invasione che questi ha compiuto. Durante questa permanenza l’antropologo avrà la possibilità di organizzare momenti più o meno formali di dialogo con quelli che individuerà come informatori, secondo una definizione che alle mie orecchie echeggia un forte evoluzionismo, che avrà identificato come portatori di un punto di vista privilegiato sulla vita del gruppo. Il pacchetto raccolto costituirà il corpus delle interviste, elemento a lungo ritenuto imprescindibile fonte di legittimazione scientifica e spesso manipolato, in modo più o meno consapevole, come fa il più entusiasta dei giornalisti di assalto. La riflessione post-

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modernista degli anni ‘80 solleverà numerose questioni in merito al ruolo giocato dall’antropologo nella fase di raccolta dei dati e nella successiva restituzione (vedi Marcus e Clifford 1997). Michael Agar nel suo The Professional Stranger ci mostra altri elementi di superficialit{ supportati dall’auctoritas e quindi a lungo esclusi da qualsiasi forma di critica (Agar 1996).

L’etnografia come iniziazione

Agar ci racconta di Ansley Hamid64 (2002) e della sua ricerca portata avanti per diciassette anni e confronta la ricchezza di informazioni da lui raccolte con quelle da lui ottenute durante un singolo focus group:

Quello di Hamid è un lavoro imponente. Ma, ci sono voluti 17 anni, 17 anni di dettagliato lavoro con la gente, sui documenti e di struggimento intellettuale per mostrare come una serie di questioni conducessero ad altre.

Con il focus group ad una estremità della scala, ed una etnografia di 17 anni dall'altra, dobbiamo ovviamente mettere in conto una vasta serie di esperienze possibili esistenti in natura che possono essere chiamate "etnografiche". Come possiamo rendere le differenze chiare?65 (Agar 1996: 38).

L’epica impresa di Malinowski nelle isole Trobriand ha abbondantemente travalicato i limiti della disciplina, assumendo toni leggendari (vedi Kuper 1983). Lo

64 È di qualche utilità riportare in questa sede che Ansley Hamid è stato arrestato poco tempo dopo la

ripubblicazione del volume di Agar in cui è contenuto il capitolo qui citato. L’accusa mossa contro di lui: uso improprio di 5.000 dollari dei 3,5 milioni a disposizione della sua ricerca per pagare viaggi a Trinidad, Florida e Hawaii, per l'acquisto di farmaci per i tossicodipendenti che intervistava e l'acquisto di CD musicali (Berlind 2014).

65 “Hamid’s is a massive, impressive piece of work. But, it took 17 years, 17 years of detailed work with

people, with documents, and with intellectual struggles to show why one set of situations led to another. With focus group on one end of the scale, and a 17-year ethnography at the other, we obviously have a range of possible experiences that can be called “ethnographic” in nature. How can we make the differences clear?”.

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studioso polacco, rimasto bloccato in Australia a causa del deflagrare della prima guerra mondiale, ottenne il permesso di approfittarne per portare avanti le sue ricerche nell’arcipelago melanesiano e vi rimase quindi costretto per due anni. Nonostante il tono distaccato ed oggettivo dei suoi scritti in merito (sette monografie, tra cui la celeberrima

Argonauti del Pacifico occidentale del 1922), la pubblicazione postuma dei suoi diari

rende appieno l’idea delle difficolt{ e le contraddizioni insite in un’esperienza di questo tipo (Malinowski 1992).

È facilmente intuibile quale ripercussione possa avere avuto anche questo portato mitologico nelle esperienze degli studiosi delle generazioni a venire. Molte delle considerazioni emerse in condizioni così differenti da quelle che avevano contraddistinto la ricerca fino ad allora hanno avuto una portata dirompente. Sulla base dell’esperienza di Malinowski si arrivò a definire qualcosa di simile ad un canone della ricerca antropologica tuttora ampiamente diffuso e considerato da alcuni l’unico modo di svolgere ricerca. L’idea dell’etnografo solo “tra i selvaggi” è quella tuttora più diffusa nell’immaginario comune, il campo, da allora, ha assunto i caratteri del rito di iniziazione alla disciplina: “c’era una mistica attorno al campo, l’aura emozionale del rito di passaggio che segna l’entrata nell’et{ adulta della professione66” (Agar 1996: 54). Alcuni antropologi hanno, fortunatamente, contribuito a ridimensionare questo tono sacrale (vedi Barley 2008). Effetto non secondario dell’affermarsi di questo canone è la difficoltà di fare i conti con pratiche alternative o che se ne distacchino, spesso tacciate di eresia anche se antecedenti l’avvento di Malinowski.

Gli antropologi applicati sono stati ossessionati per anni in merito alle opportunità di ricerca che gli offrivano meno di un anno di tempo. La loro intuizione – cerco di

66 “There was a mystique about fieldwork, the emotional aura of a rite of passage into professional

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indovinare – era che fosse un'occasione da non gettare via; si può imparare qualcosa di importante anche in un periodo breve di tempo. Ma si sentivano in imbarazzo, perché il vecchio standard annuale non faceva che avallare lo stereotipo che le ricerche di antropologia applicata fossero in qualche modo carenti67 (Agar 1996: 38).

Essendo l’etnografia uno strumento, il modo in cui utilizzarlo deve potersi adattare al contesto e alle necessità della ricerca, si rischia altrimenti di divenire schiavi della tecnica che dovrebbe essere al nostro servizio. Ma sono motivazioni scientifiche a giustificare questa scelta? Agar, con Fowler e Hardsly (1994), sostiene di no:

La regola non scritta è che il lavoro sul campo debba prendere almeno un anno ma, in retrospettiva, una norma così arbitraria sembra creata in funzione degli anni accademici e dei cicli di finanziamento più di ogni altra cosa68 (Agar 1996: 38).

Il mito dell’antropologo solitario

La considerazione secondo cui è difficile essere una star individuale nell’ambito della ricerca applicata può essere vera. L'antropologo lupo solitario (o cowboy / cowgirl) che cavalca da solo in lande inesplorate, tra sofferenze e disagi incommensurabili, è certamente meno probabile nella ricerca applicata semplicemente perché gran parte di essa è di natura collaborativa. Se questo tipo di ricerca può essere concepito e progettato da un individuo solo, nella sua applicazione è ineffabilmente connessa al lavoro di altri69 (Whiteford 2004: 390).

67 “The applied anthropologists have obsessed for years about research opportunities that offered them

less time than a year. Their intuition – I’m guessing – were that opportunity shouldn’t be tossed away; you

could learn something important in a shorter period of time. But they were embarrassed about it, because by the old one-year standard it only added to the stereotype of applied works as somehow deficient”.

68 “The unwritten rule was that fieldwork took at least a year, but in retrospect such an arbitrary standard

was more a function of academic years and funding cycles than anything else”.

69 “The critique that it is difficult to be an individual star in applied research may be true. The lone wolf

anthropologist (or cowboy/cowgirl) who rides alone, breaking new ground and suffering immeasurable hardship, is certainly less likely to occur with applied research simply because much of applied research is

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L’altro mito per eccellenza dell’epopea malinowskiana è quello della solitudine del ricercatore Negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale l’antropologia di scuola britannica vive l’ansia della raccolta del maggior numero di dati ed informazioni possibile prima che queste scompaiano assieme ai loro portatori, assorbiti dalla modernità che l’occidente sta espandendo nel mondo intero (Kuper 1983). È questa una delle cause principali che portano all’affermazione del paradigma della ricerca di campo e portano l’antropologo ad uscire dagli studi delle universit{ a caccia di reperti. Negli ultimi anni del XIX secolo viene organizzata dall’Universit{ di Cambridge la spedizione allo stretto di Torres che contribuisce ad affermare un altro concetto chiave: il lavoro dell’antropologo deve essere svolto da professionisti, non è più possibile fidarsi delle esperienze raccolte da persone comuni e spedite tramite lettera ai dipartimenti delle università (Marett 1927). Rivers, che a quella spedizione ha partecipato, si renderà presto conto che non è solamente la presenza sul luogo a marcare la differenza, un lavoro di poche ore non può certo essere sufficiente a documentare la complessità di un contesto sconosciuto anche al più competente tra i ricercatori. In questo senso distingue quello che può essere definito un “survey work” da un “intensive work”:

Un esempio tipico di intensive work è quello in cui il ricercatore vive per un anno o più in una comunità di magari quattrocento o cinquecento persone e studia ogni dettaglio della loro vita di tutti i giorni e della loro cultura; quello in cui arriva a conoscere ogni membro della comunità personalmente; quello in cui non si accontenta di informazioni

collaborative. While applied research can be conceptualized and designed by an individual alone, in its application it is ineffably connected with the work of others”.

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generali, ma studia ogni aspetto della vita e dei costumi attraverso i dettagli concreti e l’uso della lingua vernacolare70 (Rivers 1913: 6).

In questa sede non mi soffermerò sul già ampiamente dibattuto tema che riguarda le differenti impostazioni teoriche che si scontravano in quegli anni e che vedono il passaggio dalla contrapposizione di diffusionismo ed evoluzionismo (che non si risolve, ma semplicemente slitta in secondo piano) all’affermazione del funzionalismo e poi dello strutturalismo71.

La già citata spedizione allo stretto di Torres, rimanendo tra gli esempi più celebri, era l’antesignana di ciò che oggi si definisce lavoro di équipe e vedeva studiosi provenienti da differenti discipline collaborare sul campo con le proprie specifiche competenze. Alfred C. Haddon, biologo convertito all’antropologia, chiamò a coordinare la spedizione William H. Rivers, personalità di spicco della disciplina, che forse la morte prematura ha scalzato dal ruolo di fondatore dell’antropologia sociale britannica (Hart 1998), nel ruolo di psicologo sperimentale. A completare l’equipe due studenti di Rivers (Charles Myers e William McDougall), il medico patologo Charles Seligman, di cui Malinowski sarà allievo, il linguista Sidney Raye e Anthony Wilkin in veste di fotografo72. Mentre Malinowski era nel suo esilio dorato nelle Trobriand, Rivers in patria si occupava dei soldati provenienti dal fronte presso il Craiglockhart War Hospital. Molti arrivavano in stato catatonico e soggetti a forti amnesie, quelli che ricordavano erano in preda al terrore e rifiutavano di ritornare al fronte. Oltre ad essere considerati traditori,

70 “A typical piece of intensive work is one which the worker lives for a year or more among a community

of perhaps four or five hundred people and studies every detail of their life and culture; in which he comes to know every member of the community personally; in which he is not content with generalized information, but studies every feature of life and custom in concrete detail and by means of the vernacular language”.

71 Per approfondire vedi Stocking (1995)

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il trattamento maggiormente in voga era quello di rispedirli al fronte il prima possibile. “Rivers imparò la lezione durante il suo lavoro di campo applicato: diede ai pazienti attenzione e rispetto, incoraggiandoli a parlare liberamente, indipendentemente dal fatto che l'argomento gli apparisse adeguato al contesto, e riconobbe che, anche se alcune ferite non erano visibili sul corpo, potevano comunque produrre effetti dannosi73” (Whiteford 2004: 384). Alla fine della prima guerra mondiale Rivers affrontava il problema dei reduci con il piglio di un contemporaneo antropologo medico come è evidente nell’esemplare articolo del 1917 The Repression of War Experience.

La storia dell’antropologia applicata segue necessariamente quella dell’espansione e della contrazione dell’impero coloniale, era in quei contesti che venivano fatti gli investimenti necessari alla ricerca. I diversi approcci alla gestione coloniale che hanno contraddistinto la tradizione inglese e quella francese hanno influito notevolmente sul modo in cui le comunità scientifiche dei due paesi si sono rapportati al problema. Se lo sviluppo dell’indirect rule imponeva agli amministratori inglesi la conoscenza approfondita del territorio conquistato, questo ha comportato un investimento maggiore nello studio delle popolazioni dell’Africa e dell’Asia britannica ed un conseguente interesse scientifico da parte degli antropologi inglesi. L’impero coloniale francese non ha mai avuto particolare interesse a conoscere le forme del potere locale preferendo, nella gran parte dei casi, sostituirlo con istituzioni proprie. Questo, unito ad una tradizione disciplinare che aveva origini e riferimenti molto diversi da quella inglese, ha comportato un comportamento molto diverso da parte degli antropologi francesi di quegli anni. Come ricorda Lenclud:

73 “Rivers applied lessons he had learned during his fieldwork: he gave patients attention and respect,

encouraged them to talk regardless of the topic or its seeming appropriateness to the setting, and recognized that even though some wounds were not visible on the human body, they could nonetheless be damaging”.

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Per molte ragioni legate alla specificit{ della Francia in merito ai rapporti tra l’attivit{ di conoscenza e l’azione, tra la scienza e la societ{, fra gli intellettuali e il potere, l'antropologia si è senza dubbio installata in modo più solido sul piano dei fondamentali rispetto ad altri paesi. Va ricordato, se ce ne fosse bisogno, che sono molti i praticanti di scienze umane e sociali che tendono a vedersi e presentarsi non solo come studiosi impegnati nel lavoro scientifico, ma come degli intellettuali . La funzione intellettuale e il personaggio dell’intellettuale sono, se non un’esclusiva, almeno un tratto caratteristico della società e della cultura francese. Il professore della tradizione tedesca o lo specialista del mondo americano si distanziano chiaramente dall’intellettuale francese. Quest'ultimo, in ogni caso, si oppone al carattere concettuale dell'esperto che sarebbe l’antropologo applicato74 (Lenclud 1995: 74).

Se c’è un tratto in comune è ancora il carattere solitario di questo eroe civile strettamente legato alla tradizione francese. L’antropologo non è stato investito dalla rivoluzione malinowskiana ma non è nemmeno erede del pragmatismo di azione che ha guidato la spedizione allo stretto di Torres. Fino a che Durkheim e la Scuola di Sociologia non faranno un po’ di chiarezza sul modo di utilizzare i dati etnografici, l’antropologia francese rimarr{ in un limbo di sovrapposizione con la sociologia e l’antropologia fisica. “Conviene inoltre ricordare che, per Durkheim, non valeva la pena spendere nemmeno un'ora per la sociologia se questa non era in grado di restituire i propri risultati alla

74 “Pour bien des raisons qui tiennent à la spécificité en France des relations établies entre l'activité de

connaissance et l'action entre la science et la société, entre les intellectuels et les pouvoirs, l'anthropologie est sans doute plus solidement installée dans le régime du fondamental que dans d'autres pays. Il faut rappeler, s'il en était besoin, que nombreux sont les praticiens des sciences humaines et sociales qui ont tendance à se voir eux-mêmes et à se présenter, non seulement comme des chercheurs engagés dans des travaux scientifiques mais comme des intellectuels. La fonction intellectuelle et le personnage de l'intellectuel sont, sinon une exclusivité, du moins un trait caractéristique de la société et de la culture françaises. Le professeur de la tradition allemande ou le spécialiste de l'univers américain se séparent nettement de l'intellectuel français. Ce dernier, en tout cas, s'oppose au personnage conceptuel de l'expert que serait l'anthropologue appliqué”.

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collettività, di proporre soluzioni scientificamente fondate a questioni della società o a problemi sociali75” (Lenclud 1995: 79).

É dopo la prima guerra mondiale che anche in Francia comincia l’istituzionalizzazione dell’antropologia vera e propria intesa anche come una scienza d’azione e, superato il periodo del Fronte Popolare, verr{ sancita la definitiva indipendenza della scienza dal potere politico:

Per motivi completamente diversi e percorsi spesso antitetici, la comunità delle scienze sociali francesi andrà, di fatto, ad allinearsi alle posizioni sostenute in Germania da Max Weber, in particolare nelle sue due conferenze su Il lavoro intellettuale come professione pronunciate durante l’inverno del 1918. Gli scienziati si possono mobilitare politicamente e non mancano di farlo, questo non comporta che si pieghino a mettere le loro conoscenze al servizio dell’amministrazione degli uomini e delle cose, esercitata qui e ora76 (Lenclud 1995: 80).

L’urgenza della raccolta è sentita anche in ambito francofono, come dimostrano due ricercatori illustri che rispondono ai nomi di Marcel Griaule e Marcel Mauss. Secondo i due autori l’etnografia deve essere vista come un corpus di scienze e metodi, e anche se sul terreno Griaule “è stato di volta in volta linguista, botanico, entomologo, sociologo, archeologo, antropologo, astronomo, demografo, scrittore, o ancora geometra,

75 “Il convient ainsi de rappeler que, pour Durkheim, il ne valait pas la peine de consacrer ne serait-ce

qu'une heure à la sociologie si elle n'était pas en mesure de mettre ses résultats au service de la collectivité, de proposer des solutions scientifiquement fondées à des questions de société, au problème social”.

76 “Par des cheminements entièrement différents et pour des raisons souvent antithétiques, la

communauté des sciences sociales françaises va tendre à s'aligner de fait sur les positions soutenues en Allemagne par Max Weber, notamment dans ses deux conférences sur Le savant et le politique, prononcées durant l'hiver 1918. Les scientifiques peuvent bien se mobiliser politiquement et ils ne manquent pas de le faire; cela n'entraîne pas qu'ils s'emploient à placer leur savoir au service de l'administration des hommes et des choses, telle qu'elle s'exerce ici et maintenant”.

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fotografo, regista, pittore, disegnatore, pilota d'aereo77” (Jolly 2001: 163), le sue équipe di ricerca facevano costante ricorso a un gran numero di esperti. Griaule nelle sue spedizioni si avvale di gruppi pluridisciplinari e diverse tecniche di osservazione: “Ma queste scelte metodologiche hanno anche altri obiettivi, già annunciati da Mauss nel

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